Amal è morta in Yemen a 7 anni per una guerra dimenticata da tutti: lì ci sono due milioni di bambini gravemente denutriti

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I Bambini dei paesi in Guerra sono simboli che vengono creati dai media per essere presto dimenticati. Tutti i bambini del mondo dovrebbero avere gli stessi diritti, non dovrebbero essere eretti a simboli di una o dell’altra causa, dovrebbero essere quello che sono e vivere per quello che sono: bambini.

Una geopolitica complessa, molto più disumana di quella del conflitto di Gaza è la causa della morte di Amal. Una storia, quella della sua morte, battuta su tutta la stampa internazionale, come quella del piccolo Alan Kurdi, inizialmente chiamato Ailan.


L’immagine di quella creatura ha dato la notorietà a una giornalista, Nilüfer Demir, ma il mondo si è presto asciugato le lacrime, forse non si ricorda nemmeno più di Alan. La storia di Amal (nella foto) ha dato una ventata di nuova, tragica luce al fotografo Tyler Hicks (era già noto, già Pulitzer) ma come quella di Alan è destinata a durare poco. Finiti i ciak, abbassati i riflettori, spente le luci la storia di Amal, come quella di Alan è destinata a scomparire nei meandri dell’indifferenza.
Riportando la notizia della sua morte, Declan Walsh, il giornalista del New York Times autore del reportage, ha ricordato il momento e le circostanze in cui ha incontrato Amal “in un centro sanitario ad Aslam, a 90 miglia a nord-ovest della capitale, Sana“. Amal è morta in un campo profughi perché la famiglia non era in grado di sostenere le spese sanitarie. Fare qualcosa al momento in cui se ne è venuti a conoscenza forse non era possibile, bisognava per forza tornare in patria e attuare una colletta? Nello stesso tempo bisogna ammettere che Amal è una dei quasi due milioni di “Amal” ed è molto difficile aiutare se non si fa squadra. E’ altrettanto vero che la morte non aspetta per portare a termine la propria missione, non annuncia ritardi, arriva quando deve arrivare.
La famiglia di Amal ha lasciato la sua casa di Saada, una provincia yemenita che confina con l’Arabia Saudita, per trovare rifugio nelle montagne nel 2015. Si parla di circa 18.000 attacchi aerei da parte dell’Arabia Saudita a questa provincia negli ultimi tre anni, provincia che è anche la patria dei ribelli Houti, che controllano l’area settentrionale e vedono nel principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman il rivale da combattere senza tregua. Lo Yemen ha una popolazione di circa 28 milioni di abitanti. Le Nazioni Unite sostengono che almeno 8 milioni di yemeniti sono in condizioni disperate, ma il numero potrebbe salire a breve a 14 milioni, la metà della popolazione. Gli operatori umanitari chiedono la cessazione delle ostilità, nonché incentivi per far rinascere l’economia dello Yemen.
Intanto Amal (che in arabo significa speranza) è morta a sette anni, uccisa dalla guerra, dalla povertà e dal disinteresse mondiale. Avete mai visto un corteo per la popolazione yemenita? Avete mai visto una qualsiasi Questura concedere l’autorizzazione per un presidio a favore delle sofferenze del popolo yemenita? Avete mai saputo che in Yemen è in corso una guerra civile dal 2015? Le forze degli Huthi che controllano la capitale Saana sono alleate con le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, si sono scontrate con le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede ad Aden. Per questa guerra quasi due milioni di bambini sono in grave stato di denutrizione. Mentre l’O.N.U. si masturba il cervello per condannare Israele, milioni di bambini muoiono nel mondo a causa delle guerre dimenticate, tra l’indifferenza soprattutto dei beati costruttori di pace, lasciando dietro solo un dolore mediatico, destinato a durare quanto la vita di una farfalla.

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Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.