Non c’è rosa senza spine, non c’è elezione senza pagella, per cui bando alle ciance e cominciamo dalla testa della classifica!
Voto 10 – a Pierferdinando Casini. Immarcescibile, inossidabile, il vero vincitore morale di questa contesa elettorale. Rientra in Parlamento per l’undicesima volta, superando di slancio Vittorio Sgarbi. Rappresenta l’unica vittoria di principio conseguita dal PD in queste elezioni. Per dire!
Voto 9 – a Giorgia Meloni, che [leggere con tono da cinegiornale dell’Istituto Luce] ha spezzato le reni ai suoi avversari, marciando verso una vittoria a cui, da mesi, appariva predestinata. La parola d’ordine era una sola, categorica e impegnativa per tutti: Vincere! E vin… si vabbè, avete capito… (leggere qui per altri… sorrisi).
Voto 8 – a Giuseppe Conte, artefice di una campagna elettorale indubbiamente brillante, il cui claim più di successo non è stato, come molti pensano, la difesa del reddito di cittadinanza, ma il fatto di non avere più Di Maio in mezzo alle scatole.
Voto 7 – a Silvione nostro, un po’ il nonno d’Italia. Quel nonno simpatico e pazzerello che racconta barzellette sconce agli estranei e pizzica il sedere alle infermiere… ecco quel nonno lì. Appare più rinco ad ogni campagna elettorale che passa, ma alla fine la sfanga sempre. Adesso potete rimetterlo a riposare, nel lettone di Putin. Assistito da badanti ucraine per bene. Possibilmente fighe, da 10 nella relativa pagella.
Voto 6 – alla premiata ditta Fratoianni/Bonelli che, fingendosi morti in mezzo alla campagna elettorale, salvano la ghirba con la strategia degli opossum, superando la soglia di sbarramento del 3%.
Cosa che non riesce a…
Voto 5 – …alla Bonino. Che rimarrà fuori dal Parlamento. Oh, che peccato. Proprio, guarda. Che dispiacere. Tipo, sai la sensazione quando ti rimane incastrata la moneta dentro il carrello della spesa, ma poi ti accorgi che era il gettone di plastica del supermercato? Ecco, quella sensazione lì.
Voto 4 – a Gianluigi Paragone. Che almeno rispetta le previsioni elettorali e il nome della sua lista. E’ italexito lui.
Voto 3 – a Calenda. Non per il risultato misero, dopo i proclami roboanti. Non per la tracotanza. Non per la spocchia classista. Nemmeno per l’agenda Draghi… senza agenda e senza Draghi.
E’ il fatto di avere riportato Renzi in Parlamento, quando ormai sembrava fatta, il che è proprio imperdonabile.
Voto 2 – a Salvini. Che almeno una volta beveva dopo le elezioni. In questa campagna elettorale ne ha sparate così tante, che nemmeno i suoi più fidati consiglieri sapevano come difenderlo: la centrale nucleare a Baggio, il ritorno della leva obbligatoria, la flat tax con le aliquote, l’eliminazione della Legge Severino, mancava solo il condono fiscale. Ah, no, c’era anche quello. Ormai, non ci credeva più nemmeno lui.
Tracolla oltre ogni aspettativa e mi sa proprio che nel partito sono in molti a volercelo mandare… in aspettativa.
Voto 1 – ad Enrico Letta. Più che un occhio di tigre, un occhio di pernice. Che ci sarebbe stato anche bene come slogan in campagna elettorale: “PD, garantiamo a tutti una visita dal podologo”. A tutta vita!
La cosa più divertente è che lo hanno eletto segretario per fare un dispetto a Renzi, dopo la scissione. Finendo, poi, per dargli ragione. A Renzi, fuori pagella ma non dal Parlamento.
Voto 0,60 – a Luigi Di Maio. Che dopo aver portato il M5S al 32,7% alle politiche del 2018, rappresenta un tonfo politico così sfavillante, da surclassare persino Matteo Renzi. L’unico a cui in italia è andata peggio, per dire, l’hanno appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.