I risparmiatori italiani mandano un messaggio ai governi degli ultimi anni. Resta un ricordo la corsa ai titoli di Stato per finanziare le politiche espansive, meglio parcheggiare i soldi nel rifugio dei conti correnti: i depositi in banca sono raddoppiati negli ultimi dieci anni, arrivando a una media italiana di circa 21mila euro pro capite. A dirlo sono i dati dell’Abi-Banca d’Italia, rielaborati dal Sole 24 Ore in rapporto con la popolazione su base provinciale dal 2008 al 2018.
Ad esempio, a Milano oggi questa cifra sfiora la vetta dei 58mila euro per abitante, mentre dieci anni fa si fermava a 29.100 euro.
Queste somme includono tutte le forme di deposito (consistenze calcolate al 31 dicembre dell’anno precedente): con durata prestabilita, a vista, overnight, rimborsabili con preavviso, buoni fruttiferi, certificati di deposito e infine i tanto amati conti correnti. A dir la verità sono soprattutto questi ultimi a raccogliere il flusso di denaro in fuga da altre forme di investimento. Oggi si contano quasi 1.200 miliardi di euro parcheggiati in banca, uno stock che – sempre negli ultimi dieci anni – è cresciuto quasi del 75 per cento.
Il rincaro dei costi di gestione
Per il momento non scoraggiano le misure antievasione che mettono sotto la lente del Fisco i dati dei conti correnti (si veda articolo in basso) e neanche la crescita, per il secondo anno consecutivo dopo un quinquienno di discesa, dei costi di gestione, aumentati – come rileva sempre Palazzo Koch – a 79,4 euro nel 2017: anche prendendo in considerazione solo l’ultimo anno, i depositi pro capite sono comunque incrementati del 6 per cento.
Gli italiani, quindi, sembrano sempre più affezionati alla liquidità e più reticenti al rischio, come dimostra per esempio la crescente disaffezione nei confronti dei titoli di Stato, una volta tanto amati. Il flop del BTp Italia – che la scorsa settimana ha raccolto fra le famiglie appena 863 milioni di euro, il minimo di sempre per questo strumento creato dal Tesoro appositamente per il retail – è infatti soltanto l’ultimo episodio di un fenomeno che procede ormai da anni. Senza infatti scomodare l’era dei «BoT people» di 30 anni fa (quando i piccoli risparmiatori detenevano oltre il 60% del debito pubblico italiano), la quota di titoli pubblici italiani custodita dai privati si è ridotta dal 19,1% del 2008 al 4,8% registrato a fine luglio.
L’esodo dalle obbligazioni bancarie
Ad alimentare gli afflussi verso i depositi sono stati poi i rimborsi provenienti dalle obbligazioni bancarie, troppo spesso piazzate – come purtroppo ricordano cronache recenti – in maniera disinvolta nei portafogli dei risparmiatori. L’occhio più attento dei regolatori, unito alla difficoltà incontrata da molte banche a emettere nuovi bond in una fase critica per il credito italiano, nel giro di dieci anni ha fatto precipitare l’ammontare di questi strumenti da quasi mille a poco più di 300 miliardi di euro.
Parte di queste risorse sono state intercettate dal risparmio gestito, come dimostra il recupero prodigioso della raccolta negli ultimi anni, ma la fetta maggiore è rimasta parcheggiata sui conti correnti. Anche a costo di rimetterci qualche soldo, visto che a causa della politica monetaria ultraespansiva delle Banche centrali i rendimenti dei depositi italiani si sono praticamente azzerati, precipitando allo 0,04% dall’1,48 per cento di dieci anni fa. Resta, infine, molto elevata la quota di contante circolate, anche questa in netto aumento, addirittura dell’82% rispetto al 2008.
di Maximilian Cellino e Michela Finizio, da Il Sole 24 Ore