Era finora un refrain quello di un centrosinistra, a differenza del centrodestra, e in particolare dell’attuale Pd (prima Ds) sempre capace di litigare al proprio interno per votarsi al suicidio politico anche quando le cose non andavano male come adesso.
Ma ora pare che anche il centrodestra, premiato in campagna elettorale da un successo vistoso anche se, poi, a trainare la vittoria di fatto è stata Giorgia Meloni, pare voler gareggiare, oltre che elettoralmente, dove ha vinto, anche comportamentalmente con il centrosinistra litigando un giorno sì e… pure l’altro.
Matteo Salvini, forse terrorizzato di perdere ancora più di quanto non abbiano decretato le urne col loro 8% dopo il boom da 34% alle europee che lo indusse a far cadere il governo gialloverde sicuro di andare a “riscuotere” in una tornata elettorale che poi non ci fu, si è, di fatto, messo in riga, se tatticamente o strategicamente lo vedremo in seguito.
Ma chi in questi giorni, prima delle consultazioni col presidente Mattarella pronto a conferire l’incarico di formare il nuovo governo alla leader del cdx decretata dalle elezioni, sembra che provi pervicacemente (o incoscientemente) a spaccare e rendere per lo meno debole il centrodestra è il vecchio Silvio Berlusconi, di cui non ricordiamo le ultime imprese (dialettiche e alcoliche) che tutti conoscono.
In questo gioco al massacro politico, salvo inattesi (impossibili dopo gli insulti ricevuti sul pizzino di B.) cedimenti meloniani, Forza Italia e i suoi massimi esponenti ci stanno rimettendo la faccia tanto che Tajani è addirittura andato all’incontro col PPE, il partito popolare europeo a cui aderisce FI, per rassicurare che quelle su Putin, vodka, letterine e Zelensky erano solo battute del leader (lo è ancora?) che, se con gli “amici” dice una cosa per scherzo, poi in pubblico ne sostiene il contrario.
In questa bagarre pro Ronzulli e Fascina di turno Berlusconi non solo si è visto sbattere la porta in faccia per il ministero della giustizia (chissà perché gli interessa, poi, così tanto…) per la sua “designata” Casellati (dimenticando che la lista a Mattarella la porterà Meloni quando sarà incaricata) ma rischia di perdere il serio Tajani alla difesa (per un Paese Atlantista ed Europeista il coordinatore di un partito filo putiniano, anche se per scherzo, rappresenta un rischio) e anche, almeno, un sottosegretario in via Arenula.
E qui arriviamo al titolo su Vicenza che perde, di sicuro, un ministro, la sicuramente capace avv. Erika Stefani della Lega, che dopo anni di lavoro costante e di grande esperienza in due ministeri diversi si vede “premiata” da Salvini & c. con una presenza istituzionale ma solo come una degli otto Segretari dell’ufficio di presidenza del Senato.
Ma Vicenza rischia di non avere più neanche un sottosegretario (con Draghi lo era Variati, che, oltre ad essere nella minoranza ora si gode la sua esperienza da eurodeputato al posto di Calenda) se in via Arenula non andrà un parlamentare forzista di lungo corso e moderato, oltre che, partitismo a parte bisogna dirlo, preparato, come il vicentino Pierantonio Zanettin, il cui nome era anche stato fatto su Il Dubbio come possibile ministro, magari di “mediazione” (ne abbiamo scritto anche qui).
Avvocato, anche lui come Stefani, ex membro del Csm, presidente della Commissione sulla morte di David Rossi e esperto da sempre, in ruoli istituzionali e per il partito, di giustizia, Zanettin potrebbe pagare anche lui le “rappresaglie meloniane” contro il popolo azzurro che non ha votato, per ubbidire al capo, La Russa.
Vicenza, così, che pure era stata scelta come palestra elettorale da big (?) della politica come Letta e Calenda, perdendo di conseguenza nei suoi collegi parlamentari vicentini doc, ora rimarrebbe penalizzata, pur essendo riconosciuta da tutti come un ganglio vitale dell’economia italiana, non avendo alcun suo rappresentante vero nel governo.
Come se non bastassero le liti nel centrodestra nazionale, ora si affacciano anche quelle tutte locali che, se prima erano ascritte, storicamente, solo ai dem e al centrosinistra (vedi le faide del 2018 tra Dalla Rosa, Possamai e Bulgarini, alias Variati, che adesso si ripropongono con le nuove defezioni dal Pd di suoi consiglieri che ancora non si sa dove e con chi vogliano andare), ora allignano anche nel centrodestra.
È, infatti, appena dilagato il gossip, provocazione o proposta che dir si voglia (ne abbiamo scritto qui), di Giorgio Conte a frapporsi tra Francesco Rucco e la sua rielezione a palazzo Trissino dopo 5 anni attraversati senza scuffiare tra i venti tempestosi del Covid, della crisi economica e di certe eredità non proprio comode come la gestione dei cantieri Tav/Tac, della fusione Agsm Aim, del Parco della Pace e del flop della Banca Popolare di Vicenza, eredità tutte frutto diretto o indiretto delle precedenti due amministrazioni variatiane.
Comunque Giorgia Meloni, atlantista ma europeista ma soprattutto italialista, di una cosa sarà contenta: l’Italia è sempre più unita.
Nelle liti.