“I Pfas, integrandosi nella membrana degli spermatozoi, alterano i meccanismi che regolano la capacità fecondante, sia naturale che in vitro, e possono trasmettersi anche per tre generazioni”.
Lo sostiene Carlo Foresta, Ordinario di endocrinologia dell’Università di Padova e presidente della Fondazione Foresta Onlus, già autore di numerosi approfondimenti sul tema (leggi qui). Queste conclusioni frutto della ricerca saranno esposte nel corso del XXXVII Convegno di Medicina della Riproduzione in corso ad Abano Terme fino al 29 ottobre.
Foresta mostrerà come il legame dei Pfas sulla membrana cellulare, componente fondamentale per la funzionalità degli spermatozoi, ne modifica la loro capacità fecondante. Inoltre, la fertilizzazione sia naturale che in vitro, effettuata con spermatozoi contaminati da PFAS, comporta il traghettamento di queste sostanze chimiche nell’ovocita al momento della fertilizzazione. “Questi dati sono veramente inquietanti – spiega Foresta – poiché ad oggi non è noto quali possono essere le conseguenze dell’interazione tra PFAS e lo sviluppo embrionale”.
“Le interferenze così precoci nei meccanismi di fertilizzazione si aggiungono alla conoscenza che queste sostanze sono in grado di raggiungere il feto attraverso la placenta e il cordone ombelicale, diventando così un fattore di rischio per la fase più sensibile della nostra vita, quella pre-natale, in cui il ruolo degli ormoni materni svolge un ruolo fondamentale per lo sviluppo”, dichiara il professor Carlo Foresta. “Diversi anni di ricerche scientifiche hanno ormai delineato un quadro sindromico chiaro circa gli effetti sulla salute umana da parte dei PFAS, che possono colpire ben tre generazioni, partendo dall’esposizione materna in gravidanza, passando per i figli con conseguenti alterazioni riproduttive ed arrivando fino ai figli dei figli, laddove i PFAS arrivassero ad indovarsi nello spermatozoo”.
Già due anni fa il gruppo di ricerca dell’università di Padova coordinato da Carlo Foresta aveva pubblicato sul Journal of endocrinological investigation uno studio eseguito su 120 giovani ventenni nati e residenti nelle zone esposte all’inquinamento da PFAS, dimostrando una significativa alterazione del numero e della motilità degli spermatozoi.
Questi risultati sono stati recentemente confermati da uno studio danese eseguito su giovani esposti a queste sostanze durante la gravidanza. I ricercatori, in questo caso, hanno raccolto campioni di sangue da oltre mille donne nel primo trimestre di gravidanza e hanno controllato le caratteristiche dello sperma di oltre 800 figli di quelle donne a 18 anni di distanza, dimostrando una relazione lineare tra le concentrazioni di PFAS delle madri e la scarsa motilità e la bassa conta degli spermatozoi.
Il gruppo del prof. Foresta dell’UOC di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell’Azienda Università di Padova, diretta dal Prof. Alberto Ferlin e in collaborazione con il dott. Andrea Di Nisio e il dott. Luca De Toni, riporta ora che il PFOA è presente anche nel liquido seminale dei giovani esposti, a concentrazioni di circa il 30% di quelle plasmatiche e dimostra la specifica interazione tra queste sostanze chimiche e i fosfolipidi di membrana, principali costituenti della membrana stessa. Questa interazione modifica la fluidità della membrana ed interferisce con recettori e canali presenti sulla stessa, la cui attivazione è fondamentale per lo sviluppo del processo di fertilizzazione.