Banche Venete cedute a Intesa Sanpaolo senza “responsabilità” connesse, avv. Corfiati: sentenza Consulta “pilatesca”?

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Banche venete: Intesa Sanpaolo chiamata a
Intesa Sanpaolo chiamata a "rispondere" dei debiti di BPVi e Veneto Banca?
Relativamente a questioni attinenti la cessione delle due banche Venete (BPVi e Veneto Banca) a Intesa Sanpaolo Spa, in data 07/11/2022, è stata depositata la sentenza N. 225/2022 della Corte Costituzionale, di cui qui in allegato.
Il Tribunale di Firenze aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale nel corso di un giudizio civile introdotto da un investitore nei confronti di Intesa Sanpaolo spa per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia delle operazioni di acquisto di azioni emesse da Banca Popolare di Vicenza spa (una delle due banche venete on questione, ndr) per violazione degli obblighi informativi e per la mancata verifica di adeguatezza delle operazioni, nonché per sentirla condannare al risarcimento dei danni.
L’ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze aveva osservato che la cessionaria Intesa Sanpaolo spa aveva acquisito ad un prezzo simbolico Banca Popolare di Vicenza spa e Veneto Banca spa, depurate da ogni criticità e compreso il loro avviamento, ricevendo la somma di euro 4,785 miliardi circa a titolo di aiuti provenienti dagli stessi soggetti sottoposti a liquidazione.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1, lettere b) e d), e 3, nonché dell’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, sono poste dal Tribunale di Firenze denunciando il contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45 e 47 Cost., nonché con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU e con l’art. 17 CDFUE.
In particolare, il Tribunale di Firenze aveva rilevato:
– l’irragionevolezza delle norme indicate e l’eccesso di potere legislativo, in quanto l’aiuto di Stato affiancato alla procedura di liquidazione coatta amministrativa avrebbe dovuto gravare sulla generalità dei cittadini e non su una categoria ristretta di soggetti, quali gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati (delle due banche venete, ndr), il cui risparmio risulta integralmente annullato;
– la «violazione della normativa europea sugli aiuti di Stato» e l’eccesso di potere legislativo, perché i risparmi degli azionisti e dei creditori subordinati delle due banche sono rimasti nelle liquidazioni non per assorbire le perdite nella massima misura necessaria, ma allo scopo di trasferirli alla cessionaria Intesa Sanpaolo spa sotto la voce fittizia di «aiuti di Stato»;
– il sostanziale azzeramento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate, risoltosi in una espropriazione, senza indennizzo, a favore di un soggetto privato per l’esclusivo interesse dello stesso, non prevedendo l’art. 6 del d.l. n. 99 del 2017, come convertito, alcuna possibilità di ristoro per gli azionisti, con violazione dell’art. 42 Cost., dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU e dell’art. 17 CDFUE;
– l’aiuto di Stato realizzato mediante l’annullamento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate delle due Banche da considerarsi lesivo degli artt. 45 e 47 Cost., che tutelano la cooperazione e il risparmio, in quanto il costo della crisi aziendale sarebbe stato fatto ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui detentori di obbligazioni subordinate delle due Banche, i cui diritti sono stati mantenuti nella liquidazione e potranno essere soddisfatti solo nell’eventualità in cui lo Stato recuperi integralmente quanto versato a supporto dell’intervento e siano stati soddisfatti gli altri creditori;
– la violazione dell’art. 23 Cost., essendo imposta agli azionisti e obbligazionisti subordinati una prestazione patrimoniale nell’interesse privato di una società con fini di lucro, e degli artt. 3, 41 e 45 Cost., lamentandosi la disparità di trattamento tra gli azionisti delle due Banche poste in liquidazione coatta amministrativa, i cui diritti sono regolati dalla legge n. 121 del 2017, di conversione del d.l. n. 99 del 2017, e quelli di altre banche, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, che è stato ricapitalizzato «salvando gli azionisti»;
– la violazione della parità di trattamento tra i creditori, restando sacrificati quelli individuati dalle norme censurate, mentre sarebbero assimilati i creditori di cui alle lettere a) e b) del censurato art. 3, comma 1, «pur essendo radicalmente diversa la situazione di chi ha effettuato un investimento con la consapevolezza di assumere determinati rischi e quella invece di chi vanta un credito nascente dalla illegittimità nella specie del comportamento della Banca»;
– la disparità di trattamento nella tutela dei correntisti;
– la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. e dell’art. 47 CDFUE, giacché la mancata cessione a Intesa Sanpaolo spa dei debiti derivanti dalle operazioni di commercializzazione delle azioni e obbligazioni subordinate comporterebbe che ogni azione giudiziaria degli azionisti e degli obbligazionisti possa essere intrapresa solo nei confronti della società posta in liquidazione coatta amministrativa. In tal modo, nelle cosiddette «operazioni baciate», nelle quali cioè l’acquisto delle azioni è finanziato dalla stessa emittente, il credito per il rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni rimarrebbe in capo alla cessionaria Intesa Sanpaolo, mentre il debito nei confronti dell’azionista resterebbe in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi.
Preliminarmente, la Corte costituzionale ha osservato che il d.l. n. 99 del 2017 era volto ad attuare una manovra di «salvataggio pubblico» di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, le due banche venete sottoposte a liquidazione coatta amministrativa sul presupposto della sussistenza del «dissesto o rischio di dissesto», come accertato dalla Banca centrale europea, ai sensi dell’art. 32, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa all’istituzione di un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.
In particolare, ad avviso della Corte, il Governo ha ritenuto che, in assenza di misure pubbliche di sostegno, la sottoposizione delle due Banche venete a liquidazione coatta amministrativa avrebbe comportato la distruzione del valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e avrebbe determinato una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali. Esigenze, queste, che rendevano necessaria l’adozione di disposizioni volte a consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle Banche in questione.
Dopo tale premessa, la Corte costituzionale espone le ragioni per le quali rileva l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Firenze.
In particolare, la Corte evidenzia che il Tribunale di Firenze:
– ha sottoposto al suo scrutinio una pluralità di questioni di legittimità costituzionale, senza in alcun modo chiarire l’ordine nel quale le stesse dovrebbero essere esaminate e la relazione tra le stesse esistente;
– non ha operato alcun tipo di graduazione nella prospettazione delle doglianze;
– ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale avverso interi atti legislativi, in modo generico e senza consentire di individuare la questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità;
– ha posto in discussione il merito di una scelta politica effettuata dal Governo per fronteggiare la crisi delle Banche Venete.
La Corte costituzionale ritiene, inoltre, che il Tribunale di Firenze abbia sollevato questioni avulse dal giudizio civile, avente ad oggetto una domanda risarcitoria proposta da un investitore nei confronti di Intesa Sanpaolo spa, procedimento di cui peraltro – sempre ad avviso della Corte – è stata fornita una insufficiente descrizione.
In effetti, nell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze:
– non si spiega se il debito, rispetto al quale la convenuta Intesa Sanpaolo spa si dichiara estranea, ovvero priva di titolarità del rapporto o carente di legittimazione passiva, rientri fra quelli restitutori nei confronti degli azionisti e obbligazionisti subordinati della ceduta Banca Popolare di Vicenza spa, derivanti da operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate, i quali, in quanto passività consolidate anteriori al trasferimento, rimangono esclusi dalla cessione per l’operatività della regola del «burden sharing», secondo la logica che chiama i clienti-azionisti a sopportare il rischio di impresa;
– non si illustra se la fattispecie di causa subisca gli effetti della seconda ipotesi contemplata dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 3, quella, cioè, che colloca al di fuori del «perimetro della cessione» i debiti, restitutori o risarcitori nei confronti di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche cedute derivanti, piuttosto, dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, debiti, cioè, di clienti-investitori rimasti danneggiati in sede di fruizione del servizio di investimento;
– non si chiarisce se la pretesa restitutoria e risarcitoria, fondata su condotte di misselling nella commercializzazione di azioni della Banca Popolare di Vicenza spa, si ricolleghi a posizione contrattuale non ancora definita al momento della cessione, o se invece si tratti, in senso proprio, di «debito» che risultava preesistente e consolidato a tale momento;
– non si specifica se chi ha agito in giudizio fosse, o meno, un «investitore professionale», come sarebbe stato invece necessario per differenziare eventualmente le tutele di coloro che ebbero ad acquistare azioni od obbligazioni subordinate per effetto di comportamenti posti in essere in violazione delle regole dettate in materia di intermediazione finanziaria, di informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione proposta da parte di Banca Popolare di Vicenza spa;
– non si riferisce se l’attore avesse acquistato le azioni al fine di ottenere la concessione di un finanziamento «subordinato» e «strumentale», né se avesse già restituito la somma finanziata nel contesto di una «operazione baciata» e se ora chieda in ripetizione quanto versato, stante la nullità dell’acquisto ex art. 2358 cod. civ., sicché la questione, così sollevata, risulta estranea al thema decidendum e appare meramente ipotetica e astratta.
In conclusione, la Corte costituzionale osserva che la lacunosa e contraddittoria prospettazione operata dal Tribunale di Firenze, unitamente al difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questioni di legittimità costituzionale, deve condurre alla declaratoria di inammissibilità delle stesse.
Lo scrivente legale osserva dunque che la Corte costituzionale è pervenuta ad una sentenza di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per motivi esclusivamente formali, senza valutare il merito delle stesse; non può quindi escludersi che, in altri giudizi intrapresi da azionisti ed obbligazionisti delle Banche Venete nei confronti di Intesa Sanpaolo S.p.A., possano essere sollevate nuove questioni di legittimità costituzionale, le quali tuttavia, affinché possano essere vagliate nel merito, dovranno essere più correttamente formulate in conformità ai criteri indicati dalla Corte in questa recente sentenza.
Avv. Francesco Corfiati