Sciogliere le catene dell’autorità: la liberazione dall’oppressione è possibile?

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Autorità, possibile liberarsi delle catene
Autorità, possibile liberarsi delle catene

Se l’ambiente sociale è determinante nell’apprendimento, è possibile per un individuo che vive in una società liberarsi dalle catene dell’autorità? La riflessione filosofica di uno studente liceale.

Lo psicologo canadese Albert Bandura, morto il 26 luglio 2021, sosteneva l’idea che la dimensione sociale influenzasse in modo considerevole non solo i nostri comportamenti, condizionando le nostre scelte, ma anche i nostri modelli di apprendimento e il nostro modo di compiere le scelte. L’ambiente sociale e l’autorità condizionano quindi il nostro apprendimento.

Bandura approfondì queste argomentazioni e sviluppò la teoria dell’apprendimento sociale, facendo anche interessanti riflessioni sull’auto-condizionamento. Lo psicologo canadese affermò che «se manca l’autoefficacia, le persone tendono a comportarsi in modo inefficace, anche se sanno cosa fare»[1], sostenendo quindi l’idea che un altro importante fattore condizionante nelle nostre scelte fosse l’autoconsapevolezza delle scelte stesse: se abbiamo fiducia nelle nostre capacità o abilità abbiamo più probabilità di avere successo, mentre se, invece, abbiamo poca fiducia, non importa quanto ci saremo impegnati, ma saremo condizionati negativamente. Non è solo quindi una questione di possedere la conoscenza e le abilità, ma di essere consapevoli della propria conoscenza.

Bandura volle verificare la sua teoria dell’apprendimento sociale conducendo un esperimento, che sarà poi noto come esperimento della bambola Bobo, su 36 bambini per ogni sesso tra i tre e i cinque anni. Egli divise equamente i bambini in tre gruppi, uno “aggressivo”, un secondo “di confronto” e infine un ultimo “di controllo”. Nel primo gruppo, quello aggressivo, i bambini vennero fatti stare in una stanza con un adulto, complice dell’esperimento, che aveva comportamenti aggressivi verso una bambola gonfiabile chiamata Bobo, picchiandola con un martello giocattolo e gridandole contro. Nel secondo gruppo, invece, gli adulti complici non avevano nessun comportamento aggressivo verso la bambola. Infine, nel terzo gruppo erano assenti adulti e i bambini vennero lasciati da soli a giocare con la bambola e gli altri giochi della stanza.

L’esperimento si concluse con l’osservazione del comportamento dei bambini dei diversi gruppi senza gli adulti-complici. Gli esperimenti furono ripetuti e le conclusioni confermarono la teoria di Bandura: i bambini che avevano osservato comportamenti aggressivi avevano una forte tendenza a emulare questi comportamenti, mentre i bambini del secondo e del terzo gruppo giocavano normalmente, senza un’attenzione particolare per Bobo rispetto agli altri giochi[2].

Gli adulti erano diventati quindi un modello, che i bambini seguivano e che influenzava il loro modo di affrontare le scelte: l’aggressività e la violenza sono quindi frutto dell’apprendimento sociale. Siamo condannati a questa sottomissione psicologica dal contesto sociale e dall’autorità?

Nella storia ci sono state diverse reazioni nei confronti del problema del potere: una prima reazione è stata sicuramente quella dei teorici dell’autoritarismo, sostenendo con fermezza che «avviene necessariamente che una sola persona domini, o che tutte si distruggano»[3].

L’autoritarismo conservatore sostiene la necessità di un sistema autoritario perché altrimenti si piomberebbe nel baratro del caos e del disordine, essendo gli uomini figli dell’autorità. Per questa ragione personaggi come il filosofo e militare francese Louis de Bonald avversavano fortemente la Rivoluzione francese, vista come una rottura ingiustificata del vincolo di un’autorità naturale, alla quale gli uomini non posso ribellarsi, se non distruggendo la propria stessa natura.

Opposta a questa prospettiva è la visione dell’anarchismo, che, invece, sostiene non solo che gli uomini possono liberarsi dell’autorità, ma che essa è contraria alla natura umana, cioè alla sua stessa libertà. Il teorico anarchico russo Michail Bakunin affermò che «occorre abolire completamente, nel principio e nei fatti, tutto ciò che si chiama potere politico, perché fin quando esisterà vi saranno dominatori e dominati, padroni e schiavi, sfruttatori e sfruttati»[4].

Il giogo del potere è quindi la causa dell’ingiustizia e per liberarsi da quest’ultima l’unica soluzione è abolire ogni tipo di autorità.

Bakunin, come anche Marx, credeva che la classe oppressa potesse contrapporsi al potere dell’autorità. La nuova società, che sia quella anarchica di Bakunin o quella comunista di Marx, era frutto della lotta della classe oppressa per liberarsi dal giogo del potere.

Il filosofo e sociologo francese Michel Foucault volle superare questa prospettiva, dato che anche gli antagonisti del potere sono frutto del rapporto di autorità, per questo non basta «cambiare la coscienza della gente o quello che essa ha in testa, ma il regime politico-economico istituzionale di produzione della verità»[5]. La classe oppressa, avendo interiorizzato i modelli sociali imposti dall’autorità, ed essendo essa stessa frutto del suo contesto politico-sociale, deve prima di tutto destrutturare il potere e i suoi dispositivi di controllo.

Potremo, infine, sperare in una lotta che distrugga i meccanismi del potere, dell’autorità e dell’ingiustizia o quest’ultimi sono mali necessari?

[1] A. Bandura, American Psychologist 37, pag. 127

[2] A. Bandura, Ross & Ross, Transmission of Aggression Through Imitation of Aggressive Models, 1961.

[3] L. De Bonald, Œuvres complètes, Paris 1864, I p. 151.

[4] M. Bakunin, Là dove c’è lo stato non c’è la libertà, Casa editrice, Bussolengo 1996, p. 160.

[5] M. Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino , p. 27.


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a cura di Michele Lucivero

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Questo articolo è il frutto della collaborazione tra il giornale Vipiù.it e il Liceo Scientifico, Scienze Applicate, Linguistico e Coreutico “Da Vinci” di Bisceglie (BT) per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO).