“La produzione di Biometano è l’alternativa alle estrazioni del gas a 9 miglia dalla costa veneta, che fra gli effetti nefasti farebbero sprofondare ulteriormente il Polesine”.
Lo chiarisce il docente di Economia dell’energia all’Università di Padova, nonché portavoce dell’opposizione in Consiglio regionale, Arturo Lorenzoni che ribadisce il suo No su tutta la linea a nuove trivellazioni nell’area dell’Alto Mar Adriatico (leggi qui).
“Si tratta di metano estratto dagli scarti delle biomasse agricole – aggiunge -. Possiede un potenziale enorme. In termini di numeri, l’investimento in questa particolare filiera potrebbe assicurare oltre 8 miliardi di metri cubi all’anno a livello nazionale. Per sempre, se lo si desidera.
Il biometano si ottiene da materiale organico di diversa origine – spiega il consigliere – con procedimenti industrialmente maturi e già presenti in Italia, come la frazione organica dei rifiuti, i sottoprodotti dell’industria agroalimentare, le acque reflue e in generale da biomassa vegetale, tramite processi di digestione anaerobica.
Dai digestori si estrae biogas, che a sua volta può essere raffinato, separando il metano dall’anidride carbonica (che oggi ha un mercato importante) e dal digestato, un prodotto solido utile come ammendante (fertilizzante che migliora le caratteristiche fisiche del suolo). La dimensione dei relativi impianti – precisa Lorenzoni – è piuttosto contenuta; peraltro, ha senso dislocarli nelle aree dove c’è maggior disponibilità di materia prima organica.
Il metano così ottenuto è esattamente come quello di origine fossile e può essere trasportato attraverso i gasdotti oppure utilizzato in impianti industriali. Esiste dunque la possibilità di avere un prodotto di grande valore, con ricadute positive in molti ambiti diversi: l’agricoltura locale, l’industria dei servizi, le imprese agroalimentari, sostituendo i flussi di cassa verso i produttori di gas fossile con flussi di cassa verso il nostro territorio, e non vi è pericolo di concorrenza tra usi alimentari dell’agricoltura e usi energetici, dato che sono presenti grandi superfici agrarie non utilizzate.
Tra il 2000 e il 2020, la Sau, Superficie agricola utilizzata, in Italia è diminuita da 12 a 8 milioni di ettari – aggiunge Lorenzoni – In ultima analisi, il biometano rappresenta un’opportunità per creare reddito distribuito, se si organizza la filiera coinvolgendo i diversi attori.
Per quanto riguarda le trivellazioni, le mie perplessità nascono soprattutto sul piano economico: non vedo alcuna ragione razionale per seguire quella filiera tecnologica. Abbiamo stabilito di abbandonare i combustibili fossili il prima possibile. L’accordo di Parigi del 2015, è ormai irraggiungibile, ma ciò non significa non premere il piede sull’acceleratore della decarbonizzazione, da subito.
Non solo. Le quantità estraibili sono appunto poco significative – conclude Lorenzoni – Il Ministro all’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha stimato 15 miliardi di metri cubi sfruttabili dai concessionari nell’arco di dieci anni, meno di 2 miliardi di metri cubi all’anno per una decina d’anni a partire dal 2024, nelle migliori delle ipotesi. A fronte di un consumo nazionale intorno ai 70 miliardi di metri cubi l’anno”, conclude Arturo Lorenzoni.