10 dicembre, Nobel per la Pace consegnato a Ales Bialiatski, Memorial Society e Center for civil liberties

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Da sx. Oleksandra Matviichuk, head of the Center for Civil Liberties in Ukraine, jailed activist Ales Bialiatski and Alexander Cherkasov, Memorial's chairman
Da sx. Oleksandra Matviichuk, head of the Center for Civil Liberties in Ukraine, jailed activist Ales Bialiatski and Alexander Cherkasov, Memorial's chairman

Il 10 dicembre è da tempo una giornata forte per la pace e i diritti umani. Dal 1901, a Oslo, il 10 dicembre si consegna il premio Nobel per la Pace che quest’anno è stato assegnato a tre soggetti (1): Ales Bialiatski, resistente bielorusso, attualmente in carcere senza aver ricevuto un giusto processo; alla Memorial Society, fondata in URSS nel 1987 e ancora attiva, all’estero, nonostante le ovvie difficoltà, e al Center for civil liberties, fondato a Kiev nel 2007 per promuovere i diritti umani e la democrazia in Ucraina, attualmente impegnato a identificare e documentare i crimini di guerra russi contro la popolazione civile.

Dal 1950, invece, il 10 dicembre è anche la giornata mondiale dei diritti umani, istituita due anni dopo la proclamazione, da parte dell’ONU, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Ecco, quest’anno essa si celebra in un clima di negazione generalizzata dei diritti umani. Mi limiterò, pertanto, a ricordare quello che accade in Iran e in Qatar.
In Iran, come è noto, prima le donne, e poi anche gli uomini, soprattutto giovani, e di recente anche i commercianti, stanno ingaggiando, dal 16 settembre scorso, una lotta pacifica col potere satanocratico degli ayatollah, a cui corrisponde una risposta del governo sempre più spietata e crudele, fino all’impiccagione di due giorni fa del ventitreenne Mohsen Shekari, sepolto in tutta segretezza in un grande cimitero di Teheran. Ma già si parla dell’impiccagione imminente di un altro ventitreenne, Mahan Sadrat Marni.
Un’arma usata di recente per mettere al tappeto gli studenti universitari è quella di propinare cibi avvelenati nelle mense universitarie. Tanto che, appena se ne sono accorti, gli studenti hanno risposto disertando queste mense.
Intanto, un medico della provincia centrale di Isfahan ha raccontato di aver «curato una donna sui vent’anni, che è stata colpita ai genitali da due pallottole. Altri dieci pallini erano nella parte interna della coscia. Questi dieci pallini sono stati rimossi facilmente, ma quei due pallini erano una sfida, perché incastrati tra l’uretra e l’apertura vaginale». La polizia, si osserva, fa questo per distruggere la bellezza di questi giovani, uomini e donne. Altri medici denunciano l’atrocità di prendere sempre più di mira gli occhi di donne, uomini e bambini. La crudeltà, imperdonabile perché gratuita, è uno dei modi, che il regime usa per restare abbarbicato a un potere che gli sta sfuggendo di mano. Questo affermano molti resistenti che sembrano animati da un coraggio sovrumano pur di abbattere questo sistema nemico della vita e della gioia di vivere. In pratica, questa protesta non è politica, bensì esistenziale, come mostra lo slogan “donna, vita, libertà”
Lo ribadisce la scrittrice iraniana, Azar Nafisi, esule negli USA, in un’intervista pubblicata oggi su “La Stampa”: «Assistiamo a un’ondata di proteste completamente diversa dal passato, per questo la violenza del regime è maggiore. Non siamo di fronte a una protesta politica, il popolo lotta oggi per la propria esistenza. Lo slogan “donna, vita, libertà” non evoca un’ideologia ma dice che la vita delle iraniane e degli iraniani dipende dalla libertà: è uno slogan esistenziale non politico. Ecco perché la teocrazia si sente così minacciata e risponde con tanta brutalità, ma non funzionerà».

E passo al Qatar, dove il disprezzo della vita dei lavoratori immigrati, morti o gravemente feriti in incidenti sul lavoro nella costruzione di stadi e strutture alberghiere, ha raggiunto un apice con la dichiarazione di Nasser Al Khater, Ad della coppa del mondo che si gioca in Qatar. Questo bellimbusto ha avuto la sfrontatezza di definire la morte “una parte naturale della vita, sia sul lavoro che nel sonno”, quando la prima domanda di un giornalista ha riguardato la morte di un operaio filippino avvenuta l’8 dicembre. Una morte che si aggiunge ai già 6500 decessi di lavoratori impiegati nelle costruzioni legate ai mondiali, come denunciato da “The Guardian” che ha avuto
accesso a documenti governativi del Qatar.
Ma, insomma, ha continuato al Khater, che volete? Siamo nel bel mezzo della Coppa del mondo che è stata un successo, e volete parlare, proprio ora, di un operaio morto? “E’ strano che vogliate concentrarvi su questo argomento come prima domanda”, ha aggiunto.

Violenza diretta, crudeltà dissennata, disprezzo per la vita di un migrante che cercava pane per la sua famiglia lontana …

Ecco lo sfondo su cui si celebra questa giornata mondiale dei diritti umani.

Ce n’è di strada da fare. Molta, davvero molta. E ci riguarda tutti, perché ogni tortura, ogni morte di esseri umani, perpetrata da gente indegna, tronfia del suo potere e dei suoi soldi, grava sulla coscienza di tutti noi. Senza sconti.

1- https://www.wired.it/article/nobel-pace-2022/#:~:text=Il%20premio%20Nobel%20per%20la%20pace%202022%20%C3%A8%20stato%20assegnato,ucraino%20Center%20for%20civil%20liberties