Dopo mesi di proteste in Iran, che si sono intensificate con l’inasprirsi della repressione governativa, i funzionari hanno iniziato a giustiziare pubblicamente i manifestanti, provocando una nuova ondata di indignazione da parte dell’opinione pubblica iraniana che chiede la fine del regime teocratico del Paese.
Le impiccagioni, la prima è avvenuta giovedì in una prigione vicino a Teheran, la seconda lunedì nella città nordorientale di Mashhad, hanno provocato un’intensa condanna da parte dell’opinione pubblica e dei gruppi per i diritti umani, e anche critiche da parte di alcune figure di spicco dell’establishment clericale iraniano che hanno messo in dubbio la validità religiosa delle condanne a morte.
Dall’inizio delle proteste a settembre, le forze di sicurezza iraniane hanno ucciso centinaia di iraniani, in una dura risposta caratterizzata da arresti e pestaggi di massa, assalti militari e l’uccisione di decine di adolescenti e bambini.
I gruppi per i diritti umani dicono che almeno 450 manifestanti sono morti e le Nazioni Unite affermano che 14.000 sono stati arrestati.
Ora, le esecuzioni pubbliche sono ampiamente considerate come un ultimo tentativo da parte del governo di reprimere una rivolta che è diventata la più profonda e diffusa dalla rivoluzione del 1979 che ha portato i chierici al potere.
Oltre alle proteste di piazza in decine di città più volte alla settimana, una campagna di scioperi generali ha preso slancio in tutto il Paese, minacciando ulteriormente un regime che già si trova in una situazione economica precaria.
Fonte: The Vision