Carlo Nordio garantista: oltre l’ovvio cosa intende dire il guardasigilli quando si definisce tale?

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Carlo Nordio, il garantista
Carlo Nordio, il garantista

In qualsiasi contesto, in ogni suo scritto e in ogni sua intervista, il neo ministro Carlo Nordio (qui altre nostre note su di lui, ndr) sottolinea, con enfasi e con malcelato orgoglio, di essere un garantista.

Sorge allora una spontanea domanda: ma cosa significa essere “garantista”? E cosa intende dire il guardasigilli quando si definisce tale?

Professionalmente, per oltre quaranta anni (con qualche sforamento, anche se abbastanza significativo), ho svolto funzioni di giudice nella giustizia civile, la cui essenziale connotazione è la contrapposizione tra interessi, soprattutto patrimoniali ed economici, tra due o più parti. Il “garantismo” che un cittadino si aspetta dall’esercizio di un tale tipo di giustizia è uno soltanto, riferito al giudice: quello di poter contare su un magistrato preparato, terzo e saggio.

Un tale concetto è talmente banale che, quando, nel 1999 (a seguito della legge costituzionale 23-11-1959 n. 2), il legislatore ha voluto prevedere (art. 111 c.2 Cost.) che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale…”, ho sinceramente provato un istintivo senso di sconforto, essendomi chiesto: “ma cos’altro può essere un giudice se non terzo e imparziale”?

Mi sembra quasi offensivo che un legislatore glielo debba imporre, perché è proprio l’essenza del giudicare che presuppone, in se stessa, un’imprescindibile imparzialità. Sarebbe come dire, per legge, che un medico deve avere di mira il miglioramento della salute dei pazienti o che un avvocato deve difendere, nei limiti del possibile e del lecito, le ragioni del proprio assistito.

In un processo nel quale l’attribuzione della ragione ad una parte, comporta necessariamente, l’attribuzione del torto all’altra, il garantismo non può avere un diverso significato.

Resta, dunque, da pensare che, quando Nordio si è (orgogliosamente) attribuito quella definizione, intendesse riferirsi, ancora una volta, alla giustizia del settore penale.

Ma, se così è, mi chiedo, pur sempre, cosa intenda Nordio quando parla di garantismo, che – come ben si sa – può essere declinato sia a destra, sia a sinistra. Leggendo le linee guida del suo programma politico, di cui tanto hanno scritto i giornali in questi giorni, ci si chiede, allora: limitare l’uso delle intercettazioni, anche per risparmiare gravosi costi alle casse dello Stato, è espressione di garantismo? Mi pare di poter rispondere di no, poiché il loro abuso (purtroppo reale) deve essere colpito solo sanzionando disciplinarmente i magistrati che non usano il buon senso nel limitarne le autorizzazioni; e, per questi abusi, il ministro dovrebbe ricorrere più spesso agli accertamenti del suo Ispettorato.

Reprimere, poi, le continue fughe di notizie con la comunicazione alla stampa dell’esito delle intercettazioni è un dovere che nulla ha a che fare con il garantismo. Anche il diritto che ogni cittadino ha di non essere processato in piazza e di non essere barbaramente travolto dai processi mediatici deve essere salvaguardato non da un generico atteggiamento garantista del ministro, ma dalle sacrosante sanzioni a carico di chi viola la riservatezza, pubblici ministeri, giudici o avvocati che siano.

La separazione delle carriere dei magistrati deve essere pensata non tanto in funzione di una loro terzietà e imparzialità (le quali – ripeto – devono sussistere per il solo fatto di svolgere il mestiere di magistrato), ma solo per rendere più difficile quello che già teoricamente esiste: la possibilità che un giudice si lasci condizionare, nell’emettere le decisioni, dal fatto che a sostenere l’accusa sia un collega. Come, analogamente, dovrebbe avvenire con un avvocato amico; perché non è proibito ad un giudice essere buon amico di un avvocato, ma gli è fatto obbligo di mantenere, comunque e sempre, la sua imparzialità, la quale è un valore culturale di un uomo e non  può essere frutto di un’imposizione.

Neppure le opinioni del neo ministro sulla prescrizione possono costituire espressione di un suo asserito credo garantista: l’apparente contraddizione tra garantismo ed efficienza processuale nasce dall’anomalia del sistema penale orale, che allunga i tempi del processo, e della legge sulla prescrizione, che, negli altri Paesi, viene ancorata al momento del primo atto del giudizio. Solo questo esclude che l’imputato tragga vantaggio dal prolungamento del processo, nella speranza di salvarsi, attraverso la prescrizione, appunto, da una sentenza di condanna.

Anche le ripetute critiche alla cosiddetta legge Severino, ritenuta lesiva dei diritti politici dei cittadini, mi sembrano prive di senso. Quella norma mira – giustamente – a tutelare la collettività (e non il singolo cittadino indagato o condannato non in via definitiva), perché intende evitare, nell’interesse di tutti, che, nella gestione della cosa pubblica, finiscano per infiltrarsi personaggi politici opachi. È certo vero che, se quel politico fosse, poi, assolto, gli si creerebbe un grave danno; ma, francamente, ritengo più grave e più pericoloso per i cittadini (che devono avere la priorità) veder condannato, dopo il processo, un soggetto a cui, nel frattempo, in nome di un garantismo di facciata e alquanto farisaico, si è consentito di partecipare al governo del Paese.

E, infine, mi chiedo quale possa essere il garantismo (per la collettività, è bene sempre precisarlo) rinvenibile nell’altro cavallo di battaglia del guardasigilli: la discrezionalità dell’azione penale.

Il principio scelto dal nostro Paese e sancito dalla Costituzione è quello dell’obbligatorietà di essa e sancisce il dovere del pubblico ministero di perseguire tutti i reati di cui, in qualunque modo, abbia avuto conoscenza. Ma, poiché lo Stato non è in grado di farlo, per una serie di ragioni, qualcuno ha pensato che tale obbligatorietà sia, in realtà, un mito, e che, dunque, sia preferibile adottare il modello che lascia ai magistrati la libertà di scegliere i reati da perseguire (a parte certi delitti, considerati gravissimi), finendo per consentire che rimangano impuniti quelli per i quali essi ritengano di non aver tempo o interesse. Dovrebbero, conseguentemente, essere aperte le porte ad un‘allarmante discrezionalità dei singoli inquirenti. Mi pare ovvio che questa auspicata libertà di scelta dei reati da perseguire ben potrebbe, impunemente, prestarsi a distorsioni, accompagnate da favoritismi, da un lato, o da persecuzioni, dall’altro. E’ garantismo questo?

In sostanza, si ha l’impressione che tutti (o quasi) i punti delle linee guida di riforma pensati dal Nordio garantista finiscano per infragilire il sistema penale e per renderlo ancor meno efficiente; ma, soprattutto, mi pare che di garantista abbiano ben poco.

Sempre che i beneficiari di questo tipo di garantismo siano, nel pensiero del ministro, i comuni cittadini…