“Nascondere il problema sotto al tappeto serve solo a far dormire sonni tranquilli ai politici, rimandando le soluzioni. Così facendo, però, non solo si danneggia la salute e si aumentano i costi sanitari, ma si mette a rischio anche l’intero settore agroalimentare e stessa credibilità del Made in Veneto, viste le restrizioni sui Pfas sollecitate da molti paesi: per questo chiediamo di reagire!”. Così la consigliera regionale Cristina Guarda di Europa Verde che denuncia per l’ennesima volta il comportamento della Regione del Veneto sul tema dei Pfas, in questo caso contestando le risposte e i dati parziali riguardanti le analisi degli alimenti in zona rossa forniti alle MammeNoPfas e Greenpeace, nonostante la sentenza del Tar, chiara nel chiedere la massima trasparenza.
“Giustificare la mancanza di ben 340 rapporti di prova e altre incongruenze- osserva la consigliera – giocando sull’anno di campionamento, laddove la richiesta riguardava tutti i campionamenti indicati nella delibera di gennaio 2017, è una pessima operazione di mero formalismo, una patente beffa che però è anche una inottemperanza alla sentenza del Tar e dunque un pregiudizio alla trasparenza, alla stessa azione amministrativa, alla prevenzione sanitaria. Nulla di nuovo, tuttavia: i veneti sono al corrente di novità o pericoli dei Pfas solo grazie all’azione supplente dell’istituzione regionale di fatto svolta da comitati e politici di opposizione, e non dall’istituzione regionale. Resta il fatto che l’inquinamento da sostanze chimiche ‘eterne’ in Veneto c’è, e non spiegare le conseguenze a imprese e cittadini coinvolti è una responsabilità gravissima”.
“Oggi denunciamo per l’ennesima volta questa inattività e proponiamo conoscenza e strategie, assieme ai cittadini protagonisti di questa battaglia, l’avvocato Cerruti, Michela Zambon e Cristina Cola, che assieme a comitati, associazioni, gruppi Gas, si stanno sostituendo alla Regione facendo informazione e analizzando opportunità, assieme. Ricordiamo – sottolinea Guarda – che i Pfas sono sostanze che si bioaccumulano negli organismi viventi e aumentano il rischio di patologie cardiovascolari, tumorali, colpendo in particolare donne, neonati e bambini e aumentano il rischio di morti premature. Ecco perchè l’Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare dal 2017 al 2020 ha ridotto da 1650ng/kg pc la dose massima assumibile al giorno di Pfoa e Pfos, a 0.63ng/kg pc per la somma di 4 Pfas, Pfoa, Pfos, Pfhxs per un cittadino qualsiasi. Significa che un abitante dell’area rossa o arancio, che già possiede nel sangue valori elevati di Pfas, non dovrebbe proprio assumerne altri, né con l’acqua, né col cibo, aria, prodotti per la cucina, abiti, cosmetici…”.
“Se questa urgenza sanitaria non bastasse a stimolare la maggioranza che governa la regione per intervenire in favore della riduzione della contaminazione negli alimenti, sia quantomeno da sprone il rischio economico cui sono soggetti i settori coinvolti dell’inquinamento, anzitutto la produzione agroalimentare. Oltre alla trasparenza dei dati, – aggiunge la consigliera – servono azioni e progetti per sostenere gli agricoltori e gli operatori della sicurezza alimentare: da gennaio 2023, infatti, devono rispettare un primo regolamento europeo, il regolamento 2022/2388, che vieta la commercializzazione specifiche produzioni alimentari determinate concentrazioni di 4 tipi Pfas. Chiediamo dunque di aiutare le aziende fornendo la possibilità di analisi dei prodotti oggetto del regolamento attraverso una rete istituzionale, dato che attualmente sono pochissimi i laboratori attrezzati per questo tipo di analisi. Chiedo inoltre anche un supporto economico, visto che nelle zone inquinate da Pfas dal Basso veronese a Rovigo gli agricoltori sono vittime dell’inquinamento. Si tratta peraltro di questioni che ho recentemente posto alla Giunta regionale con una mia interrogazione. Oltre a questo rilanciamo ricerca e diffusione di strategie, pratiche agronomiche, l’uso di varietà più resistenti, eliminando l’uso di concimi e fitosanitari contenenti Pfas. Sono necessarie delle azioni per ridurre l’esposizione della produzione alle sostanze pfas trattenute nei suoli o trasportate dalle acque di falda o superficiali utilizzati per l’irrigazione, con un sistema di assistenza specifico per gli imprenditori locali, come fanno Baden Würrtemberg, lo stato del Maine, o l’istituzione Victoria in Australia”, conclude Guarda.