Si sono verificati plurimi e diversificati eventi, anche molto recenti, che stanno a confermare quella che ormai era un’opinione largamente condivisa, ancorché rimasta ancora troppo in ombra nel mondo dei media: l’ostinata linea accusatoria nel processo contro Vincenzo Consoli (ex amministratore delegato di Veneto Banca e additato dal PM, in primo e secondo grado del processo penale a suo carico, come suo padre padrone e unico responsabile del disastro finale dell’Istituto) è basata essenzialmente su una perizia di parte (redatta dal dott. Luca Terrinoni, ispettore di Bankitalia – qui altri contenuti che lo riguardano, ndr – e scelto, in un primo tempo, dalla Procura della Repubblica di Roma, pur se poi dimostratasi territorialmente incompetente e, in un secondo tempo, da quella di Treviso) si sta progressivamente sbriciolando sotto il peso delle verità che via via emergono.
La sua relazione, sostanzialmente ignorata dalla Procura di Roma, è stata, invece, utilizzata, come una sorta di vangelo, da quella di Treviso, il cui rappresentante (significativamente applicato nella funzione accusatoria anche in secondo grado, giusto per sottolineare un, neppure tanto apparente, accanimento sulle solite posizioni, in gran parte verosimilmente preconcette) si è impegnato non poco a mettere in fila la lunga sequenza di considerazioni inutili, di luoghi comuni, di frasi fatte e di errori valutativi, che aveva connotato il suo precedente intervento in primo grado.
Cosicché le sue trionfalistiche dichiarazioni rilasciate alla stampa all’esito del processo di secondo grado (per la tenuta dell’impianto accusatorio) mi hanno convinto a scrivere queste, sia pur sintetiche, considerazioni, nel tentativo di dare un piccolo contributo al ristabilimento di una verità che, leggendo la relazione del dott. Terrinoni, mi è parsa fortemente mortificata. Avendo svolto il lavoro del magistrato per 45 anni, ho deciso di non tollerare ancora queste continue mistificazioni e questa violazione della regola costituzionale della presunta innocenza di una persona fino alla sua definitiva condanna.
Ritengo allora doveroso ricordare che la relazione del Terrinoni sul valore delle opere d’arte acquisite da Veneto Banca si è rivelata essere una clamorosa bufala; essa evidenzia, più di ogni altro elemento, la lettura in malam partem di ogni iniziativa posta in essere da Consoli: dopo aver ricordato il suo (di Consoli), ben noto, “interesse per oggetti d’arte e di valore, come pure la sussistenza di rapporti particolarmente confidenziali con alcuni galleristi ed antiquari” (tanto per adombrare un fosco ambiente affaristico in cui Consoli si sarebbe mosso), il Terrinoni testualmente scrive: “in estrema sintesi rapporti di spesa presentano gravi e diffuse irregolarità: serie perplessità sussistono poi i prezzi di acquisto sostenuti dalla banca, pari anche ad un decuplo del valore stimato dalle case d’arte interpellate e spesso decisamente superiori al costo fra il 68% e l’80%”.
Manco a dirlo, le considerazioni del consulente del PM Terrinoni finiscono subito in mano alla stampa (insieme ad altre valutazioni del pubblico ufficiale romano su altri fatti e pensieri, ovviamente sempre in malam partem) e, quindi, si scatena il concentrico attacco a Consoli e alla banca, la quale subisce un non indifferente danno reputazionale, di cui, altrettanto ovviamente, nessuno risponderà davanti a un giudice.
La stampa parte in resta e grida a “crostopoli”, denunciando all’opinione pubblica lo scandalo degli acquisti di presunte opere d’arte a caro prezzo per farvi la cresta: “… acquistate per 14 milioni di euro opere d’arte che, in realtà, valgono l’80% in meno – scrive, ad esempio, Dagospia il 6 giugno 2017 – … un vecchio trucco: si paga ufficialmente coi soldi della banca (ovvero dei risparmiatori) e poi il venditore ci ridà indietro una mazzetta in nero …”.
E poi lo stesso 6 giugno, gli fa eco (ma molto più educatamente) Il Fatto Quotidiano: “nuova inchiesta della Procura di Roma sulla gestione dell’era Consoli. Secondo i consulenti … un quadro di Guglielmo Ciardi fu acquistato per 414 mila euro: 404 mila euro in più rispetto alla quotazione corrente … il consulente dei giudici (rectius del PM) rileva gravi e diffuse irregolarità e parla di serie perplessità sui prezzi di acquisto …”.
Poi Panorama (“i dettagli della mala gestione nell’era Consoli … Panorama ha potuto consultare il fascicolo …”) e come mai il fascicolo è finito in mano alla stampa, giusto per sputtanare (mi si perdoni il termine) le predestinate vittime sacrificali dell’indagatore romano? Chissà! E perché mai nessuno si è posto questo problema? Come si può spiegare che i rilievi critici (in gran parte errati, come si vedrà) del disinvolto consulente Terrinoni siano immediatamente finiti in mano alla stampa, anche nella parte in cui essi coinvolgevano persone del tutto estranee all’indagine?
In sostanza, dunque, la relazione del Terrinoni, sulla base di qualche sbrigativa perizia, commissionata a improbabili esperti, e, manco a dirlo, subito fatta propria dal PM trevigiano, accusa pesantemente Consoli di aver truffato la stessa Veneto Banca per aver fatto una pesante cresta sull’acquisto di manufatti di scarsissimo valore spacciati per opere d’arte
Perciò anche in appello, il PM ha gridato allo scandalo e ha dipinto il dominus della banca, suo padre padrone, come un volgare truffatore, arricchitosi coi denari dei risparmiatori.
Poi il colpo di scena: l’opera Amore e Psiche, gesso di Canova, (pagato dalla banca, all’epoca di Consoli, 575 mila euro, ma valutato nella relazione del Terrinoni tra i 26 mila e 69 mila euro!) è stato venduto all’asta, per conto della Liquidazione Coatta Amministrativa, che l’aveva acquisita, per ben 1 milione e 200 mila euro. Cioè per un prezzo più che doppio rispetto a quello di acquisto. Aspettiamo, ora, con ansia, la vendita all’asta del dipinto di Guglielmo Ciardi; ma non credo ci sia una sola persona assennata disposta a credere che il realizzo possa essere in linea con la ridicola quotazione attribuitagli dal perito del PM (circa 8.000 euro: per un Guglielmo Ciardi?).
Ci si chiede, allora: ma di questo scempio mediatico non deve rispondere proprio nessuno? E su questo scempio inquisitorio, ripetuto dall’imperterrito rappresentante della pubblica accusa anche in secondo grado, pur dopo che l’opera Amore e Psiche era stata venduta all’asta con il grandissimo successo economico ormai noto, dovrà ancora mantenersi il silenzio per rispetto all’autorità giudiziaria? Ma proprio per questo mi è parso molto fuori luogo manifestare, da parte del dott. De Bortoli, massima soddisfazione per la conferma dell’impianto accusatorio.
L’episodio è molto grave soprattutto perché è una delle significative spie di un preoccupante pressappochismo indagatorio che potrebbe, prima o poi, colpire anche tutti noi.