Processo d’appello BPVi, l’avv. prof. Rodolfo Bettiol analizza e commenta le 1124 pagine delle motivazioni della sentenza

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Processo d’appello BPVi
Processo d'appello BPVi: sentenza con motivazioni della Corte d'Appello di Venezia

La sentenza su Processo d’appello BPVi della Corte d’Appello di Venezia emessa in data 10/10/2022 depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023 (qui il nostro primo commento, su Bankinveneto.it il testo completo nella sezione Premium, ndr) che vede appellanti Giustini Emanuele, Marin Paolo, Piazzetta Andrea, Zonin Giovanni avverso la sentenza di condanna, nonché appellante il Pubblico Ministero nei confronti di Pellegrini Massimiliano, Zigliotto Giuseppe avverso la sentenza di assoluzione, lo stesso Zigliotto assolto, nonché appellante la Banca Popolare di Vicenza in L.C.A., non può certo dirsi una sentenza di mera conferma della sentenza del Tribunale di Venezia del 19/03/2021  (qui tutte le udienze e i fatti collaterali su ViPiu.itqui “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo”, il libro/documento sul primo grado da noi pubblicato, a breve il libro sull’appello prenotabile a 12 euro scrivendo a elas@editoriale-elas.org, ndr).

Di immediato rilievo è la riduzione delle pene inflitte ai condannati, la condanna di Pellegrini, la revoca della confisca, la revoca della provvisionale a favore della Banca di Italia e della CONSOB. A ciò vanno aggiunti l’accoglimento dell’appello di alcune parti civili avverso la sentenza di assoluzione di Pellegrini, la riduzione delle sanzioni ed D.Lvo 231/01 nei confronti della Banca Popolare di Vicenza in L.C.A.

Va però detto che la Corte aderisce in pieno alla ricostruzione dei fatti materiali operata dal Tribunale.

Alla base della condanna vi è il fenomeno della c.d. baciate, cioè quello dei finanziamenti fatti dalla Banca di Vicenza per l’acquisto delle proprie azioni variamente poi valutate sotto il profilo giuridico per l’avvenuto occultamento degli stessi.

Di più la Corte aggiunge alla valutazione che detto ricorso al finanziamento non è dovuto solo alla crisi del mercato secondario, ma legato, altresì, alla volontà di mantenere il valore di titoli azionari, titoli di per sé sopravvalutati atteso il non brillante andamento della reddittività della Banca, andamento al contrario enfatizzato in fantasiosi piani industriali, puntualmente smentiti dalla realtà. Il perché della riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza viene illustrata nel corso dell’esame della sentenza.

La Corte da ampia illustrazione della sentenza di primo grado, degli appelli degli imputati, degli appelli del Pubblico Ministero, delle parti civili, delle B.P.VI.

Successivamente illustra i motivi della decisione.

Preliminarmente la stessa pone una premessa metodologica in ordine alla competenza, al reato di aggiotaggio al reato di ostacolo alla vigilanza, al falso in prospetto, ai criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato, alla chiamata in correità di Giustini Emanuele.

Vediamo gli stessi uno per uno.

Ripetutamente è stata sostenuta dalle difese l’incompetenza del Tribunale di Vicenza a favore di quello di Roma o di Milano. Vi sarebbe stata una comunicazione alla Banca d’Italia anteriormente alle ispezioni in loco della stessa presso la sede della Banca. Il reato più grave, quello di ostacolo alla vigilanza sarebbe dunque stato commesso in Roma al cui Tribunale andava riconosciuta la competenza a giudicare. In alternativa secondo le difese (erroneamente) il reato più grave sarebbe stato quello di falso in prospetto in quanto reato più grave rispetto all’aggiotaggio, e all’ostacolo alle funzioni di vigilanza.

Replica la Corte che la competenza si fonda sulla contestazione dell’accusa operata dal PM che non ricomprende la precedente comunicazione indicata dalla difesa.

Del resto nel corso delle indagini preliminari la competenza del Tribunale di Vicenza era stata statuita dalla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte appare ad avviso di chi scrive corretta.

Corretta altresì, appare la statuizione della Corte in merito ai contestati delitti di aggiotaggio.

Difformemente da quanto sostenuto dal Tribunale non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012 – 2015) 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo) bensì soltanto quattro reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell’azione quanto alla rappresentazione all’esterno dei fondamentali della banca che confluivano nel bilancio oggetto della pubblicazione.

Ciò ha riflesso sul trattamento sanzionatorio.

Osserva, peraltro, la Corte che è maturata la prescrizione per i reati di aggiotaggio perfezionati negli anni sino al 2014.

Con riferimento al reato di ostacolo alla vigilanza afferma la Corte che in ogni ipotesi va ravvisato quanto previsto dal secondo comma dell’art. 2338 c.c. escludendo quanto affermato dal Tribunale con riferimento al capo B che ha ravvisato entrambi i reati previsti dal I^ e II^ comma così come con riferimento al capo M1. Il criterio di consunzione esclude la pluralità di reati, tanto con riferimento all’attività ispettiva del 2012 quanto con riferimento all’attività di controllo della Banca d’Italia nel corso dell’Asset Quality Review  e della BCE nell’ambito del Comprenhensive Assesement. In ogni caso si è in presenza di un medesimo accadimento materiale.

Concorda con il Tribunale la Corte nell’affermazione che non vi è unitarietà nell’ostacolo nelle funzioni di vigilanza protratta per un triennio, ritenendo piuttosto integrate distinte attività di vigilanza ciascuna completamente esauritasi e, quindi, in conclusione va affermata la sussistenza di una pluralità di reati.

Quanto ai reati di falso in prospetto, difettano specifiche doglianze ed osserva la Corte che gli stessi vanno considerati estinti per avvenuta prescrizione.

Sempre nell’ambito delle valutazioni in generale la Corte respinge l’invocato criterio del “ne bis in idem” sostanziale che verrebbe a restringere ad uno i reati contestai.

Gli appelli sul punto si fondano sulla identità della condotta – finanziamento per l’acquisto di azioni -.

Osserva, peraltro, la Corte, condivisibilmente che l’identità del fatto non è data dalla sola condotta ma, altresì, dall’evento e ciò vale a distinguere i distinti reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in prospetto.

Parimenti la Corte respinge gli atti di appello fondati sul “nemo tenetur se detegere”. Secondo la difesa una corretta esposizione dei fatti dopo la prima falsità verrebbe a configurarsi come autodenuncia. Osserva la Corte che l’indicato principio è di natura strettamente processuale e non può essere invocato per consentire di violare obblighi di natura sostanziale.

Giustamente osserva la Corte, come già aveva affermato il Tribunale che l’accoglimento di tale principio in sede di diritto sostanziale porterebbe a conseguenze inaccettabili.

La Corte di giustizia della Comunità Europea ha escluso che il diritto al silenzio possa giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all’attività di vigilanza ovvero, manovre dilatorie, ovvero, ancora, l’omessa consegna di dati, documenti o registrazioni preesistenti rispetto alla richiesta dell’autorità.

La Corte condivide con il Tribunale i criteri di individuazione della quantificazione delle operazioni di capitale finanziato.

Con tali operazioni si è falsificata l’entità del patrimonio di vigilanza, affermando ratios patrimoniali inesistenti rispetto agli investimenti.

Il patrimonio di vigilanza deve sussistere ed essere disponibile immediatamente, non rilevando il merito creditizio del soggetto finanziato.

Fatto di rilevo nel corso del processo d’appello è che l’imputato Giustini ha depositato una memoria, contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente etero accusatorie; quindi si è sottoposto nuovamente all’esame rendendo un ampia e completa confessione e chiamato i coimputati alle rispettive responsabilità.

Per vero, afferma la Corte che il fenomeno delittuoso risultava agli atti del processo, ma le propalazioni di Giustini sono state tutt’altro prive di utilità circa il ruolo ricoperto nei fatti da taluni imputati, e, notevole rilievo hanno assunto con riferimento alla posizione del Pellegrini e dello Zonin.

Ritiene la Corte che non vi sono ragioni per dubitare dell’attendibilità soggettiva di Giustini.

Quanto al profilo dell’intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice.

Le dichiarazioni di accusa sono poi corroborate da una serie di convergenti elementi di prova ben al di là di semplici riscontri.

Fatte le premesse di ordine generale la Corte possa passa poi a motivare le proprie decisioni rispetto agli appelli dei quali ha dato conto nell’introduzione della sentenza.

Preliminarmente la Corte da atto della difficoltà nella ricostruzione dei fatti sia per la complessità della materia, sia per le reticenti dichiarazioni dei testi preoccupati, come nel caso dei consiglieri di amministrazione per le conseguenze sanzionatorie sia pure amministrative a loro carico.

Alla fine, peraltro, è stata possibile la ricostruzione dei fatti grazie anche alle prove documentali e alle intercettazioni.

La Corte esamina gli appelli presentati con dovizia di analisi critica. Non è possibile darne atto se non riproducendo l’intera sentenza. La trattazione deve pertanto limitarsi ad alcuni cenni.

Quanto all’appello di Giustini, la Corte da atto della sua rinuncia in punto responsabilità. Parimente fondato è il suo appello con riferimento al numero effettivo dei delitti di aggiotaggio e condivisibili le istanze difensive con le quali si chiede che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 C.P., sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti e ridotta l’entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv C.P. a titolo di continuazione.

La Corte respinge l’appello di Giustini quanto alle eccepite costituzioni di parte civile riferiti a coloro che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa e hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlate.

Manca in ogni caso l’indicazione specifica delle parti civili di cui si chiede l’esclusione.

Respinge la Corte poi l’appello di Giustini in merito alla nullità dei contestati reati di falso in prospetto, essendo i fatti adeguatamente contestati.

La Corte procede poi a ridurre la pena inflitta al Giustini concedendo la prevalenza delle attenuanti generiche.

Lo stesso risulta pertanto condannato per i reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza e per un residuo reato di aggiotaggio della pena complessiva di anni 2 mesi 7 e giorni 15. Per il resto vi è la prescrizione.

Di tutto rilievo è l’accoglimento dell’appello di Giustini, con riferimento alle provvisionali disposte a favore della Banca d’Italia e della Consob. Le stesse calcolate sui costi di ispezione sono state ritenute dalla Corte non dovute, in quanto non può costituire danno il costo sostenuto per l’attività istituzionale di sorveglianza e controllo. Resta ferma la condanna generica al risarcimento del danno.

Per quanto riguarda l’imputato Marin, la Corte accoglie l’appello per i fatti commessi nel 2015 essendo passato a rivestire la carica di direttore generale della siciliana Banca Nuova in data 18/12/2014. Del tutto estraneo è poi il Marin rispetto ai contestati falsi in prospetto.

Un punto fondamentale dell’appello del Marin è il malgoverno probatorio del Tribunale che nell’occuparsi della ispezione condotta da Banca d’Italia nel 2012. Secondo il teste Ambrosini e lo stesso Marin gli stessi avrebbero fornito agli istruttori tutti gli incartamenti (informatico, cartaceo quanto digitale) relativi ad una complessiva quindicina circa di posizione dei soci che avevano fruito di finanziamenti correlati.

Il Tribunale al contrario avrebbe dato credito alla tesi negativa degli ispettori. La versione del Marin non è ritenuta credibile dalla Corte stante le incongruenze delle sue affermazioni e quelle dell’Ambrosini, pure risentito nel dibattimento d’appello, e le smentite di alcuni testimoni.

Per il resto, attese anche le stesse dichiarazioni del Marin, la Corte respinge l’appello.

In definitiva Marin viene assolto per i reati di falso in prospetto per non aver commesso il fatto e per le condotte di ostacolo alla vigilanza successive al 31/12/2014.

Viene dichiarata la prescrizione dei delitti di aggiotaggio, salvo uno.

Ferma la responsabilità per i reati di ostacolo alla vigilanza la pena inflitta risulta essere di anni 3 mesi 4 giorni 15 di reclusione.

Per quanto riguarda Piazzetta la Corte respinge le eccezioni di nullità della sentenza dallo stesso sollevate.

Nel merito la stessa afferma la consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuato in BPVI e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte.

Diverse sono le prove enunciate dalla Corte, tra le altre citiamo gli appunti scritti di Mariano Sommella circa gli argomenti del comitato di direzione dell’8/11/2011, il file audio del comitato di direzione del 10/11/2014, l’esplicita chiamata in correità operata in udienza del 15/06/2022 da Emanuele Giustini, il contenuto di una intercettazione, i finanziamenti effettuati in favore delle società Lussemburghesi Makalu, Juppiter e Broom girati da questa alle società italiane Pelmo Luce e Ginestra negli anni 2012 e 2013 per l’acquisto di azioni della banca, gli investimenti nei fondi esteri Athena ed Optimum. Da tutto ciò pronuncia di prescrizione dei reati di aggiotaggio (salvo uno) e la condanna per i reati di ostacolo alla vigilanza in continuazione.

Infondati sono i motivi di appello presentati da Zonin Giovanni. Infondato è il motivo per il quale si contesta la consapevole partecipazione dello stesso alle operazioni di capitale finanziato.

Per la Corte il ruolo concretamente svolto da Zonin è già indicato in una ispezione della Banca d’Italia leader indiscusso della banca e svolgente un ruolo dominante in seno ad un CdA in cui raramente si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri. Zonin quale ispiratore delle strategie aziendali era apparso anche nelle successive ispezioni della Banca d’Italia dal 2009 al 2012.

Zonin provvedeva a selezionare gli ingressi nel CdA e nel collegio sindacale.

Il teste Lovison ha riferito la propria emarginazione conseguente al rifiuto di votare in assemblea come indicato dallo stesso.

Lo stesso Zonin sceglieva i manager da assumere e ne controllava e influenzava l’attività.

Non un presidente di rappresentanza ma un presidente esecutivo in maniera importante come da più testimonianze, presente in Banca a Vicenza e a Roma tutti i giorni.

Tra Zonin ed il direttore generale Sorato vi era una forte consonanza ed un inossidabile legame; gli stessi erano sempre in contatto.

Nel memoriale prodotto da Giustini si scrive che il presiedente era il vero amministratore delegato della banca.

A sostegno delle dichiarazioni proprie Giustini ha allegato documentazione. Lo stesso Giustini in sede dibattimentale conferma tale affermazione e lo stretto legame tra Zonin e Sorato (il principale ispiratore ed organizzatore delle operazioni “baciate” giudicato separatamente).

Di scarso rilievo sono per la Corte le prove della difesa dirette a sostenere la figura di Zonin quale presidente di mera rappresentanza.

Plurime testimonianze e documentazione dimostrano come affermato dall’imprenditore Roncato che Zonin era il capo, il padrone della Banca, era il presidente della Banca, il riferimento di tutti.

Insostenibile è affermare che vi fosse stata una sorte di muro invalicabile che il DG Sorato avrebbe eretto per confinare il presidente ed impedirgli di avere contezza della prassi delle operazioni correlate.

In realtà la conoscenza delle c.d. baciate era largamente diffusa nella banca.

Segnali d’allarme erano presenti sia ai componenti del CdA e ai Sindaci sanzionati in via definitiva (cass civile 4519/22) per averli ignorati.

Se logicamente può affermarsi la conoscenza di Zonin al fenomeno criminoso osserva la Corte come poi sussistono elementi specifici a prova. In primo luogo la testimonianza di Gatti e Manni relativi ad un colloquio con Zonin con gli ispettori della Banca d’Italia.

A carico di Zonin sono le intercettazioni di Sorato di univoco tenore. Significativo elemento di prova sono poi le dichiarazioni di Giustini in sede di rinnovazione del dibattimento anticipata da un memoriale scritto.

Afferma Giustini di avere avuto una interlocuzione diretta con Zonin in occasione della vicenda Caffa un imprenditore che proponeva ricevendo un finanziamento di acquistare due milioni di azioni. Nel colloquio avuto con Zonin, assieme a Piazzetta il 4 maggio 2015, Zonin affermò di essere a conoscenza delle operazioni parziali.

Sempre secondo Giustini Zonin era a conoscenza delle problematiche relative al mercato secondario. Alle dichiarazioni Giustini ha allegato varia documentazione. Di rilievo le intercettazioni a carico di Sorato.

A tali elementi probatori la Corte ne aggiunge ulteriori quali i rapporti dell’imputato con svariati soci titolari di partecipazioni di rilievo con BPVI e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro. (Bernardini De Pace, Donata Irneri, Fratelli Ravazzolo, Zuffellato, Ferdinando Rigon, Giovanni Roncato). Di rilievo alcuni messaggi SMS dei dirigenti inerenti proprio ad alcune operazioni correlate (Ferrari 11 milioni, Morato 14 milioni, Ferrari 20 milioni, Dalla Rovere e Cattaneo) con cui si sollecitava il benestare del Presidente in alcune operazioni correlate.

Di fronte ad un quadro probatorio convergente si ritengono insostenibili le difese note ad affermare che l’imputato non avrebbe avuto conoscenza del capitale finanziato.

Al contrario alcuni episodi si risolvono in elementi a carico come nel caso delle dichiarazioni di Dalla Grana in assemblea dei soci e la vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Villa il cui avvocato con lettera a Zonin e al CdA giustifica la rottura del rapporto di lavoro per la pressante richiesta di reperire clienti disposti a sottoscrivere operazioni baciate.

Ulteriori considerazioni svolge la sentenza.

Tra le altre il richiamo alla deposizione di Rigon che riferisce di aver detto allo Zonin di avere sottoscritto un acquisto di finanziato di azioni BPVI per 150 mila euro e che Zonin si era dimostrato compiacente.

Non sono irrilevanti per la Corte le deposizioni della teste Irneri, di Hauser, di Pitacco. Scarso peso hanno dunque le argomentazioni difensive. La Corte conclude per la condanna in anni 3 e mesi 11 di reclusione per i reati di ostacolo alla vigilanza in continuazione e per un residuo reato di aggiotaggio non prescritto.

La Corte accoglie il motivo d’appello di Zonin relativo alla confisca per l’equivalente disposto ai sensi dell’art. 2641 C.C.. La confisca per il rilevante importo 963 milioni appare, invero, non osservante il principio di proporzione e va revocata.

La Corte respinge l’appello di Zigliotto diretto alla modificazione della formula assolutoria il fatto non costituisce reato, nella formula non aver commesso il fatto.

Osserva la Corte che sotto il profilo materiale le operazioni poste in essere da Zigliotto integrano il fenomeno del finanziamento correlato all’acquisto di azioni.

Quanto all’appello del Pubblico Ministero nei confronti di Zigliotto, la Corte conferma la sentenza assolutoria del Tribunale difettando la prova della sua consapevolezza delle entità del fenomeno e delle manipolazioni attraverso l’occultamento delle operazioni correlate.

La Corte d’appello accoglie l’appello proposto dal Pubblico Ministero nei confronti di Pellegrini Massimiliano, responsabile della redazione dei bilanci e delle ulteriori informative contabili assolto per insufficienza di prove dal Tribunale.

Nella sostanza gli elementi già in atti confermano la consapevolezza del Pellegrini circa il fenomeno dei finanziamenti correlati all’acquisto delle azioni che sarebbero dovuti essere iscritti in apposita voce del passivo del bilancio.

Risolutiva è, peraltro, la chiamata di correo di Giustini. Il Pellegrini direttamente o attraverso suoi dipendenti aveva partecipato a diverse riunioni della banca in cui espressamente si era parlato delle c.d. baciate.

Espressamente afferma il Giustini di aver parlato delle stesse con il Pellegrini.

La Corte afferma una posizione di garanzia del Pellegrini ritenendo quindi responsabile dell’omissione fatta e concorrente nei reati contestati al vertice dell’istituto.

Le testimonianze a discarico vengono dalla Corte giudicate inattendibili. Pena finale è di anni 3 e mesi 11 di reclusione per i reati di ostacolo alla vigilanza e il residuo reato di aggiotaggio.

La Corte respinge l’appello proposto da BP.VI in liquidazione coatta avverso la disposta sanzione amministrativa ex d.lgs.2001/n.31.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante afferma la Corte che i reati sono stati commessi, sia pure per un malinteso interesse della banca e non nell’interesse esclusivo degli imputati. Ancora osserva la Corte come il modello organizzativo della Banca non fosse idoneo ad impedire la commissione dei reati contestati.

La sanzione viene, peraltro, diminuita per l’erogazione fatta dalla banca agli azionisti. Confermata è la confisca di € 76.212.687,50.

Da ultimo, va rilevato come trovino accoglimento gli appelli delle parti civili proposti nei confronti dell’assoluzione del Pellegrini.

Infondato è dichiarato l’appello di una parte civile che aveva richiesto la dichiarazione di nullità dei contratti di finanziamento sottoscritti per l’acquisto di azioni, domanda inammissibile in sede penale.

Conclusivamente la sentenza ad un suo complesso, conferma il quadro accusatorio quanto alla sussistenza dei reati e alla responsabilità del direttivo della banca. L’intervenuta prescrizione porta ad una riduzione delle pene inflitte, sussistendo in definitiva con una eccezione, il solo ostacolo alla fase di vigilanza non prescritto in virtù della contestata aggravante di cui al III^ comma dell’art. 2638 c.c..

Congrua ed addirittura sovrabbondante appare la motivazione che dovrebbe resistere al vaglio del presumibile giudizio di Cassazione.

Resta da vedere se l’affermato principio di proporzionalità che ha escluso la confisca a carico degli imputati resisterà al vaglio della Corte di Cassazione in caso di impugnazione del Pubblico Ministero.