Montecchio Maggiore, fatture false per mezzo milione di euro: sequestro della Guardia di Finanza a ex società di elettrodomestici

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Avevano emesso fatture false per circa mezzo milione di euro: la Guarda di Finanza di Vicenza ha operato un sequestro per oltre 100 mila euro nei confronti del management di una ditta di Montecchio Maggiore.

Il provvedimento, eseguito su mandato della Procura della Repubblica di Verona, è stato eseguito dai finanzieri berici nei confronti del legale rappresentate e dell’amministratore di fatto della società vicentina, ora in liquidazione, che operava nel settore del commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica.

Il provvedimento cautelare, emesso dal Gip di Verona, ha permesso di sottoporre a sequestro somme di denaro giacenti su uno dei conti correnti societari per 102.264,75 euro.

Le indagini delle Fiamme Gialle di Arzignano svolte in precedenza si erano concluse con la denuncia all’autorità giudiziaria del titolare e del prestanome della società per aver indicato, nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2012, costi fittizi per 589.239,75 euro mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, al solo scopo di evadere l’imposta sul valore aggiunto.

La frode fiscale era avvenuta grazie all’interposizione all’azienda di Montecchio Maggiore di una serie di società fittizie, operanti come “società cartiere” (leggi qui).

“La società controllata – spiegano dal comando provinciale della guardia di finanza di Vicenza -, infatti, quale cessionario finale, aveva beneficiato insieme ad altri soggetti economici, tutti operanti nel settore del commercio di materiale tecnologico-informatico, di un complesso meccanismo di frode carosello all’Iva mediante la reiterata emissione-utilizzo di fatture false, emesse quindi per operazioni inesistenti.

In particolare, si era avvalsa di fatture soggettivamente inesistenti emesse da una c.d. società filtro (o “buffer”) con sede a Vicenza, e inattiva dal 2011, rappresentata dalla compagna dell’amministratore di fatto dell’azienda.

In tal modo erano stati allungati i passaggi documentali riferiti alla merce proveniente da fornitori comunitari, ostacolando quindi la ricostruzione del flusso reale dei beni, e consentendo al beneficiario della frode di ottenere un duplice vantaggio: fiscale, derivante da un credito Iva pari a 102.264,75 euro per l’acquisto di beni in regime ordinario, imposta non assolta già in origine dall’importatore-società cartiera (o “missing trader”); economico, dato dalla possibilità di presentarsi sul mercato con prezzi più competitivi rispetto alle aziende di settore sane e rispettose delle regole, che operano senza utilizzare artifici contabili”.