Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il dilemma è: democrazia o autocrazia?

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Conferenza di Monaco sulla sicurezza, credits Contropiano
Conferenza di Monaco sulla sicurezza, credits Contropiano

Alla Conferenza internazionale di Monaco sulla Sicurezza si discute della differenza tra democrazie relisienti e autocrazie autoritarie, ma siamo sicuri di saperle distinguere?

Giunta alla sua 59° edizione, la Conferenza internazionale di Monaco di Baviera sulla Sicurezza ha concluso i suoi lavori il 19 febbraio, praticamente quasi ad un anno esatto dallo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia.

Novantasei i paesi invitati. Nessun rappresentante russo presente, dal momento che la Russia non è stata invitata al vertice. Nessuno spiraglio di pace all’orizzonte, anzi “ni”, perché a sorpresa è stato il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, Wang Yi, ad affermare: «Siamo dalla parte del dialogo, la pace deve avere una chance», anche perché lo spettro della guerra nucleare lo imporrebbe. Sul tavolo, realisticamente, c’è anche la questione di Taiwan. L’appello cinese alla pace è visto, tuttavia, con grande sospetto dagli USA, che hanno ribadito come ogni sostegno militare letale offerto dalla Cina alla Russia sarà interpretato come atto ostile e comporterà «gravi conseguenze» per Pechino.

Nel frattempo, durante lo svolgimento della conferenza di Monaco, Putin si è incontrato con il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka per consolidare gli accordi economici e politici tra i due paesi. Ma all’interno della società della trasparenza questi accordi manifesti ne celano altri nascosti, che magari verranno svelati solo tra qualche mese o tra qualche anno.

Ma, tornando al meeting, ad aprire la Conferenza di Monaco è stato l’immancabile e onnipresente presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky con un discorso in cui, adottando addirittura esempi biblici, ha rimarcato la differenza di forze in campo: «Noi siamo il Davide del mondo libero e dobbiamo battere il Golia russo» che minaccia tutto il continente. Poi, ha sottolineato, ancora una volta, il bisogno di armi occidentali utili per difendersi dall’aggressione russa e, da questo punto di vista, bisogna constatare che l’intesa transatlantica della NATO a sostegno di Zelensky si dimostra essere totale. Putin va isolato, deve fallire, perché, come ha affermato la vicepresidente degli USA Kamala Harris, «la Russia ha commesso crimini contro l’umanità», le stragi di Bucha e Mariupol sono il risultato di «attacchi sistematici contro la popolazione», per cui, ha garantito, proseguiranno le indagini internazionali sui crimini di guerra.

Tuttavia, al di là delle parate e delle manifestazioni orientate a generare l’opinione pubblica necessaria per creare consenso, sostenere il loro potere e generare ad hoc il nemico da combattere, ciò che emerge dalla Conferenza internazionale di Monaco è il classico paradosso che si trovano a vivere i regimi liberali: vogliamo la democrazia o la sicurezza?

Intanto va chiarito che sul tavolo c’è un Rapporto sulla Sicurezza di Monaco 2023 ottenuto elaborando i dati sulla percezione del rischio globale, ma tenendo in considerazione l’opinione di sole dodicimila persone dei dodici paesi aderenti al G7 e al BRICS, cioè escludendo una fetta di popolazione che deve fare i conti con la fame, le epidemie e la povertà assoluta. Il Munich Security Index utilizzato per stilare il Rapporto scompone le percezioni del rischio sociale in base a cinque parametri: il rischio complessivo, il possibile danno causato dal rischio, lo sviluppo previsto nel tempo, la probabilità di accadimento e la valutazione di quanto il proprio paese sia preparato al rischio.

Ciò che ne risulta, ad esempio, è che per gli italiani, rispetto allo scorso anno, è scemata la percezione del rischio dovuta alla diffusione del Coronavirus (-17), mentre permane altissima, al primo posto, la percezione di insicurezza per i cambiamenti climatici e per l’aumento delle diseguaglianze socio-economiche. A crescere sono, invece, la percezione dei rischi derivanti da possibili crisi finanziarie (+12), dall’uso di armi nucleari (+17), biologiche (+10), chimiche (+10), dalla scarsità di cibo (+10), ma, soprattutto, a crescere in maniera incontrollata è senso di insicurezza derivante dalla minaccia “Russia” (+22).

Lasciando da parte la questione riguardante il ruolo svolto dai media nell’orientare e nel generare le ansie e le fobie di quella che abbiamo più volte definito psicoinformazione, o come dice Han l’Infocrazia[1], assolutamente funzionale alla gestione del potere, vorremmo soffermarci, invece, su un altro punto che emerge in maniera palese dai lavori della Conferenza Internazionale di Monaco e cioè l’alternativa posta sin dall’inizio dei lavori tra democrazie liberali resilienti e regimi autocratici autoritari.

In realtà, l’alternativa tra regimi politici incompatibili, quello democratico e quello autocratico, che Zelensky, insieme a tutto l’Occidente, vuole avallare è del tutto arbitraria e fallace, priva di fondamento politico, sociale, storico ed economico. Prova ne è il fatto che in un passaggio cruciale si evidenzi come «molti governi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia non siano stati disposti a prendere posizione contro l’aggressione della Russia». Tuttavia, se è vero che «i potenti autocrati non sono soli nella loro profonda insoddisfazione per le norme e le istituzioni internazionali esistenti», da ciò non deriva che «la semplice difesa dello status quo è non abbastanza per respingere efficacemente i revisionisti autocratici», richiedendo così ad ogni piè sospinto un surplus di sicurezza e di armamenti per abbatterli militarmente. Semmai, il fatto che molti paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, alle prese con ben altri problemi, si siano mostrati freddi davanti al conflitto NATO-Ucraina-Russia dimostra chiaramente che l’insoddisfazione per le norme e le istituzioni internazionali investe sia le democrazie liberali sia i regimi autocratici autoritari, percepiti perlopiù come sistemi politici senza alcuna soluzione di continuità.

In fondo, come dargli torto? Qual è di fatto, la differenza tra una presunta democrazia liberale, che generalmente ha un’astensione del 60%, che elegge come Presidente un tycoon («magnate dell’industria, personaggio potente e autoritario», cit. Oxford Languages) ed un regime autocratico che nel 2018 elegge come Presidente con il 76% dei voti per ulteriori sei anni di mandato un ex funzionario del KGB? Del resto, non sfugga che i due personaggi, insieme a qualche altro a noi più vicino, erano anche in ottimi rapporti di amicizia…come dire, chi si somiglia, si piglia!

[1] B.C. Han, Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, Einaudi, Torino 2023.

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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