Le predicazioni contro l’usura: San Bernardino da Feltre e Beato Marco da Montegallo

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Le predicazioni contro l’usura: San Bernardino da Feltre e Beato Marco da Montegallo in un approfondimento a quatto mani per Laltravicenza.

SAN BERNARDINO DA FELTRE

Detto comunemente Bernardino da Feltre dalla città dove vide la luce nel 1439, primogenito del nobile e facoltoso Donato Tomitano e di Corona Rambaldoni, cugina del celebre educatore Vittorino, il beato fu battezzato col nome di Martino. Assunse quello di Bernardino in onore dell’apostolo senese, di cui rinnovò la prodigiosa attività di predicatore, entrando il 14 maggio 1456, a Padova, tra i Frati Minori Osservanti della provincia veneta. Fanciullo d’ingegno precoce, avido di letture, fece rapidi progressi negli studi umanistici, tanto che a undici anni leggeva e parlava il latino con facilità.

Gli furono maestri il Guarino Veronese, Damiano da Pola e Giacomo da Milano. Studente di diritto a Padova, era ammirato da tutti per la serietà della condotta e l’intelligenza. Già aveva interpretato come segni ammonitori del cielo la morte repentina e immatura di tre suoi professori universitari, Zaccaria Pozzo, il Romanello e Giacomo de’ Zocchi, dai quali il giovane Martino era singolarmente amato, quando predicò nella città il francescano Giacomo della Marca, discepolo di Bernardino da Siena. La sua parola finì per convincerlo e Bernardino prese l’abito dei Minori, compiendo un rigoroso noviziato nel piccolo convento di S. Orsola, fuori le mura della città. Invano il padre andò a trovarlo per distoglierlo dal proposito: Bernardino, infatti, lo persuase che quella era la sua vocazione. Finito il corso di teologia a Venezia, fu ordinato sacerdote nel 1463. Dopo aver insegnato grammatica per alcuni anni, il capitolo provinciale veneto lo nominò predicatore.

Da quell’anno (1469) fino alla morte non cessò di predicare e percorse l’Italia centro- settentrionale (come limiti geografici si possono segnare approssimativamente Trento-Milano e L’Aquila-Roma) molte volte, a piedi scalzi, trovandosi spesso in frangenti difficili per le avverse condizioni atmosferiche, la fame, i pericoli di guerre, le espulsioni da parte di principi, l’odio degli usurai e degli ebrei, e perfino per l’indiscreto zelo di devoti, che minacciavano di calpestarlo quando non era protetto da armigeri. Bernardino tenne ventitré Quaresime, cioè una ogni anno, a partire dal 1470, eccetto il 1472 (era infermo). Stupiva i contemporanei che un uomo così fragile come Bernardino potesse avere tanta resistenza agli strapazzi: egli era di statura esigua, amava firmarsi nelle lettere piccolino, di salute delicata, spesso ammalato e minato dalla tisi che lo condusse a morte. Le sue prediche attiravano uditori senza numero e se lo contendevano le città più illustri, ricorrendo anche al papa per averlo. Qualcosa di certo sul modo e sui temi della sua predicazione si può ricavare dal quaresimale di Padova del 1493 e dall’Avvento di Brescia dello stesso anno, conservatici dal francescano Bulgarino, che fu suo compagno. Bernardino è parlatore vivo: come Bernardino da Siena, dialoga col popolo, racconta spigliatamente, lancia argute sferzate che vanno al segno. Lotta contro gli sfacciati costumi delle donne, le ingiustizie legali, le usure; esorta ai Sacramenti, alla devozione alla Madonna (della quale difende apertamente l’immacolato concepimento), all’amore per il prossimo, specialmente verso i poveri indifesi. Promotore dei Monti di Pietà (ne aprì a Mantova nel 1484, a Padova nel 1491, a Crema e Pavia nel 1493, a Montagnana e Monselice nel 1494), nonostante la forte opposizione della maggior parte dei suoi confratelli, sostenne, da esperta giurista, che era lecito esigere il pagamento di un modesto interesse sul mutuo, necessario al funzionamento della organizzazione bancaria. Contro l’usura fu inflessibile. Una grave lotta sostenne a Trento nel 1476 quando accusò gli ebrei di strozzinaggio e al fondo della sua drammatica cacciata da Firenze, in una notte della Quaresima del 1488, ci fu il risentimento della Signoria contro quel frate, debole di corpo ma coraggioso d’animo, che aveva denunziato le angherie fatte alla povera gente da prestatori senza coscienza. In nessun caso Bernardino fuggì le responsabilità del suo ministero: fu cacciato da Milano dal duca Ludovico il Moro (1491) perché aveva confutato in pubblico dibattito un astrologo, favorito del principe. A Padova, durante la peste del 1478, continuò a predicare, sebbene ne fosse più volte sconsigliato, perché nell’assembramento della gente poteva più facilmente propagarsi il contagio; egli invece mirava a rincuorare tutti, a spronare i sani affinché si dedicassero alla cura degli ammalati, dando egli stesso l’esempio negli ospedali, nelle case private, fino ad essere contagiato dal male.Vicario provinciale dei Minori osservanti veneti al tempo dell’interdetto lanciato dal papa Sisto IV contro la Repubblica (1483), pur dolendosi dell’infelice sorte spirituale della patria, obbedì al Sommo Pontefice e comandò a tutti i frati dipendenti di lasciare i conventi, provvedendo però a farne rimanere qualcuno per l’indispensabile servizio religioso. Per questo ebbe l’esilio perpetuo dal doge, come ribelle, con un decreto, revocato peraltro nel 1487. Bernardino incontrò sereno la morte a Pavia il 28  settembre  1494,  avendo interrotto pochi giorni prima del trapasso la predicazione, a causa dell’aggravarsi del male. Venerato subito dal popolo, il suo culto fu confermato nel 1654 per l’Ordine francescano e le diocesi di Feltre e Pavia. I Minori ne celebrano la festa il 28 settembre.

Predicazioni
Effige di Beato Marco e L’Urna del Beato Marco a San Giuliano

BEATO MARCO DA MONTEGALLO

Il Beato Marco nasce a Montegallo, (Ascoli Piceno) nel 1425, muore a Vicenza, 19 marzo 1496. Figlio del nobile Chiaro de Marchio, studia all’Università di Perugia e poi a Bologna laureandosi in Legge e Medicina. Sposa, per volere del padre, la nobile Chiara Tibaldeschi, ma convive in castità. Alla morte del padre, i coniugi si separano scegliendo la vita religiosa, lei entra nelle clarisse di Ascoli e lui tra i francescani. Fece il noviziato a Fabriano, poi come superiore a San Severino diventando, col confratello Giacomo da Monteprandone il fautore dell’apostolato sociale. Le principali piaghe del secolo erano le discordie civili e l’usura. La sua intensa attività si svolge ad Ascoli, Camerino, Fabriano.

A Vicenza arriva nel 1486, dopo che una sollevazione di popolo aveva cacciato gli ebrei. Predicava la carità tra l’entusiasmo del popolo, con l’approvazione delle autorità diede vita alla nuova istituzione, compilando lo Statuto per assicurarvi il buon funzionamento. Marco intravvedeva nell’usura la principale afflizione dell’anima e per questo sosteneva l’istituzione necessaria dei Monti di Pietà in ogni centro urbano, con la funzione di prestare senza interessi o “regalie” a chi avesse bisogno per evitare di rimanere vittime di usurai o di speculatori. “Era compito del Monte far sì che ognuno “negli occorrenti bisogni, con benefizio del pegno, potesse ricevere denari in prestito, senza interesse, se la somma non superava le lire sei, con interesse nelle somme maggiori, però mai oltrepassante l’annuo pro del cinque per cento.” Il perno su cui il frate predicatore fece ruotare la sua idea fu la costituzione di un patrimonio proprio, proveniente dalle donazioni liberali, esente da obblighi e i cui frutti avrebbero garantito l’attività del Monte stesso. Marco si mise a perorare la causa dei poveri e raccolse 200 ducati per iniziare l’attività. Le prime operazioni di prestito su pegno, venivano svolte nella Chiesa di San Vincenzo in Piazza, ma crescendo d’importanza, il Monte, dovette cercare una nuova sede per “tenervi i pegni del Monte di Pietà”. La costruzione iniziata nel 1499 consta di due edifici gemelli che guardano sulla Piazza Grande, con al centro la Chiesa di San Vincenzo. Tutto il complesso nel 1614, è abbellito dalla facciata monumentale della chiesa con statue del vicentino G.B. Albanese. La Fondazione Monte di Pietà di Vicenza è ancora attiva e continua, certo con gli aggiornamenti apportati dal tempo e con il trasferimento del credito a specifiche istituzioni, il servizio offerto alla città. Marco da Montegallo fu colto da malore e morì a Vicenza il 19 marzo 1496; venne sepolto nella Chiesa di San Biagio Vecchio, ora distrutta. Il culto del beato ebbe una conferma da Papa Gregorio XVI°, il 20 settembre 1839. La salma nel 1530 venne custodita per qualche tempo dalla nobile famiglia Vajenti, finché trova degna sistemazione nella chiesa di San Giuliano in Corso Padova, sotto apposito altare.

Di Luciano Parolin e Davide Lovat da Storie Vicentine n. 5 Novembre-Dicembre 2021

In uscita il prossimo numero di Marzo 2023

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Fonte: Le predicazioni contro l’usura: San Bernardino da Feltre e Beato Marco da Montegallo , L’altra Vicenza