Il mostro capitalista e la coscienza rivoluzionaria: l’oppressione genera il male? (IV)

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Gli schemi delle relazioni di potere plasmano e condizionano la nostra psiche: costruiscono una personalità contemporaneamente schiava e masochista, asservita alla logica dominante e sadica, che si fa complice di questa stessa logica.

Il filosofo che ha messo in evidenza i limiti della concezione individualistica e trascendente della coscienza umana è stato Karl Marx, compiendo una disamina sociale dell’autorità presente. Nella sezione dell’Ideologia tedesca dedicata alla critica all’individualismo anarchico di Max Stirner, Marx scrive, infatti, che il capitalismo non è altro che un Unwesen, parola tedesca che significa mostro e che è composta da wesen (essenza) con un prefisso di negazione. Il liberalismo e ogni sistema filosofico che parta da una concezione astratta della coscienza individuale e della libertà sono dei mostri. L’Unwesen dell’astrazione aliena la coscienza, facendo illusoriamente credere che esistano individui separati dalla collettività e con una coscienza pre-sociale.

L’analisi filosofica e sociologica di Marx si estende e comprende anche una critica al processo di estraniazione di chi è vittima, oppresso nella logica del dominio autoritario, che è alienato dalla società a causa della sua oppressione economica e del suo contesto socio-culturale egemonizzato dalla logica delle relazioni autoritarie. L’identità è quindi solo un sottoprodotto sociale del sistema di relazioni intersoggettive?

A questo proposito è interessante notare come l’uomo sia l’animale con uno dei sistemi istintuali meno sviluppati tra i mammiferi, e che parte del suo sviluppo biologico avviene dopo la nascita con il neonato già inserito nelle dinamiche sociali. Inoltre il costruzionismo contemporaneo e la sociologia della conoscenza hanno cercato di dare una risposta al problema della creazione collettiva dell’identità sia individuale che sociale. Il sociologo francese Émile Durkheim è stato uno dei primi sociologi e pensatori che ha coniato il termine coscienza collettiva, per descrivere l’insieme di elementi culturali, credenze e altre caratteristiche dei gruppi sociali. La coscienza collettiva ha un’origine sociale per definizione, ma influenza e condizione anche la coscienza del presunto individuo e mette in luce i meccanismi di influenza che subiamo dal contesto socio-culturale.

Dal punto di vista etico, Nietzsche elaborò una teoria sull’origine della morale e delle idee astratte umane, considerate come la prova della trascendenza della coscienza individuale dalla società e dalla natura. Nella Genealogia della morale, sostenne che quest’ultima è un prodotto umano e non un qualcosa di divino o di superiore all’uomo stesso. Le nostre azioni, i nostri comportamenti e la nostra coscienza morale sono solo un prodotto umano e vanno considerate come tali. Seppur da una prospettiva differente, la critica alla morale divina del nichilismo attivo di Nietzsche pone un ulteriore tassello per la critica dell’analisi astratta dei fatti umani e dell’uomo stesso. Ci pone in una seria riflessione sull’origine dei nostri comportamenti più nobili, conciliabile con la posizione di Darwin secondo cui queste facoltà nobili umane conservano ancora il tratto della loro umile e bestiale origine.

Questa problematica, insieme alla considerazione che la coscienza personale non è altro che una costruzione sociale e culturale, sollevano l’interrogativo sulla capacità di resistenza e di pensiero critico. Se l’identità è generata socialmente e se l’autorità plasma persino la nostra personalità psicologica, come è possibile sostenere la possibilità della rivolta contro l’autorità? Non si tratta solo di cercare se sia possibile rivoltarsi, ma osservare che esiste una certa capacità critica nell’uomo anche se non volessimo sostenere posizioni contro l’autorità. La riflessione e il pensiero filosofico, sia in difesa o in contrapposizione all’autorità che in cerca di una spiegazione sull’origine delle istituzioni autoritarie, non possono non partire dalla considerazione di Erich Fromm che gli schemi delle relazioni di potere plasmano e condizionano la nostra psiche: costruiscono una personalità contemporaneamente schiava e masochista, asservita alla logica dominante, e sadica, che si fa complice di questa stessa logica.

A partire dalla considerazione che i gruppi sociali condizionano la nostra identità, la riflessione è aperta e una possibile soluzione l’ha data Herbert Marcuse nel suo grande rifiuto complessivo e globale della logica del dominio. Sarà forse possibile trovare uno spunto per una ulteriore riflessione su questa problematica integrando questa concezione di Marcuse con la genealogia della rivolta di Albert Camus, che pone l’origine della coscienza in rivolta nella solidarietà collettiva tra gli schiavi in catene e nello sviluppo della conoscenza aperta e critica e con un’analisi concreta dei fenomeni sociali e della stessa genesi sociale dell’io.

Quest’articolo è la quarta parte di un testo scritto per la finale delle XXXI Olimpiadi di filosofia, intitolato: l’oppressione genera il male? (Qui la terza parte)


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a cura di Michele Lucivero

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