E sono 500… i morti sul lavoro al 20 luglio 2023: al 20 luglio 2023 erano erano 466

748
Morti sul lavoro
Morti sul lavoro, per Erika Baldin (M5S) "Vittime di un sistema malato"

Ridare dignità e sicurezza al lavoro. Scrive Carlo Soricelli curatore dell’Osservatorio nazionale morti sul lavoro che il 19 luglio sono morti 6 lavoratori. Di questo uno aveva solo 20 anni, tre di 75, 65 e 59 anni sono morti dal caldo.

E continua affermando che, con i tre morti del 20 luglio, dall’inizio dell’anno al 20 luglio sono 500 i lavoratori morti per infortunio nei luoghi di lavoro. In questo numero spaventoso ci sono tutti anche chi ha un’assicurazione diversa da INAIL o chi non ne ha nessuna perché, ad esempio, lavora in nero.

Il 12 luglio i morti per infortunio nei luoghi di lavoro erano 466. In 8 giorni, quindi, 34 persone hanno perso la vita mentre lavoravano. Più di 4 ogni giorno.

Alla stessa data dell’anno scorso, i morti per infortunio nei luoghi di lavoro furono 446. Nell’anno che va dal 20 luglio 2022 a oggi sono 811 i morti per infortunio nei luoghi di lavoro.

Una strage che è in continua crescita così come il silenzio soffocante che copre questi “omicidi sul lavoro”. È un massacro per noi intollerabile ma che, per “lorsignori”, sembra rientrare nella normalità.

Indifferenza? Non solo. Crediamo che sia soprattutto una “scelta ideologica” che riduce lavoratrici e lavoratori a “capitale umano”, a strumenti, cose che hanno un prezzo che deve essere il più basso possibile. Altrimenti perché, di fronte ai numeri (che hanno la testa dura) che ci dimostrano come in Italia i salari reali siano calati nel corso degli ultimi decenni, non si vogliono leggi che prevedano retribuzioni più alte legate all’aumento del costo della vita? Perché si parla tanto di diminuzione delle tasse che, poi, va a beneficio dei più ricchi? Perché si investono decine di miliardi in armamenti togliendoli, di fatto, ai servizi pubblici? E infine, ma si potrebbe continuare, perché la ricerca e l’innovazione tecnologica non vengono indirizzate a risolvere i problemi della collettività, ma si lasciano in mano a chi deve fare profitto?

Si veda, il problema non è solo politico o economico, è sostanzialmente ideologico. Si vuole un sistema dove esistono gli sfruttatori e gli sfruttati. E dove è “normale” che siano gli sfruttati a pagare la ricchezza degli sfruttatori.

Lo Stato, il “pubblico”, viene relegato al ruolo di spettatore e di erogatore di denaro al “privato”. Si smantellano sanità e istruzione pubbliche (non abbiamo imparato niente dalla pandemia o ci siamo dimenticati di cosa si diceva e scriveva tre anni fa?) e si finanziano, di fatto, quelle private. Il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale viene sempre più indebolito. Certo i “nostri governanti” parlano al futuro, usano “vedrete”, “faremo”, “ci impegneremo” … Ma poi tutto peggiora. Le condizioni di lavoro peggiorano, la povertà aumenta, i più ricchi diventano sempre più ricchi. Sembra di assistere, impotenti, al declino di un impero, a un progressivo sgretolamento dei principi e dei valori che dovrebbero essere alla base di una società democratica: solidarietà, distribuzione della ricchezza, rendere chi lavora protagonista dello sviluppo industriale ed economico del paese.

Fermiamo il declino sociale del paese, è compito nostro, di ognuno, lottare per questo.

Articolo precedenteCome uscire dal sovraindebitamento, Codici: la liquidazione dell’incapiente, un’occasione unica per ripartire
Articolo successivoEnotour presso Tenute Bradascio: una nuova stella nella Valle d’Itria
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.