L’amicizia con un click: basta davvero? Nella Giornata internazionale dell’amicizia

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Amicizia
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Fattori di rischio e fattori protettivi per prevenire la dipendenza nella Giornata internazionale dell’amicizia.

Com’è cambiata l’amicizia in questi ultimi anni?

La pandemia ha cambiato ognuno di noi e ha avuto un impatto enorme sulle relazioni familiari, romantiche e di amicizia, si è intensificato l’utilizzo dei social network e banalmente, sembra bastare un click per trasformare qualcuno in “amico”, con amici e/o fidanzati/e in ogni parte della terra.

Basti un click per guadagnarsi un amico?

Derrick de Kerckhove, direttore del McLuhan Program in Culture and Technology, docente e sociologo di fama internazionale, spiega al “Il Sole 24 ore”: «come l’avvento dei social network, e in particolare di Facebook, abbia radicalmente modificato il nostro modo di intendere i rapporti sociali, parole importanti come “amicizia” e “amico” non indicano lo status effettivo di una relazione, ma in questo caso le sue potenzialità ancora tutte da esplorare, un futuro possibile che non si è ancora verificato, una “promessa”».

Bene o male?

Difficile rispondere. Fortunatamente l’amicizia reale tiene ancora duro, soprattutto tra i bambini: è quella che si crea tra i banchi di scuola, nei pomeriggi di sport insieme, nelle gite delle famiglie, nelle feste, perché come diceva Cicerone, la felicità non esiste, se non è condivisa con qualcuno. L’amicizia è anche ciò che rende familiare un luogo anonimo: un muretto, una casa, un campo di calcio di periferia, che si colorano dei ricordi che abbiamo passato lì con le persone a noi care.

Dal punto di vista psicologico l’amicizia ha bisogno di condivisione, affetto e fiducia, e soprattutto di quel guardarsi negli occhi, di parlarsi osservando la postura, lo sguardo dell’altro, tutti aspetti della comunicazione non verbale. Ogni atto comunicativo è prima di tutto non verbale, che è il grande assente nella comunicazione on line. Inoltre, attraverso i social posso essere chi voglio, mascherare il mio stato d’animo, negare le mie emozioni, la mia fragilità, ma evitare non sono non risolve il problema, ma lo peggiora, in quanto il tentativo di evitare ciò che spaventa, ha come effetto il sentirsi sempre meno capaci di farvi fronte.

È innegabile che i social hanno anche aspetti positivi nel favorire il mantenimento e il consolidamento delle relazioni sociali, nel dare quel di più alle relazioni vis-a-vis, oltre ad essere un valido sostegno per le persone che hanno importanti difficoltà relazionali, offrendo la possibilità di creare dei legami, seppure virtuali. A fronte di pregi e difetti del virtuale, non possiamo dimenticare che il grande rischio dei social è di “isolare invece che unire”, l’attuale fenomeno del Phubbing.

Che cos’è il fenomeno del Phubbing?

Il termine unisce le parole “phone” e “snubbing”, e descrive l’atto di snobbare qualcuno in un ambiente sociale (Karadağ et al., 2015) e questo lo si può chiaramente vedere nelle persone che si trovano a cena fuori, con gli amici o col partner, e aspetti come: la convivialità, il guardarsi negli occhi, si sostituiscono al volto chino sullo smartphone per guardare gli ultimi post pubblicati dai contatti su Facebook o Instagram, per rispondere alle chat di Whatsapp, o ancora per controllare la mail, con il rischio che diventi un’ossessione.

Uno studio condotto da un gruppo di psicologi dell’Università del Kent e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Applied Social Psychology ha messo in evidenza come la virtualità, in questo caso, rischia di danneggiare la qualità della relazione amicale reale e abbassa il tono dell’umore. Questo fenomeno infatti va a intaccare gli stessi bisogni fondamentali dell’uomo (Maslow): bisogno di appartenenza, di autostima, di attribuzione di significato e controllo, portando a un vissuto di ostracismo e isolamento.

Quali sono i fattori di rischio?

Un fattore predisponente o perpetuante del phubbing può essere la Fomo, ovvero la paura di essere tagliati fuori, che indica una forma di ansia sociale che rinnova il desiderio di un costante contatto con le attività altrui. Il termine sottende anche la paura dell’esclusione da contesti sociali gratificanti. Anche la nomofobia, il timore di rimanere senza connessione, è considerata come un potenziale fattore predisponente.

Quali sono i fattori protettivi?

Un fattore protettivo è l’autocontrollo. Impariamo a darci delle piccole regole come: il mettere da parte il cellulare quando si è tavola, per riuscire a dare la giusta attenzione all’altro, disattiviamo le notifiche dai social media e diamoci un tempo in cui guardarle, come ad esempio a fine giornata o un’ora al giorno. Coloro che invece faticano a reprimere i propri impulsi sono maggiormente predisposti alle dipendenze. Come tutte le dipendenze e ossessioni se inizialmente danno un piacere a breve termine, poi ne deriva anche ansia e inquietudine. Cambiare le nostre abitudini significa anche prendersi cura di sé, perché tali dipendenze possono comportare disturbi alla vista, mal di testa, tensioni muscolari, difficoltà nel sonno e altri disturbi.

Quale sarà il futuro?

Abbiamo visto come i media portano con sé pregi e difetti, dipende molto da ognuno di noi porsi dei limiti di auto-controllo, ricordandoci che la solitudine, la tristezza o la paura di essere giudicati non spariscono con i media… ci permettono solo di mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi!


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a cura di Michele Lucivero

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