La Corte di Cassazione italiana ha respinto il ricorso della Lega che era stata citata in giudizio per alcuni manifesti affissi per contestare l’accoglienza di 33 migranti in un centro di accoglienza a Saronno e ha sentenziato che i richiedenti asilo non sono clandestini e non possono essere definiti così neanche in manifesti politici. Anche se i migranti arrivano in Italia senza documenti e per vie illegali, richiedono asilo politico e non possono perciò essere chiamati clandestini.
Secondo quanto riporta La Repubblica la sentenza, depositata il 16 agosto conclude una vicenda iniziata nel 2016, quando, per contestare l’assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di accoglienza messo a disposizione da una parrocchia di Saronno, la Lega aveva convocato una manifestazione affiggendo cartelli con su scritto: “Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell’invasione”.
Gli avvocati di ASGI e NAGA avevano agito in giudizio davanti al Tribunale di Milano contro la Lega affermando che qualificare i richiedenti asilo come clandestini costituisce “molestia discriminatoria” cioè un comportamento idoneo a offendere la dignità della persona e a creare un clima umiliante, degradante e offensivo.
I giudici di primo e secondo grado avevano già accolto le ragioni delle associazioni condannando la Lega a pagare, oltre alle spese di lite, un risarcimento del danno. La Lega aveva poi proposto il ricorso in Cassazione, respinto ora dalla Corte che ha confermato anche il diritto delle associazioni al risarcimento del danno, condannando la Lega all’ulteriore rimborso delle spese.
Secondo la Corte “gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un “grave danno”, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”.
La Corte ha anche respinto la tesi degli avvocati della Lega che invocavano il diritto del partito politico alla libera manifestazione della sua posizione: infatti “il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui”; specie, aggiunge la Corte, quando si tratta degli individui più fragili, come le persone migranti.