La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza cresce in modo significativo e, generando altre disuguaglianze, alimenta l’ingiustizia sociale. Impariamo sulla nostra pelle che, quando manca il paracadute della ricchezza privata, diventa difficile reagire agli imprevisti, o anche semplicemente fare le scelte giuste. Così, per quanto ci si impegni nello studio, spesso non si può scegliere l’Università più adatta; è più difficile rifiutare un lavoro inadeguato o rischioso; diventa praticamente impossibile realizzare un progetto creativo o imprenditoriale; a volte si è costretti a vivere in aree degradate, che non offrono opportunità.
Effetti distorsivi derivano anche da una cattiva gestione delle risorse pubbliche, perché, se l’ambiente, il paesaggio e i luoghi in cui risiedi, studi, incontri gli altri, ti curi o semplicemente pensi non sono adeguati, ne va inevitabilmente della qualità della tua vita.
Come sostiene Barca, «sono due disuguaglianze che si alimentano l’una con l’altra, perché l’ingiustizia ambientale e sociale si sommano». E la disuguaglianza nella ricchezza si incrocia con la disuguaglianza nella formazione, che è una delle cause d’ingiustizia sociale più diffusa. A parità di doti naturali e di istruzione, due persone con e senza disponibilità economica hanno decisamente prospettive di vita diverse. E la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza crescerà ancora.
La mancanza di mezzi della famiglia d’origine compromette i sogni di tanti giovani, aprendo un divario ingiusto con chi, avendo le stesse capacità e le stesse aspirazioni, può invece contare su una protezione diversa.
L’Italia è nel pieno di una vera è propria crisi generazionale. La condizione economica, sociale e psicologica dei giovani tra i 15 e i 29 anni è precaria. Ma lo è da tempo e dunque tocca anche chi oggi ha passato la soglia dei 30 anni.
Il peso numerico dei giovani scende continuamente e la loro influenza sulle decisioni è bassa, attenuando, rispetto ad altri Paesi, la sensibilità della politica, delle organizzazioni di rappresentanza e delle Istituzioni nei confronti dei loro problemi e del loro futuro.
Ovviamente molti giovani ce la fanno, realizzando le proprie aspirazioni, ma una larga parte non è invece libera di intraprendere o portare a compimento il proprio percorso nei territori a cui pure è legata. E chi di loro può, emigra dalle aree interne alle città, dal Sud al Nord, o verso altri Paesi, senza più fare ritorno nei luoghi di provenienza, che continuano a impoverirsi.
Insomma, a conti fatti, non sembra che la Repubblica rimuova davvero gli «ostacoli» allo sviluppo dei giovani, per parafrasare l’art. 3 cost.: è modesta la «capacità di dotare le nuove generazioni degli strumenti e delle opportunità per essere vincenti di fronte alle sfide del tempo». In assenza di questa protezione collettiva, resta solo la protezione privata, quella offerta dalle famiglie, già in sé fortemente gravata. che assume un peso eccessivo e distorsivo.
In questo contesto, la tecnologia dell’informazione ha in sé il potenziale per ampliare l’accesso alla conoscenza, per produrre posti di lavoro; ha il potenziale per accrescere la giustizia sociale. E invece, nonostante indubbi effetti positivi, avviene il contrario.
L’indebolimento del potere di confronto e di negoziazione dei cittadini hanno impedito di dirigere il cambiamento tecnologico nel verso dell’equità sociale e hanno permesso un processo di concentrazione della conoscenza, e quindi del potere e della ricchezza. Basti pensare che, fra le prime dieci imprese del mondo per valore di mercato, sette si basano sulla tecnologia dell’informazione.
All’uso incontrollato dei nostri dati, si accompagna l’uso smodato dei dispositivi digitali e degli algoritmi di apprendimento automatico. Il web è un mezzo potenzialmente capace di accrescere la giustizia sociale in molteplici campi della vita umana. Ma, in assenza di un suo governo collettivo o pubblico, diventa una scatola nera che si presta all’uso opposto.
In questo scenario il Popolo resta invisibile esaurendo nel voto il suo ruolo politico di cittadino, per chi ancora lo esercita, nell’incapacità dei partiti di svolgere la propria funzione democratica, di mantenere le promesse fatte, di contenere le disuguaglianze e le oligarchie, economiche e politiche.
Ed è proprio per il vuoto politico e dei partiti che non riescono più ad interpretare la voce del popolo che il ruolo di Meritocrazia diventa fondamentale, un movimento che ha fatto della giustizia sociale e ambientale il suo obiettivo primario; che lotta per un riequilibrio nell’accesso alla conoscenza, nella ripartizione della ricchezza e dei poteri, per un rafforzamento della democrazia intesa come governo attraverso il dibattito e il confronto tra i cittadini. Un movimento di cittadinanza attiva che promuove azioni collettive volte a mettere in opera diritti, prendersi cura di beni comuni o sostenere soggetti in condizioni di debolezza attraverso l’esercizio delle responsabilità nelle politiche pubbliche.
Al servizio di chi non ha voce, con l’impegno e la determinazione di influenzare i processi decisionali, pronti a stare accanto ai più vulnerabili ricostruire la democrazia e rendere il popolo visibile.
Walter Mauriello, presidente di Meritocrazia Italia
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Fonte: Un sogno chiamato giustizia sociale