La Francia e l’Afghanistan sono in gara, per carità a livelli enormemente diversi, a colpi di divieti agli studenti e, rispettivamente, alle donne, studentesse e non. La Francia difende la laicità della scuola con il pugno di ferro e si approssima ad una guerra di religione: ha, infatti, dichiarato l’ostracismo all’abaya, abito lungo che non copre solo viso e mani usato soprattutto dalle donne dei Paesi arabi. La politica francese è molto dura per quanto riguarda i simboli religiosi, soprattutto quando si tratta di istruzione. Di fatto, le prime leggi che vietavano simboli cattolici nelle scuole pubbliche furono introdotte già dal XIX secolo. Ma con il fenomeno dell’immigrazione non è più il cattolicesimo la preoccupazione principale.
Con circa 5 milioni di musulmani, Parigi sta affrontando una guerra per uniformare gli studenti. Dal 2004 è infatti in vigore una legge che vieta “indossare segni o abiti con cui gli studenti mostrino apparentemente un’affiliazione religiosa“. Con essa si escludono dalla vita scolastica croci, kippot ebraiche e gli hijab islamici. Fino ad oggi, l’abaya non era incluso, ma le varie proteste dei presidi hanno attirato l’attenzione.
Già l’ex ministro dell’Istruzione Pap Ndiaye ricevette diverse richieste per la proibizione dell’abito nelle scuole della Francia, ma si rifiutò. Invece l’attuale ministro, Gabriel Attal di 34 anni, ha dichiarato in diretta televisiva: “Entrando in una classe non si dovrebbe essere in grado di identificare la religione degli alunni a colpo d’occhio. La scuola della Repubblica è costruita intorno alla laicità”. Ciò ha scatenato polemiche all’interno del governo, dove la sinistra afferma che sia in violazione delle libertà civili. Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, ha espresso la sua contrarietà paragonandolo ad “una guerra di religione totalmente artificiale”.
Intanto in Afghanistan i talebani vietano l’accesso alle donne al parco Band-e-Amir, ex simbolo del cambiamento.
Dal 15 agosto 2021, quando i Talebani presero il controllo di Kabul, le donne si sono trovate costrette ad osservare l’aumento dei divieti che le riguardano. Alle restrizioni precedenti si è aggiunto anche il divieto di accesso al Parco Band-e-Amir, situato a circa 200 chilometri ad ovest da Kabul. Il parco, prima della presa di potere, era simbolo di cambiamento: nel 2013 furono assunte quattro donne come guardiaparco.
Oggi invece, nonostante le guardie controllino i visitatori, l’accesso alle donne è vietato perché l’uso dello hijab non è stato rispettato. Lo ha dichiarato Mohammad Khalid Hanafi, ministro della Prevenzione del vizio e la promozione della virtù, aggiungendo che sarà vietato fino a quando saranno stabilite delle nuove linee guida.
Tra le restrizioni previste per le donne ci sono anche: il divieto di frequentare l’università, la chiusura di molte delle scuole secondarie femminili ed il divieto d’accesso a luoghi pubblici. In un’intervista rilasciata alla Bbc, una ragazza racconta di come sia stata bloccata all’aeroporto di Kabul nonostante avesse il visto studentesco per gli Emirati Arabi. Secondo le stime riportate dall’emittente oltre 100 ragazze sarebbero riuscite a vincere una borsa di studio per studiare all’Università di Dubai. Ma ad almeno 60 è stata impedita la partenza per gli stessi motivi. Perciò, Khalaf Ahmad Al Habtoor, sponsor emiratino della borsa di studio, ha criticato le autorità afgane dichiarando “uomini e donne sono uguali sotto l’Islam”.