Innovazione e collaborazione strategica, Meritocrazia Italia: nuove prospettive per la crescita culturale

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Innovazione digitale
Innovazione digitale

L’innovazione in settori a elevato potenziale di sviluppo, come quello delle infrastrutture sociali, è un elemento chiave per rilanciare gli stessi e imprimere nuova linfa vitale.
Tuttavia, come dimostrato da attenta dottrina internazionale, l’innovazione non può essere lasciata libera di esprimersi autonomamente. Affinché abbia una reale ricaduta positiva sulla collettività, si rivelano necessarie politiche pubbliche in grado di governare e indirizzare le dinamiche di queste reti pluri-attoriali.

La forte attenzione prestata, soprattutto a livello euroepo, alla materia della ricerca e dell’innovazione è testimoniata dal rapporto della Commissione europea, ove si legge che «la ricerca e l’innovazione, comprese l’eco-innovazione e l’innovazione sociale, sono uno dei principali motori della crescita futura e sono state poste al centro della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Le autorità pubbliche dovrebbero utilizzare gli appalti pubblici strategicamente nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione. L’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi svolge un ruolo fondamentale per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale. Ciò contribuisce a ottenere un rapporto più vantaggioso qualità/prezzo nonché maggiori benefici economici, ambientali e per la società attraverso la generazione di nuove idee e la loro traduzione in prodotti e servizi innovativi, promuovendo in tal modo una crescita economica sostenibile».
In altri termini, la linea tracciata in sede europea esprime chiaramente l’intento di veicolare, attraverso lo strumento dei contratti pubblici, il settore della ricerca e dell’innovazione verso nuovi orizzonti.

In concreto, l’innovazione non passa solo per le forme contrattuali in grado di favorire ricerca e sviluppo tecnologico nei diversi settori interessati, ma deve essere accompagnata da un’altra particolare componente, quella sociale.
Il coinvolgimento di tale componente è di particolare importanza soprattutto nel settore dell’istruzione.
In questa prospettiva l’art. 18 cost. deve essere letto proprio nell’ottica di fondare il principio generale della collaborazione civica per l’interesse generale e, quindi, per i beni comuni, da allargare anche alle infrastrutture necessarie al soddisfacimento dell’interesse generale.

Una vera e propria forma di collaborazione civica e di comunanza degli interessi (operando, la prima, in veste di collaborazione endosociale tra società civile e pubblica amministrazione).

La collaborazione tra pubblico, privato e comunità nel settore dell’istruzione ha catturato l’interesse di larghissima parte della dottrina ed è stato oggetto di non pochi interventi normativi.
L’orientamento dottrinario prevalente si è espresso favorevolmente in merito al coinvolgimento in talune decisioni o talune attività di soggetti privati e sociali, dotati di una elevata competenza scientifica, tecnica ed economica, per questo considerati più adatti a gestire le necessità sistemiche.

Il fenomeno della collaborazione strategica per la realizzazione di progetti a finalità sociale attraverso l’attivazione di partenariati pubblico-privato-comunità ha assunto importanza centrale anche nel sistema scolastico.
Questo approccio è evidente nella l. n. 107 del 2015 (c.d. “Buona Scuola”), ma anche nelle iniziative volte alla diffusione di massa delle tecnologie, degli strumenti e delle forme della comunicazione digitale. È opinione consolidata che, da qualche anno, la scuola debba essere intesa e allo stesso tempo valorizzata come un bene comune, attribuendole quella funzione fondamentale nella ricostruzione del tessuto sociale che la farebbe tornare ad essere il punto di riferimento di una collettività da troppo tempo smarrita.

Ciò considerato, non si può né si deve trascurare che l’attuale sistema scolastico va certamente raccordato con il diritto eurounitario.

La centralità della funzione europea dell’istruzione è testimoniata dalla riformulazione del concetto di coesione economica e sociale che, mediante l’investimento in capitale umano (istruzione e formazione), mira a incentivare la realizzazione di un’economia della conoscenza tesa alla rimozione degli ostacoli che impediscono la corretta evoluzione dei processi di sviluppo economico a livello locale.
A tal riguardo, è a far data dall’adunanza del Consiglio europeo del 23-24 marzo 2000 che le istituzioni europee hanno intrapreso una serie di iniziative con lo scopo di investire nell’istruzione e nella ricerca per incentivare e promuovere la crescita personale e conseguentemente la coesione sociale, nella prospettiva di livellare i dislivelli economici presenti tra i diversi Stati Membri e al contempo di assicurare un innalzamento dei diritti sociali all’istruzione.

Alla luce dell’analisi condotta in precedenza, pare evidente che l’attuale sistema ha portato alla progressiva evoluzione del contesto normativo e sociale verso una dimensione policentrica e non più accentrata di gestione del sistema scolastico, in cui diversi soggetti cooperano per la realizzazione del servizio nazionale di istruzione. Sul punto, merita sottolineare che negli ultimi decenni si è, invero, assistito al superamento della struttura statale piramidale sostituita da una struttura fondata su di un modello multi-organizzativo sul quale ben potrebbe inserirsi una migliore organizzazione dei “tempi di permanenza” scolastici onde evitare la dispersione piaga invero soprattutto nazionale.
Grazie all’adozione di un sistema policentrico, il decentramento amministrativo vedrebbe coesistere le autonomie funzionali al fianco delle autonomie territoriali, rendendo possibile il passaggio nella p.a. da un concetto di government a uno di governance, così da rimpiazzare il modello top-down con quello bottom-up.

Ma come si può sconfiggere la crisi che attanaglia la scuola e l’intero sistema scolastico?

Per molti un utile strumento risiede proprio nell’innovazione. Infatti, solo attraverso l’innovazione si può ridare linfa vitale ai piccoli e giovani innovatori.
Le scuole divengono il centro funzionale, ad esempio, dei partenariati per l’innovazione con imprese, fondazioni e altri soggetti privati, con i quali promuovere nuovi ambienti di apprendimento attraverso le tecnologie digitali, sviluppare tecnologie nuove e mirate ad un miglior apprendimento, scoprire migliori soluzioni per coniugare oltre con l’insegnamento anche la componente tecnologica. I patti educativi di comunità rappresentano al momento il miglior tentativo di superamento del mero modello pubblico-privato verso un modello pubblico-privato-comunità.
Si tratta di accordi tra scuole, enti locali, istituzioni pubbliche e private operanti nel territorio e realtà del Terzo settore con lo scopo di «favorire la messa a disposizione di altre strutture o spazi, come parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, al fine di potervi svolgere attività didattiche complementari a quelle tradizionali, comunque volte a finalità̀ educative; sostenere le autonomie scolastiche, tenuto conto delle diverse condizioni e criticità̀ di ciascuna, nella costruzione delle collaborazioni con i diversi attori territoriali che possono concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa, individuando finalità, ruoli e compiti di ciascuno sulla base delle risorse disponibili». Il coinvolgimento di diversi attori pubblici, privati e comunitari «in una logica di massima adesione al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa» intende dare «attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione, e fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici».

In questo modo il sistema scolastico prova ad adottare una visione “comunitaria” più volte tentata con le riforme dei primi anni duemila. Si tratta di una visione che ha rischiato nella sua prima epifania di stimolare più l’esternalizzazione della scuola, più che la sua ulteriore autonomia e connessione con la comunità di riferimento, in primis gli studenti, le famiglie, le formazioni sociali e le realtà territoriali esistenti.

Occorre un intervento costante educativo per favorire lo sviluppo di una cultura di uguaglianza e di rispetto reciproco potenziando la rete degli operatori per intercettare e prevenire i fenomeni di disagio e tutte le forme di dipendenza (droghe, alcol, gioco, internet) coinvolgendo le scuole e le famiglie.
Le linee direttrici potrebbero così sintetizzarsi:
i) realizzare, con azioni di animazione territoriale e di sviluppo di comunità, la promozione di una cittadinanza attiva;
ii) costruire un modello di rete con la collaborazione trasversale dei servizi pubblici, sociali, sociosanitari e sanitari, educativi, privato sociali, in grado di individuare insieme ai cittadini (in particolare le associazioni e le parrocchie dei singoli quartieri) e tramite forme di ricerca azione partecipata, le criticità e le risorse presenti in ciascun territorio;
iii) consolidare, integrare e implementare, le risorse e le dotazioni in essere;
iv) favorire la graduale autodeterminazione e, per quanto parziale, concreta autonomia dei protagonisti naturali della vita dei quartieri/zone target, nel dare continuità alle azioni di sviluppo di comunità.

È ormai concordemente riconosciuto, soprattutto da un punto di vista empirico, sia in ambito internazionale sia in quello europeo, che la cultura ha sempre un impatto positivo sul territorio e sulla società in termini di coesione sociale, partecipazione, rigenerazione urbana, procura migliori standard di qualità della vita, maggiori opportunità in termini di innovazione e creatività, migliori competenze e conoscenze per i giovani e per quelle fasce di popolazione particolarmente svantaggiate e fragili da un punto di vista sociale ed economico.

Alle riflessioni teoriche, a partire da quelle del sociologo Pierre Bourdieu, che per la prima volta riconosce il valore del capitale culturale oltre a quello simbolico, economico e sociale, in questi ultimi decenni si sono accompagnate esperienze di sviluppo culturale declinate non soltanto in chiave turistica, con evidenti impatti economici, sociali e territoriali.

Serve, in conclusione, implementare il rapporto cultura-territorio. La cultura, nella sua accezione più ampia, è per certo foriera di sviluppo sociale, economico e territoriale.

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Fonte: Innovazione e collaborazione strategica

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