Welfare aziendale nel Vicentino, in base ai dati del Centro Studi Cisl Raffaele Consiglio sostiene: “Lavoratori chiedono più accordi”

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Welfare aziendale nel Vicentino: “I lavoratori chiedono più accordi”. È questa l’indicazione che emerge dalla nuova indagine del Centro Studi Cisl Vicenza (in copertina la nostra intervista a Raffaele Consiglio, segretario generale provinciale, il primi lancio alle 17.54, ndr): dove presente, questo strumento incontra ampi consensi, ma la maggioranza dei lavoratori vicentini ne è ancora priva, in particolare le fasce più deboli del mercato del lavoro.

Welfare aziendale: Raffaele Consiglio, segretario Cisl Vicenza, e Stefano Dal Pra Caputo, Centro studi Cisl
Welfare aziendale: Raffaele Consiglio, segretario Cisl Vicenza, e Stefano Dal Pra Caputo, Centro studi Cisl

Quella portata avanti negli ultimi anni attraverso il welfare integrativo aziendale è stata una rivoluzione “dolce”, che ha gradualmente coinvolto un numero sempre maggiore di lavoratori. Ma qual è il grado di diffusione di questo strumento nel Vicentino e come viene utilizzato dalle aziende e dai lavoratori? Per rispondere a questi e altri interrogativi Cisl Vicenza ha commissionato una nuova indagine al Centro Studi Cisl Vicenza – curata dai ricercatori Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron – che è stata condotta su un campione di oltre 1.100 lavoratori di tutta la provincia.

“Non è un caso che poniamo ora questo tema al centro dell’attenzione – spiega Raffaele Consiglio, segretario generale provinciale di Cisl Vicenza -, perché il welfare aziende ci appare strategico rispetto a tre grandi temi che oggi dobbiamo affrontare. Il primo naturalmente riguarda la difesa del tenore di vita dei lavoratori di fronte alla spirale di inflazione che stiamo osservando ormai da oltre un anno: non parlo volutamente di reddito, perché il welfare consente di favorire economicamente i lavoratori e le loro famiglie senza toccare la leva dei salari. La seconda questione riguarda la crisi demografica, perché welfare aziendale significa anche una migliore conciliazione delle necessità familiari con il lavoro. E infine c’è la questione della carenza di manodopera: sicuramente anche per i motivi detti in precedenza oggi per le imprese offrire un accordo integrativo di welfare aziendale può essere un importante fattore di fidelizzazione del personale e di attrazione nei confronti di nuove risorse. Al solito però come Cisl abbiamo voluto andare oltre i luoghi comuni, verificando i numeri reali e ascoltando direttamente i lavoratori”.

Esclusioni e diseguaglianze

Il primo tema approfondito dalla ricerca riguarda la diffusione reale di questo strumento, che è ormai ben consolidato ma ancora con ampi margini di crescita: la maggior parte dei lavoratori vicentini infatti (55,89%) ad oggi non ha accesso a forme di welfare integrativo.
E come spesso accade, a essere maggiormente penalizzate sono le fasce più deboli dei lavoratori: il welfare è infatti presente nel 45,56% dei contratti dei lavoratori a tempo indeterminato, ma solo nel 26,67% di quelli a tempo determinato. Anche l’orario di lavoro è una discriminante: può contarci il 46,49% dei lavoratori a tempo pieno, contro appena il 32,41% dei part time (dato che di riflesso lascia intuire anche una questione di genere, con una copertura molto inferiore per le donne considerando la maggiore diffusione del part time tra queste ultime).

Un’altra forte discriminante riguarda il livello contrattuale e dunque il reddito: ha accesso al welfare solo il 16,22% dei lavoratori con reddito mensile compreso tra 500 e 749 euro, il 27,84% di quelli con reddito compreso tra 750 e 999 euro al mese, per poi salire gradualmente di pari passo con gli stipendi (37,63% da 1.000 a 1.499 euro al mese; 51.51% da 1.500 a 1.999 euro al mese; 65,66% da 2.000 a 2.999 euro, 66,67% da 3.000 a 4.999 euro al mese)

“Questo dato è particolarmente grave – sottolinea Consiglio – perché se è vero che il welfare è anche un’efficace misura di protezione del tenore di vita dei lavoratori, questa funzione viene del tutto meno se è precluso proprio a quei lavoratori con i redditi più bassi, che più ne avrebbero necessità”.

Il giudizio dei lavoratori

In ogni caso, ove previsto lo strumento incontra ampio consenso: dove è previsto il 43% dei lavoratori si dichiara abbastanza soddisfatto e un ulteriore 11% molto soddisfatto, anche se una percentuale non trascurabile vorrebbe evidentemente qualcosa di più o di diverso (i poco soddisfatti sono il 33%, quelli per nulla soddisfatti il 12%).
Sicuramente però, dove non è previsto i lavoratori vorrebbero la sua introduzione (71,47%).

Beni e servizi utilizzati

Per quanto riguarda invece le tipologie di beni e servizi utilizzati dai lavoratori nell’ambito degli accordi di welfare, al primo posto con ampio margine troviamo la categoria dei “benefit aziendali”, con il 41,9% (categoria piuttosto eterogenea dove al suo interno troviamo ad esempio rimborsi per visite mediche, attività per il tempo libero, etc.). Seguono più staccati la possibilità di seguire corsi di formazione (22,7%), l’orario flessibile (19,5%) e lo smart working (17,8%).

Per quanto riguarda invece i desideri dei lavoratori che non hanno accesso al welfare integrativo, se al primo posto si confermato i benefit aziendali (47,3%), al secondo posto troviamo proprio la richiesta di maggiore flessibilità di orario (32,20%), seguita dalla possibilità di percorsi di crescita in azienda (27,9%) e maggiore tempo libero (26,3%).

“È interessante osservare come ci sia una coerenza di fondo tra questi risultati e quanto emerso nelle nostre precedenti indagini – evidenzia Consiglio -. In particolare per quanto riguarda la ricerca di una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata. Questo porta in primo piano il tema della qualità del lavoro e allo stesso tempo un evidente desiderio di crescita dei lavoratori, in particolare di quelli più giovani. Riteniamo che questi elementi possano essere uno spunto di riflessione importante per tutte quelle aziende che si stanno interrogando su come essere più attrattive nella ricerca di personale”.

La richiesta di Cisl

Un motivo in più per credere e investire nello strumento del welfare sociale: “Sicuramente la presenza prevalente di piccole e medie imprese rende più complessa la sua applicazione universale, eppure questo è assolutamente un obiettivo da perseguire: dobbiamo tutelare il tenore di vita dei lavoratori senza per questo compromettere la competitività delle aziende, né sono ipotizzabili misure che finirebbero per incrementare ulteriormente l’inflazione. Gli accordi di welfare aziendale hanno inoltre un valore anche culturale, perché sono il risultato della contrattazione di secondo livello, nella quale come Cisl crediamo da sempre. Sono uno spazio in cui imprese e lavoratori si confrontano e gli uni cercano di comprendere le esigenze della controparte per trovare un equilibrio in cui possa crescere la qualità del lavoro e allo stesso tempo la qualità di vita dei lavoratori. Occorre però che tutti i lavoratori possano accedere a questo strumento, a partire dalle categorie più deboli”.

La raccolta firme

Infine un richiamo alla campagna di raccolta firme in corso: “Il tema del welfare aziendale rimanda al confronto costruttivo tra imprese e lavoratori e voglio ricordare che in quest’ottica Cisl è impegnata in una importante iniziativa: anche nel Vicentino stiamo raccogliendo le firme necessarie per presentare una proposta di legge popolare per la partecipazione dei lavoratori agli organi direttivi e di controllo delle grandi aziende. Sicuramente uno dei tanti benefici sarebbe proprio il potenziamento degli accordi di welfare aziendale. Questa ricerca ci dimostra che c’è molto che possiamo fare e il modo migliore per riuscirci è dare voce ai lavoratori”.