Quantitative Easing, la Bce disarma il bazooka ma le restano in dote 2.600 miliardi di titoli

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BCE
L'on. Berlato sulla BCE (nella foto la sede): "Che riduca subito i tassi d'interesse"

Duemilaseicentosessanta miliardi, euro più, euro meno. Se si prova a mettere insieme gli strumenti di debito acquistati col quantitative easing dalla Banca centrale europea (Bce) e tuttora custoditi nei suoi forzieri si ottiene un valore non molto distante dal Pil generato in un anno da due dei principali Paesi che formano l’Eurozona del calibro di Italia e Spagna messi insieme. Un ammontare significativo e probabilmente anche molto vicino a quello definitivo del quantitative easing targato Mario Draghi che virtualmente si conclude oggi, ma che in effetti è già terminato lo scorso 19 dicembre quando l’Eurotower ha deciso di fermare gli acquisti per non alterare gli equilibri di mercato in un periodo di scarsa liquidità come quello festivo di questi giorni.

La parte del leone degli asset in pancia all’istituto centrale la esercitano naturalmente i titoli di Stato raccolti attraverso il Public sector purchasing programme (Pspp): oltre 2.100 miliardi suddivisi fra i diversi Paesi in base alle quote detenute nel capitale della Bce stessa, quindi in prevalenza Bund tedeschi (circa 515 miliardi a fine novembre), seguiti da OaT francesi (418 miliardi) e BTp italiani (363 miliardi). Sono invece 271 i miliardi raccolti (e ancora custoditi) attraverso i 3 successivi piani legati ai covered bond, poco più di 178 i miliardi di titoli societari, 28 i miliardi di Asset-backed securities e se si vuole completare il portafoglio occorre considerare pure i «residui» 73 miliardi provenienti dal Securities market programme attuato fra il maggio 2010 e il settembre 2012 (in prevalenza bond italiani).
Tra le pieghe dei «corporate»
A bene vedere è proprio l’analisi del Corporate sector purchasing programme (Pspp) a destare le maggiori curiosità e, sotto certi aspetti, anche i principali timori. Nelle mani della Bce restavano una settimana fa ben 1.212 obbligazioni emesse da 255 diverse società europee, in prevalenza francesi (30% l’ammontare complessivo dei titoli transalpini, che costituiscono il mercato più grande a livello dell’area euro), seguite dalle tedesche (25%), dalle italiane (12%, 125 titoli di 24 compagnie differenti da A2a a Terna) e dalle spagnole (10%). E restavano soprattutto molti bond di qualità non proprio eccelsa, visto che il 44% ha un rating inferiore a «Bbb+» e alcuni di questi sono ormai diventati junk, cioè «spazzatura», e in teoria non sarebbero più acquistabili da Francoforte.
In questi giorni si è parlato per esempio della catena di distribuzione spagnola Dia, il cui debito potrebbe essere ristrutturato anche con la partecipazione stessa della Bce che detiene tre titoli obbligazionari, ma se si analizzano i diversi rating al di sotto del livello investment grade nel portafoglio Cspp si trova anche la tedesca K+S (Telecom Italia e Leonardo si «aggrappano» invece ancora alla Tripla B di Fitch). L’Eurotower non è infatti automaticamente obbligata a vendere chi perde i requisiti, anche se in passato lo ha fatto (registrando perdite) nel caso di Steinhoff, la catena di grandi magazzini finita nei guai per una serie di scandali finanziari dei cui titoli si è liberata lo scorso gennaio.
Un affare per Francoforte?
Quello delle potenziali minusvalenze non è in ogni caso un tema che sulla carta impressiona più di tanto i banchieri centrali di Francoforte: lo stesso Draghi ha ricordato due settimane fa come lo scopo del piano non sia di «massimizzare i profitti o minimizzare le perdite», ma sia invece legato alla politica monetaria. E ha tenuto a precisare come nel bilancio dell’Istituto centrale siano già stati effettuati accantonamenti per questo genere di rischi. Spulciando i conti più aggiornati si scopre come però nel 2017 le misure straordinarie abbiano in realtà aiutato la Bce a realizzare un utile di 1,275 miliardi: nel complesso l’intero piano ha contribuito al margine di interesse per 575 milioni e il «vecchio» Smp ha garantito 447 milioni ai quali si aggiungono 154 milioni legati ai soli titoli greci acquistati fra il 2010 e il 2012.
Nonostante le critiche (provenienti soprattutto dal «falchi» presenti nel Consiglio) il quantitative easing ha insomma finora giovato all’Istituto centrale e quindi anche alle singole Banche centrali nazionali che si spartiscono gli utili realizzati in base alle quote del capitale. Le cose potrebbero però cambiare in un futuro quantomai prossimo, specie se la combinazione fra un rallentamento dell’economia e la riduzione della liquidità da parte della stessa Bce dovesse mettere a rischio la solvibilità di qualche emittente. Francoforte non resterà comunque con le mani in mano, perché continuerà quantomeno ad acquistare i titoli che nel frattempo arriveranno a scadenza: da gennaio a novembre sul mercato finiranno quindi oltre 192 miliardi di euro, quasi 6 miliardi dei quali destinati ai corporate bond. Resta da vedere se sarà sufficiente a scongiurare i pericoli immediati.

di Maximilian Cellino, da Il Sole 24 Ore