La Spazzacorrotti e il Coniglio Superiore: parla Marco Travaglio

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Che la Spazzacorrotti del ministro Alfonso Bonafede, appena approvata dal Parlamento, non piaccia all’avvocatura associata è quasi ovvio, per una questione di sopravvivenza. Gli imputati colpevoli, senza più la speranza di strappare la prescrizione al posto della condanna, non avranno più alcun interesse a far durare i processi in eterno, non foss’altro che risparmiare sulla parcella del difensore. Dunque eviteranno inutili e pretestuose impugnazioni in appello e in Cassazione. Anzi, molti preferiranno non andare proprio a processo, patteggiando a fine indagini in cambio dello sconto di un terzo della pena.

Così si faranno molti meno processi, e quelli che si faranno dureranno molto meno. Dunque gli avvocati perderanno anni di parcelle e molti di loro rischieranno la disoccupazione. Non quelli bravi, che continueranno a svolgere una funzione decisiva per la democrazia e lo Stato di diritto. Ma i “parafangari”, quelli che consigliano i loro clienti ad avventurarsi in cause perse e in ricorsi infondati pur di spremere qualche spicciolo dall’infinito contenzioso italiota. A metà degli anni 80 gli avvocati italiani iscritti all’albo erano 48 mila: oggi sono 243 mila, il 500% in più di 30 anni fa. Quattro ogni mille abitanti, il triplo del resto d’Europa. Il confronto con gli altri Paesi è sconfortante: in Francia gli avvocati sono 60 mila (meno del totale di Lazio e Campania), in Germania 160 mila, in Gran Bretagna 188 mila e solo la Spagna ne ha più di noi (253 mila).

Il nostro record, che continua ad aumentare in maniera esponenziale, si regge prevalentemente sull’inefficienza della giustizia: più i processi sono lunghi, numerosi e farraginosi, più avvocati ci campano. E la prescrizione, checché ne dicano, non riduce il numero e la durata dei processi, ma moltiplica l’uno e l’altra. Perciò i loro sindacati si oppongono alla sua abolizione dopo la prima sentenza, con scioperi tragicomici e appelli farseschi a Mattarella perché non firmi la Spazzacorrotti. Ma anche per un altro motivo: a molti, i peggiori, piace vincere facile. Gabellare per processi vinti non solo quelli finiti in assoluzione, ma pure in prescrizione. Celebre la pantomima di Giulia Bongiorno (ora ministra, per fortuna non della Giustizia) che, mentre il suo cliente Andreotti veniva dichiarato colpevole di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino al 1980, reato “commesso” ma “estinto per prescrizione”, strillava giuliva “Assolto! Assolto assolto!”. E l’intera stampa italiana se la beveva. Scorriamo la lista dei 100 giuristi (quasi tutti avvocati) che han firmato l’appello delle Camere penali a Mattarella.

E troviamo decine di artefici di prescrizione eccellenti. Compresi gli esimi professori Amodio e Pecorella (vedi alla voce Berlusconi, 8 volte prescritto). Intendiamoci: il difensore deve fare di tutto per salvare il cliente dall’arresto, dalla condanna e dagli altri effetti collaterali del processo. Anche usando le mille tecniche dilatorie consentite dal nostro Codice di procedura. Anche propiziando la prescrizione, quando proprio non si può sperare nell’assoluzione. Sono pagati apposta e, se non fanno fino in fondo gli interessi del cliente, anche quando magari la loro coscienza si ribella, rischiano l’infrazione disciplinare. Spetta al legislatore levarli da questo imbarazzo (almeno quelli che lo provano) e disegnare il processo a misura non più dei colpevoli, ma degli innocenti e delle vittime, oltreché dell’interesse dello Stato a dare giustizia. È quel che ha fatto il ministro Bonafede con la legge Anticorruzione, raccogliendo il meglio delle esperienze estere e delle proposte avanzate per trent’anni da magistrati e giuristi (inclusi diversi avvocati). Eppure, sorpresa: sulle barricate, accanto ai sindacati avvocateschi, tuonano l’Associazione magistrati e la gran parte del Csm (eccetto i togati davvero indipendenti Davigo e Ardita e i tre laici in quota M5S). Dopo aver chiesto, implorato, reclamato, invocato per vent’anni questi strumenti di puro buonsenso contro la corruzione, peraltro vigenti in tutti i Paesi più avanzati, ora che a vararli è il governo gialloverde fanno la faccia malmostosa e rinnegano tutte le loro battaglie. In questo, sono il perfetto specchio di una classe dirigente e intellettuale marcia e decrepita che non s’è ancora riavuta dalle elezioni e non giudica sul merito, ma sul partito preso.

Quante interviste abbiamo letto di magistrati frustrati perché il loro lavoro e quello della polizia giudiziaria andava in fumo per la prescrizione, perché le vittime restavano senza giustizia, perché nessun colletto bianco pagava mai per i propri delitti, perché i condannati per tangenti tornavano regolarmente a lavorare per lo Stato, perché mancavano gli strumenti per scoprire le corruzioni, perché non esistevano incentivi alla collaborazione di corrotti e corruttori, perché non potevano usare agenti sotto copertura (diversamente che per i reati di droga) o il Troyan per intercettare, per la scarsa trasparenza sulle donazioni e i finanziamenti a partiti e società collegate? È dal settembre 1994, quando il pool Mani Pulite presentò a Cernobbio le sue proposte anti-mazzette (insieme ad alcuni grandi avvocati), fra gli applausi dell’Anm, del Csm, del centrosinistra e di pezzi del centrodestra, che si parla di norme come queste. Poi destra e sinistra hanno sempre fatto il contrario, incorrendo nei fulmini delle autorità europee (soprattutto per il demenziale sistema di prescrizione). E ora che finalmente, dopo mille leggi Procorruzione, ne arriva una Anti, sono tutti contro. Salvo, naturalmente, i due terzi abbondanti degli italiani che – secondo Openpolis – la apprezzano più di tutte le altre leggi approvate nell’ultimo anno. Devono essere quelli che non rubano.

di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano