Zaia quater, Meloni dice no: il Doge non è né eterno, né indipendente

La legge è già stata aggirata con i tre mandati di Zaia. Per avere il quarto dovrà convincere Fratelli d'Italia e quindi dovrà anche rinunciare a qualcosa. Ma se rinuncia al quarto a sua volta avrà in cambio qualcosa. Perché alla fine è tutta una questione di careghe

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Zaia leon San Marco
Il governatore veneto Luca Zaia

La bocciatura da parte del Senato, cioè di un ramo importante del Parlamento, ma approvata anche dal Governo, del terzo mandato ai presidenti di Regione, erroneamente chiamati governatori, sancisce la fine dell’illusione veneta dell’uomo solo al comando. Luca Zaia non è mai stato un politico indipendente, il Doge che agisce solo per il bene del popolo. Zaia è stato ministro con Berlusconi, ed è stato per due mandati vice di Galan, forzista amico di Berlusconi e coinvolto in inchieste su tangenti.

La questione dei due mandati

Il suo, 2025-2030, sarebbe stato il quarto mandato di fila, giacché in Veneto, senza bisogno dell’autonomia, la legge era già diversa rispetto al resto d’Italia dove il massimo dei mandati consentiti consecutivi è due, anche per un cavillo, cioè la legge del 2004 (governo Berlusconi) che pone il limite dei due mandati non è retroattiva. In questo modo Formigoni (centrodestra, Lombardia) ha potuto fare quattro mandati consecutivi ed Errani (centrosinistra, Emilia Romagna) tre.

In Veneto la legge è stata applicata nel 2012, quindi non viene considerato il primo mandato di Zaia, 2010-2015, quindi il limite dei due mandati, come detto, è già stato sforato da Zaia, con questo suo attuale mandato, 2020-2025, che è appunto il terzo. Paradossalmente le regioni “furbette” che hanno svicolato rispetto alla norma questa volta sono tutte e tre del Nord.

I compagni di viaggio del Doge

Zaia governa con Donazzan, protagonista di molti episodi imbarazzanti a causa delle sue esternazioni discutibili, filo-fasciste e omofobe, la quale Donazzan è dello stesso partito di Berlato, da sempre vicino ai cacciatori, mentre Zaia si dichiara animalista.

Il presidente del Veneto ha imbarcato con sé consiglieri che si intascavano, o chiedevano senza averne diritto, il bonus Covid (Barbisan, Forcolin e Montagnoli, poi dimissionari e sostituiti), che hanno dichiarato che le donne vogliono gli immigrati per le loro doti sessuali (un altro Barbisan, Fabiano, che non è stato silurato, anzi si occuperà delle elezioni comunali nel Veneto orientale), che attacca la sorella della Cecchettin accusandola di satanismo (Valdegamberi, eletto nella lista Zaia e poi passato al Gruppo Misto e ancora lì).

Zaia fa parte di una coalizione di centrodestra, attualmente la Lega a livello nazionale ha poco peso in questa coalizione, mentre ce l’ha Fratelli d’Italia, che adesso vuole un candidato non leghista nel 2025 e infatti si fa il nome proprio di Elena Donazzan, o in alternativa di De Carlo.

Il futuro di Zaia

Zaia dovrà accontentarsi di un posto da commissario UE, oppure sindaco di Venezia, o magari farà il vice proprio della Donazzan. O magari fonderà un suo partito di destra moderata o autonomista veneto? Con il contentino dell’autonomia Zaia non ha più motivo di rivendicare una politica appunto differenziata per il Veneto, difficile quindi pensare che si metta contro Salvini e Meloni. Tecnicamente la partita non è ancora chiusa e c’è ancora tempo, entro il 2025, per cambiare idea e approvare il terzo mandato e del resto Zaia, a 56 anni, è ancora troppo giovane per pensare alla pensione. C’è anche la partita del Quirinale da non sottovalutare.

Dai colli trevigiani al Colle?

Il mandato bis di Mattarella infatti scade nel 2027 e Zaia, che piace a destra e a sinistra (manca), sarebbe finalmente un candidato della destra che potrebbe mettere d’accordo tutti, dato che finora la destra ha proposto Berlusconi, Pera, la Moratti, la Casellati, Feltri, tutti considerati troppo faziosi o comunque non compatibili con un ruolo istituzionale bipartisan e imparziale, lamentandosi poi che i presidenti della Repubblica sono tutti di sinistra: Mattarella lo propose Renzi, Napolitano veniva dalla sinistra, Ciampi fu proposto da D’Alema, e via dicendo. Per trovarne uno “di destra” bisogna risalire al democristiano Cossiga, che fu anche il più giovane, e che piaceva anche all’MSI, genealogicamente il partito-nonno di Fratelli d’Italia.

Una questione di giochi partitici e di careghe

Lo stesso Zaia, nelle prime dichiarazioni, dice di non voler mollare, ma potrebbe alla fine farsi convincere. Perché, appunto, fa parte di una coalizione e la strada di farsi un partito suo e correre da solo può anche essere praticabile in Veneto, ma meno su scala nazionale, ed è il Parlamento, e nessun altro, che può decidere sul terzo mandato. Se anche Zaia riuscisse a convincere Giorgia Meloni a concedergli un ulteriore mandato in Veneto (la possibilità di un’alternativa a sinistra non è nemmeno pervenuta), comunque dovrebbe dare qualcosa in cambio (vedi anche: Terzo Mandato bocciato. Rep: “Lega pensa allo sgambetto in Sardegna”). . Perché così è, se vi pare, il gioco della politica, da anni non più incentrata sulla polis, cioè l’amministrazione della città-Stato, ma sui partiti, cioè a dire le careghe.