(Articolo da Vicenza Più Viva n. 4, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Nel maggio del 2017, Mauro Pretto viene trovato riverso sull’uscio del suo casolare, con
il petto trafitto da un colpo sparato da un fucile a pallettoni. L’omicida è ancora in libertà.
Di sicuro c’è solo che è morto (e poco altro). Il celebre incipit dell’inchiesta di Tommaso Besozzi sulla morte del bandito Salvatore Giuliano, ci aiuta ad inziare a raccontare l’omicidio di Mauro Pretto. Un cold case berico, archiviato nell’estate dello scorso anno. Sei
anni di indagini, compiute dai carabinieri vicentini, che non hanno portato a dare un volto e un nome al colpevole.
Torniamo a quella notte tra il 12 e il 13 maggio 2017, quando la pioggia batteva violenta sui boschi bui di Gazzo di Zovencedo, a trenta chilometri dalla città. Qualche ora prima, Mauro, era al bar del paese, dopo una settimana di lavoro nella ditta del fratello Diego. Qualche ora dopo, il suo corpo giaceva sull’uscio del casolare in cui abitava.
Freddato da un colpo di fucile a pallettoni, che lo aveva colpito in pieno petto ed attraversato da parte a parte. L’allarme viene dato da un conoscente, quando il sole era già alto, alle 13 e un quarto.
L’ora della morte è stata fissata verso la mezzanotte, con un certo margine di incertezza, viste le condizioni atmosferiche.
Sul posto arrivano i carabinieri del comando provinciale di Vicenza, che effettuano i primi rilievi e raccolgono le prime testimonianze: si parla di un’Alfa parcheggiata all’alba nei pressi della casa, si cercano immagini dalle telecamere di sicurezza delle abitazioni, ma la scena del crimine isolata rende inutili i già pochi riscontri.
I militari e i cronisti cercano intanto di tracciare un profilo della vittima: Mauro Pretto viene descritto come un quasi 50enne burbero ma quasi sempre cordiale, con pochi contatti con il
prossimo, se non durante il lavoro e poco più. Era un convinto amante della natura ed ambientalista. Aveva avuto diverse discussioni, soprattutto con cacciatori (e bracconieri) ma anche con dei bikers.
La perizia identifica l’arma del delitto: un fucile da caccia a canna liscia con pallettoni, tipicamente usati per uccidere caprioli, cinghiali e nutrie. Si tratta di un’arma che non lascia una traccia identificativa sulla pallottola.
Gli investigatori si concentrano quindi sul movente, ed è a questo punto che, attorno alla vicenda, comincia ad ergersi un persistente muro di silenzio: tattica investigativa o buio completo?
Cadono nel vuoto le dichiarazioni, rilasciate un mese dopo il delitto, di Renzo Rizzi, capo nucleo delle guardie zoofile di Vicenza. «Sono circa 50 cacciatori abilitati dalla polizia Provinciale a cacciare il cinghiale di notte, mentre parliamo di un migliaio in tutta la provincia e circa 200 solo nei berici per la caccia alla nutria. Se il cerchio si chiude intorno a un cacciatore non ci vedo nulla di strano».
Sui luoghi dove è stato ucciso Mauro, le guardie zoofile avevano trovato molte tracce di cinghiali, caprioli e persino di un daino, segno che un certo tipo di fauna prospera da quelle parti. Il censimento di questo tipo di licenze è negli archivi della polizia Provinciale, ma i controlli dei carabinieri su circa un centinaio di armi registrate appartenenti a persone
residenti vicino al luogo del delitto potrebbero però essere insufficienti, visto che la rosa di chi detiene un fucile è molto ampia.
A distanza di quasi un anno dal delitto, a Gazzo di Zovencedo arrivano anche i famosi Ris di Parma, ma anche le loro analisi si chiudono con un nulla di fatto. Un esito quasi scontato, vista la tempistica dell’intervento in una scena del crimine all’aria aperta. Gli anni passano e dell’omicidio insoluto di Mauro Pretto si parla ormai solo negli anniversari della sua morte, con il fratello Diego e il consigliere regionale del Pd Andrea Zanoni capofila nel chiedere la non archiviazione del caso, ma anche nel denunciare la scarsa quantità (e qualità) delle indagini.
Ed è proprio nell’ultimo anniversario, il sesto, che si è tenuta a Vicenza l’iniziativa “Verità e giustizia per Mauro Pretto”, e sono emersi diversi punti oscuri nell’inchiesta. Come riporta il giornalista Marco Milioni su “Vicenzatoday”, nel corso del convegno Carlo Alberto Piccoli, che vive a pochi metri dalla casa di Mauro ha dichiarato di aver «messo a disposizione i filmati delle mie «telecamere di videosorveglianza che puntano sulla strada, ma non sono mai stati visionati dagli inquirenti».
Sulle ipotesi sul movente dell’omicidio, il fratello Diego ha ribadito: «L’unica mia certezza, è che chi ha compiuto questo delitto conosce perfettamente il posto. Per chi non è della zona, sarebbe pressoché impossibile raggiungere la casa di Mauro, soprattutto di notte e con la pioggia battente (…). Basta omertà e silenzio, l’assassino è ancora tra noi».
Le guardie zoofile avevano già tracciato un profilo: una persona con ogni probabilità del luogo o del circondario che si trovava a caccia di cinghiali di notte. Una persona dotata di regolare licenza di caccia ma che in quel momento agiva da bracconiere perché il colpo esploso, realizzato in casa, era a palla quadra probabilmente arricchito con altri frammenti, indicano le perizie. Una pratica assolutamente illegale che avrebbe dovuto o potuto indurre gli inquirenti ad individuare una determinata pista che però, nel corso delle indagini, non ha portato ad alcun riscontro di rilievo.
«Ricordiamoci – ha spiegato Renzo Rizzi ispettore delle guardie zoofile dell’Enpa Veneto – che in battute del genere i bracconieri per vari motivi agiscono quanto meno in coppia per vari motivi a partire dal peso della caccia grossa uccisa di frodo che deve essere portata via o macellata in loco nel più breve tempo possibile».
Sono state immediatamente effettuate le perquisizioni nelle case dei cacciatori della zona, alla ricerca di prove? È stato effettuato subito il controllo sulla presenza di polvere da sparo sulle loro mani? Ad entrambi i quesiti la risposta è “no”.
E infine, nella rovente estate dello scorso anno, è calato il gelo sull’inchiesta: il procedimento con l’accusa di omicidio a carico di ignoti è stato archiviato. Per riaprirlo serviranno nuove prove, anche una sola. Magri una confessione. Perché, come ripete senza sosta il fratello della vittima, «è giunta l’ora di sapere come siano andate davvero le cose».