La provincia di Vicenza perderà 20.736 persone in età da lavoro tra 15 e 64 anni con una riduzione dell’8 per cento, tra il 2023 e il 2030. Sono gli effetti previsti dal cosiddetto “inverno demografico”, termine coniato dalla Sociologia per descrivere l’invecchiamento, ovvero l’aumento dell’età media, della popolazione.
Anche Il Giornale di Vicenza oggi in edicola si occupa dei dati allarmanti emersi da una ricerca elaborata dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, che si è avvalsa delle previsioni demografiche redatte dall’Istat e dall’Eurostat.
In un suo articolo, Valentino Gonzato scrive: “Se all’1 gennaio 2023 erano 546.342 i potenziali lavoratori, tra sei anni ne sono previste 525.606. Se le previsioni demografiche saranno rispettate, il Veneto sarà tra i territori più penalizzati. Tra il 2021 e il 2030 la popolazione in età lavorativa è destinata a scendere di oltre 150 mila unità (-4,9%). Nessun’altra regione italiana del Centro-Nord dovrebbe subire una contrazione in termini assoluti così elevata, sottolinea la Cgia.
Se tre anni fa la popolazione veneta in età lavorativa era composta da circa 3,1 milioni di persone, nel 2030 scenderà a poco più di 2,95 milioni. Sommando al calo demografico gli effetti del cambiamento climatico, della transizione energetica e dell’intelligenza artificiale, «tutto ciò avrà delle ricadute spaventose anche per le nostre imprese – si legge nella relazione -. La difficoltà, ad esempio, di trovare giovani lavoratori da inserire nelle imprese artigiane, commerciali o industriali è avvertita già in questo momento, figuriamoci fra qualche decennio. Con sempre meno ragazzi che si affacceranno al mercato del lavoro, per tantissime aziende trovare del personale preparato da inserire nei processi produttivi costituirà una mission impossibile».
La Cgia di Mestre ha inoltre chiarito che una inversione del trend, nel periodo preso in considerazione, è quasi impossibile per la mancanza di misure atte a invertire il fenomeno in tempi brevi.
Sul quotidiano vicentino si legge ancora: “C’è poi un altro aspetto legato all’invecchiamento della popolazione. «Una società con meno giovani e più anziani dovrà fronteggiare un’impennata della spesa previdenziale, di quella sanitaria e di quella assistenziale da far tremare i polsi. Va altresì segnalato che questo scenario così preoccupante tenderà ad allargare ulteriormente la forbice tra il Nord e il Sud del Paese». Disparità che sono continuate ad aumentare negli ultimi decenni.
Come puntualizzato dalla Cgia, nonostante l’Italia abbia beneficiato tra il 2000 e il 2020 di 125 miliardi di euro di fondi Ue per la coesione territoriale e una buona parte di questi finanziamenti sia stata erogata proprio alle regioni del Mezzogiorno, le distanze sono cresciute.
Analizzando il Pil pro-capite e fissando il dato al 2000 pari a 100, nel 2021 nel Centro l’indice è sceso a 93,8, nel Mezzogiorno si è attestato a 94,9, nel Nordest a 98,7 e nel Nordovest a 101,4. «Comparando i risultati delle aree più ricche del Paese con quella più in difficoltà, registriamo che rispetto al Nordest, il Sud ha perso 3,7 punti e nei confronti del Nordovest addirittura 6,4 punti. È evidente che i soldi non bastano. Sono una condizione necessaria, ma non sufficiente a risollevare le sorti di un’area svantaggiata», conclude la Cgia”.
Fonte: Il Giornale di Vicenza