Brigata Ebraica e il “suo” Piero Cividalli classe 1926: a Tel Aviv guardando anche all’Italia

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Piero Cividalli a Ramat Gan - Tel Aviv, foto di Paola Farina
Piero Cividalli a Ramat Gan - Tel Aviv, foto di Paola Farina

Da Tel Aviv 15 gennaio 2019 la Brigata Ebraica secondo Piero Cividalli

Quando arrivo nel suo appartamento a Ramat Gan, una volta periferia est di Tel Aviv mi rendo conto di quanto io sia invecchiata: quella cittadina l’ho vista nascere, l’urbanizzazione e lo sviluppo economico ne hanno trasfigurato l’aspetto fino a renderlo il centro di affari del distretto di Tel Aviv, dove ha anche sede la Borsa dei Diamanti.

L’appartamento è curatissimo, arredato con mobili e complementi autentici, in stile italiano, privo di qualsiasi marocchineria, respiro aria di nobiltà italiana, il senso della casa, la cura dell’arredo e del dettaglio, tutto è in ordine. La casa è viva perché ricca di libri, di cultura e di classe. Mi accoglie con estrema gentilezza un autentico signore, Piero Cividalli, classe 1926, vestito con raffinata eleganza, mantenendo le distanze, com’è giusto che sia quando due persone non si conoscono…l’ho contattato io seguendo uno scambio di opinioni su un gruppo in cui qualche amico mi ha inserito, ecco la sua voce

“Desidero precisare: il razzismo di Mussolini colpì duramente l’ebraismo italiano, quello di Salvini per ora colpisce soltanto gli zingari e gli immigrati di colore. E poi? Mussolini ebbe la fine che si meritava, ma fece in tempo a rovinare non soltanto gli ebrei ma anche l’Italia e gli Italiani. Io mi arruolai nel 1944 nell’esercito inglese (brigata ebraica) proprio con l’intento di combattere il nazi-fascismo. Ero e sono un antifascista convinto ed ero e sono nemico dei nazionalismi spinti che portano direttamente al razzismo rovinando popoli interi, senza vantaggi per nessuno. Per questo considero Salvini inaccettabile e ho provato un profondo disagio nella sua visita in Israel. Piero Cividalli.”

Non condivido in toto il suo pensiero, credo però che meriti un confronto, senza scambio non c’è futuro. Avevo capito benissimo che il suo modo di esprimersi era il retaggio del suo vissuto e avevo fatto anche due conti, di certo non aspettava i novant’anni…li aveva già compiuti. Gli ho chiesto un appuntamento e mi ha detto immediatamente di sì, facendomi notare che aveva novantadue anni e si stancava spesso.

Menteur: ha parlato per quattro ore, io avevo programmato mezz’ora, ma il suo racconto era così interessante che io non mi sono mai alzata dalla sedia, non gli ho nemmeno detto che avevo un altro impegno perché ero certa che quell’esperienza avrebbe migliorato il mio spazio interiore ed io sarei uscita da quell’abitazione più ricca nella Memoria e nell’Anima. Chi mi conosce sa quanta fatica io faccia a rimanere zitta, a non interrompere e se ho ascoltato significa che questo uomo mi stava regalando molto!

Ecco allora Piero Cividalli che (si) racconta

La villa Castello di Volognano in cui è nato Cividalli
La villa Castello di Volognano in cui è nato Cividalli

Mio padre era un’antifascista fiorentino, mia nonna una Finzi Contini, che ha abbandonato il cognome Finzi, la mia mamma una D’Ancona, nipote di Alessandro D’Ancona, professore a Pisa, i miei nonni Orvieto erano proprietari terreni, avevano castelli ed erano persone più che agiate. Essendo loro proprietari terrieri diventarono fascisti. Mio padre e mia madre erano di orientamento politico diverso dai nonni, tanto è vero che erano molto amici dei fratelli Rosselli, assassinati a Parigi nel 1937, io conoscevo Nello, non Carlo. Dopo il loro assassinio, seppur bambino perché avevo undici anni, ho detto a me stesso “Io li vendicherò”. Crescendo, maturando, confrontandomi con le mille sfaccettature della vita ho capito che la vendetta non paga.

L'arrivo di ebrei come Pieri Cividalli in Palestina nel 39
L’arrivo di ebrei come Pieri Cividalli in Palestina nel 39

Il babbo capì presto che dovevamo sfuggire alle Leggi Razziali, decise quindi, alla promulgazione di venire qua in Israele (allora Palestina) portando prima la famiglia a Losanna, noi eravamo in cinque fratelli, mentre lui raggiungeva Yaffo con un visto turistico e nel marzo del 1939, anch’io sono arrivato in Palestina con tutta la famiglia. Il distacco dalle radici è stato per me molto traumatico…è vero che siamo arrivati con la cuoca, ma senza cucina! Nell’estate del 39 abbiamo deciso di rientrare in Italia, è scoppiata invece la guerra e quindi siamo ritornati in Palestina, anche con i nonni, ma senza la cuoca perché le è stato negato il permesso.

In Palestina (solo nel 1948 trasformò il nome in Israele) non è stato facile, io in Italia abitavo in un castello, avevo una servitù a mia disposizione, non potevo nemmeno andare dal barbiere (quanto avrei voluto andarci…), mi mettevano in una sedia sopra il tavolo e il barbiere veniva a tagliarmi i capelli in casa, mi era proibito giocare con il figlio del fattore… Sono stato fortunato perché non ho vissuto l’orrore dei campi di nazismo, ma venire qua è stato un trauma che mi ha segnato, lei sa benissimo che qui si respirava e si respira “aria spartana”, prima ero fuori luogo in Italia in quanto ebreo e poi sono diventato un ebreo fuori luogo, perché in Palestina allora si viveva senza regole borghesi (ed io aggiungo… anche ora in Israele).

Le sto raccontando questo perché sono certo che lei interpreta nel modo corretto il mio pensiero. Direi che sono stato doppiamente fortunato, non ho visto i campi di sterminio e non sono affondato. L’amministrazione britannica pose fortissime limitazioni all’immigrazione e alla vendita di terreni agli ebrei. E poi, pur essendo la seconda guerra mondiale e le persecuzioni in corso contro gli ebrei, le navi d’immigrati ebrei vennero spesso respinte, molte di esse andarono a fondo accompagnando altri ebrei a una morte violenta, a una morte di guerra, un annegamento da guerra.

Ma il suo arruolamento nella Brigata Ebraica com’è avvenuto, lei era giovanissimo.

Pieri Cividalli appena arruolato nella Brigata ebraica
Pieri Cividalli appena arruolato nella Brigata ebraica

Ci fu una grande campagna pubblicitaria, il corpo venne costituito nel 1944 dopo una complicata trattativa tra movimento sionista, l’Agenzia sionista e il governo britannico allora presieduto a Winston Churchill, governo questo inizialmente non favorevole a un’unità esclusivamente ebraica. Fu chiamata Jewish Infantry Brigate Group. Mia sorella Paola si è arruolata nell’esercito inglese al Cairo nel 1944 ed io la seguii, dopo un periodo di addestramento in Egitto mi arruolai. Anche per la giovane età non ho fatto in tempo a compiere azioni di combattimento. Negli anni 40 ebbi modo di conoscere in Palestina dei prigionieri italiani catturati dall’esercito britannico durante la seconda guerra mondiale in Nord Africa, che mi sconsigliarono “la partenza per la guerra”, il loro suggerimento rimase un ricordo e non influì minimamente nella mia scelta.

Perché si è arruolato?

Mi sono arruolato per il senso del dovere, per lottare contro i dittatori, qualunque sia la loro ideologia, il dittatore rimane un dittatore a prescindere. Sono arrivato in Puglia nel 1945 ed ho visto il resto della guerra.

Cos’è il resto di una guerra?

Un distintivo della Jewish Brigade
Un distintivo della Jewish Brigade

La distruzione, le macerie, la miseria, la fame, gli storpi da guerra, gli occhi di bambini pieni di terrore, ma che riservano una parte dell’iride alla speranza. Le donne che si prostituivano per una saponetta o una stecca di sigarette. Noi, della Brigata Ebraica non avevano né il dovere, né il diritto di distribuire alla povera gente la nostra razione di cibo, ma io lo facevo ugualmente. Un uomo che si possa definire tale non può essere indifferente alla disperazione delle donne, dei bambini, degli uomini che si avvicinano ai campi militari, non vengono per spiare, ma per sperare in un aiuto pulito. Vede Paola, una cosa è vedere di riflesso questo dolore, come l’ha visto lei, un’altra è viverlo come l’ho vissuto io.

Ma che cosa si sapeva della Germania nazista in Palestina negli anni 40?

Si sapeva e non si sapeva, non avevamo le informazioni corrette, ma sapevamo che stavano succedendo delle cose orribili. Quando nel 1942 i tedeschi con Rommel erano arrivati in Egitto (poi sconfitti da Montgomery) si pensava che potessero inoltrarsi oltre, magari arrivare fino a qua, ci si chiedeva “se arrivavano i tedeschi, è meglio prendere il veleno o buttarsi in mare?”. La lingua principale allora parlata in Palestina che come prima detto diventerà nel 1948 Israele era il tedesco in tutti i suoi idiomi, gli ebrei tedeschi qui arrivati conoscevano sì il nazismo, la notte dei cristalli, ma non erano a conoscenza dei campi di sterminio.

Ma perché non le piace Salvini?

L'intervista a Piero Cividalli su La Stampa
L’intervista a Piero Cividalli su La Stampa

Il problema forse non è Salvini ma parte del suo elettorato. Non accetto, nemmeno da lei, che mi si venga a dire che Salvini è amico di Israele, è un megalomane che vuole arrivare con qualsiasi mezzo. Del resto il fine giustifica i mezzi. Mussolini aveva un’amante ebrea, lei Paola, pur essendo vicentina, ma con radici al Ghetto, di sicuro avrà sentito parlare di Margherita Grassini Sarfatti, figlia di Amedeo, avvocato e consigliere comunale a Venezia, amico del patriarca Giuseppe Sarto (il futuro papa Pio X), ma non mi sembra che l’amore abbia prevalso! La mia mamma è stata segretaria della Regina Elena, il mio bisnonno amico della Regina Margherita, con l’avvento delle leggi razziali, le conoscenze non sono servite, siamo riusciti a fuggire solo perché ne avevamo i mezzi, non perché c’erano gli amici.

Poi nel 46, mia madre andò a trovare in Egitto la famiglia di Aldo Ambron (il nonno era un agronomo che si occupava delle tenute della mia famiglia ed erano ebrei) e lì ci trovò anche Vittorio Emanuele III e la Regina Elena, mia mamma ebrea, in casa di ebrei, trova quelli che hanno contribuito a far morire gli Ebrei italiani…che ipocrisia!

Quanto gli Ebrei in Italia sono stati e sono perseguitati?

"Negozio giudeo" durante il periodo delle leggi razziali
“Negozio giudeo” durante il periodo delle leggi razziali

Gli ebrei in Italia sono stati forse, ma insisto sul forse, meno perseguitati che in altri posti, ma lo sono stati. La violenza persecutiva parte da tempi atavici. La mia trisnonna è stata obbligata a sposarsi a quattordici anni e a fare nove figli, per evitare il rischio di essere rapita e costretta alla conversione, come avvenne per molte adolescenti ebree (Rimango basita, di questo non ho mai saputo nulla ed intendo approfondire, chissà se Papa Francesco mi aiuta!, ndr).

Una cugina di mio nonno Giuseppe d’Ancona, Flora Levi D’Ancona, scrisse un libro intitolato “La Giovinezza dei Fratelli D’Ancona (De Luca editore – Roma 1982) e a pagina 17 scrive “Quando Napoleone Bonaparte iniziò la campagna d’Egitto i Francesi si ritirano dalle Marche; allora infierì la reazione delle autorità pontificie contro i liberali e gli ebrei. Diverse fanciulle, col diritto dell’oblazione, furono rapite in seno alle famiglie e battezzate per forza all’insaputa dei genitori. Salvatore Dalla Ripa, prudentemente, pensò di accasare la figlia per darle la legittima protezione del marito”. Ester della Ripa D’Ancona (mia trisnonna) aveva allora quattordici anni. Il suo ritratto di vedova, dipinto dal figlio, il pittore macchiaiolo Vito D’Ancona, si trova a Pisa in una sala della Scuola Normale.

La mia trisnonna lasciò Pesaro per trasferirsi in Toscana. Il Gran Duca di Toscana era mentalmente aperto verso gli Ebrei, cercava il contributo ebraico per l’arricchimento materiale e intellettuale di Pisa e l’ha ottenuto. La chiesa cattolica ha sempre esercitato un forte pressione per la conversione al cattolicesimo. Ho conosciuto un prete, qui a Gerusalemme, molto colto, apparentemente non missionario, siamo diventati amici, ma non posso essere amico al 100% di un prete… mi ha fatto sapere che alcuni commensali non avrebbero gradito la mia presenza a un pranzo. La chiesa se conviene fa una politica pro-Israele, ma solo se conviene…Eppure la scritta I.N.R.I., è l’espressione latina Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (letteralmente, «Gesù il Nazareno, Re dei Giudei)».

Io l’ascolterei per ore Piero Cividalli e la sua storia che dalla Brigata Ebraica spazia verso il presente e il futuro, ma lo spazio di un giornale on line, teoricamente infinito, è limitato per l’abituale lettore web. Abbiamo sforato di molto anche se stare con lui nella sua casa è un’emozione continua. E allora, ecco un’altra domanda.

Perché gli italiani preferiscono sfilare con la bandiera palestinese e non quella della Brigata Ebraica?

Piero Cividalli fotografato da Paola Farina il 15 gennaio 2019 nella sua casa a Ramat Gan
Piero Cividalli fotografato da Paola Farina il 15 gennaio 2019 nella sua casa a Ramat Gan

Sono stati fatti dei grossi torti agli arabi, ma il cosiddetto popolo palestinese è inesistente. Gli arabi sono arrivati in Palestina con l’impero ottomano, finché c’erano gli inglesi, si stava discretamente perché si riusciva a mantenere un certo equilibrio. La Palestina era abitata prevalentemente da arabi e da ebrei russi, la malvagità ha destabilizzato l’equilibrio, c’erano i margini di dialogo ma gli arabi hanno preferito la guerra. Però la bandiera palestinese con la Giornata della Memoria o con il 25 aprile ha ben poco da spartire, questo è opportunismo elettorale e “marcia di partito”.

Vorrei che i giovani italiani conoscessero la storia con equilibrio intellettuale. Sembra che gli italiani non si rendano contro che comunismo e fascismo non portano ad alcun punto d’incontro. Il comunismo poi è come il cattolicesimo. 

E cioè?

Prendono in prestito un’ideologia attraente, la usano per il loro interesse ed una volta usata va nel dimenticatoio.

A me Piero Cividalli è piaciuto molto (anche se non sopporta Salvini): pittore, insegnante d’arte, uomo di cultura e raffinato, ho colto degli spezzoni della sua vita, omettendone buona parte del privato, per ragioni di spazio e di rispetto, nonostante mi sia stata data carta bianca. Mi piace però riportarne un dettaglio perché significativo nell’evidenziare la sua straordinaria personalità e la sua sua non paura della solitudine: si è separato vent’anni fa dalla moglie, mantenendo buoni rapporti, perché alla moglie dava fastidio l’odore del colore… e non si può dar torto a un artista per questa scelta.

Esiste una strettissima correlazione tra stato d’animo, energia, colore e odore di colore. La natura umana vive di emozioni e sono le emozioni che ci fanno vivere e vedere il mondo con colori, profumi e luci diverse. Non si può convivere con un uomo pittore se non si ama l’odore del colore! Mi pare più che ovvio! Chissà se io arriverò a novantadue anni con le capacità intellettuali, culinarie, artistiche dell’ex ragazzo della Brigata Ebraica, Piero Cividalli! Chapeau!

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Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.