Il carcere di Vicenza: per Cub Vicenza non ci sono ancora le condizioni per il percorso riabilitativo indicato dalla Costituzione

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carceri in veneto, emergenza suicidi

(Articolo di Giovanni Novello (Cub Vicenza) da VicenzaPiù Viva n. 6, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

La situazione carceraria a Vicenza non è certo delle più rosee e da anni i problemi vengono segnalati da molteplici parti. Più di due reclusi per ogni agente. Un rapporto considerato assolutamente insoddisfacente e tale da creare pericoli potenziali per la sicurezza della casa circondariale cittadina, in un contesto complessivo di difficoltà crescente per il sovraffollamento delle carceri e il numero insufficiente di agenti di custodia.
I problemi sono sempre più gravi. Le lacune nell’organico comportano un’organizzazione del lavoro tale da avere ricadute negative sullo stesso equilibrio psicofisico degli agenti.
Controlli sanitari sono stati avviati, ma molto resta da fare in tema di salute e di sicurezza. Molti agenti sono costretti a saltare ferie, riposi e affrontare turni sempre più gravosi”.
Cub, quindi, dice no “ai pesantissimi tagli delle risorse destinate alle carceri, che produrranno il collasso del sistema di sicurezza dei penitenziari italiani”. In un carcere che vede poco meno della metà dei detenuti che stanno scontando la pena definitiva, solo il 7% è occupato in lavori esterni presupposto fondamentale per il reinserimento dei reclusi nella società.
Perché bisogna rendersi conto che le carceri sono piene di donne e uomini che nella maggior parte dei casi arrivano da vite difficili, da quartieri completamente dimenticati dalle istituzioni in cui il carcere vicentino è solo l’ultimo approdo. Perché non sono quartieri che producono turismo, perché distanti dal centro vetrina. Quartieri in cui l’abbandono scolastico è altissimo perché per arrivare a fine mese serve pure lo stipendio di un figlio. Perché il razzismo e l’emarginazione non possono far altro che aggravare la situazione e portare altre persone a commettere “reati». È inutile pensare ad un progetto di “Giustizia Riparatrice» perché magari ne salverà uno ma non va a combattere il vero problema. Solo una società equa e giusta, anche a livello locale, in cui le distanze fra le persone si accorciano e la possibilità di avere una vita dignitosa per tutti e tutte, può e deve essere la soluzione per questa emergenza! Allora sì che potremmo parlare di giustizia intesa nel senso più stretto del termine, per ora ci sentiamo solo impotenti e non viene fatto nulla di concreto per far uscire le persone da questi luoghi, che pure per la Costituzione, dovrebbero essere di recupero alla società, se non piccoli tentativi di associazioni e gruppi meritevoli, male o poco supportati dalle istituzioni cittadine. Perché solo fuori si può pensare ad un vero percorso riabilitativo, sicuramente non dentro i penitenziari che sono il regno dell’immobilismo.