(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 7, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
La diciassettenne Chiarello trovò la morte nel gennaio 1979. “Investita”, dissero. Ma tra le pieghe dei verbali si scopre altro.
Nadia Chiarello scomparve nella zona industriale di Agro, a Chiampo, il 10 gennaio del 1979. Verrà trovata morta lì vicino, in un fosso, solo 9 giorni dopo. Cosa è successo a Nadia? Non si sa. La famiglia ha recentemente cercato di riaccendere l’attenzione investigativa, ottenendo l’intervento degli iconici RIS di Parma, ma la soluzione del
caso è ancora lontana e flebile, come tracce sulla neve.
Nadia era una diciassettenne di Nogarole, figlia maggiore di una famiglia come tante, che, da qualche settimana, aveva trovato impiego negli uffici della conceria Negro. Come spesso accadeva, quel giorno era d’accordo con il padre Lorenzo che l’avrebbe chiamata a mezzogiorno se fosse passato a prenderla alle 18, altrimenti sarebbe tornata a casa con un vicino, Mario Bauce, che lavorava nei pressi. Alle 19, la ragazza non era ancora arrivata a casa e la famiglia chiese informazioni a Bauce: affermò di essere passato lungo viale Europa al solito orario, ma di non aver visto Nadia e di aver quindi proseguito.
Il padre si mise subito in auto, recandosi alla conceria: non lo fecero entrare, ma ottenne dal superiore di Nadia, il ragionier Ferrari, l’indicazione che la ragazza era uscita un po’ prima del solito orario. Alle 21 e 30, la famiglia chiamò i carabinieri per denunciarne la scomparsa, nella convinzione che non poteva trattarsi di un colpo di testa da adolescente, e il padre proseguì le ricerche nei dintorni, armato di una potente torcia da muratore. Anche lungo il fossato dove verrà trovato il corpo della figlia. Dopo mezzanotte vi passarono anche i militari per un «sommario sopralluogo dall’esito negativo», citava il verbale.
È solo la mattina dopo che viene diramato l’allarme di scomparsa alla questura e ai giornalisti. Dopo le prime indagini, venne rintracciato un ‘amico speciale’ della ragazza, che venne subito sospettato, anche perché aveva fornito un nome falso: in realtà, il piccolo imprenditore veronese l’aveva fatto poiché sposato e per la sera della scomparsa ha un alibi incrollabile. «Le prime ipotesi investigative – spiega Chiara Parolin, avvocata della sorella di Nadia, Barbara Chiarello – esclusero il rapimento e l’omicidio intenzionale. Si tese a pensare piuttosto a un incidente stradale oppure a una fuga della ragazza». Furono controllate diverse auto, ma senza esito, mentre non furono mai ascoltati i titolari della Negro, né i carabinieri pensarono di eseguire un sopralluogo interno» sottolinea Parolin. Nel frattempo, il padre di Nadia continuava a passare lungo quel tratto di strada che aveva inghiottito la figlia, ma senza esito.
Nel pomeriggio del 19 gennaio, quasi al tramonto, un operaio in motorino intravide qualcosa sotto la neve, proprio nel fossato che corre lungo viale Europa e proprio a pochi metri dalla Nigro. Sul posto arrivarono subito i carabinieri, il magistrato e il medico legale. «Secondo quanto riportato, il corpo era composto, supino, con le mani strette a pugno, la gonna era sollevata e il maglioncino era annodato sulle spalle. Sotto i talloni, due canalette, attribuite a spasmi post mortem. In seguito all’esame autoptico, venne riscontrata una frattura cranica ed alcune escoriazioni alle gambe. Il medico legale conclude che la ragazza sia stata colpita da un’auto e il magistrato di Arzignano, Antonio Maturo, chiude le indagini come ‘investimento mortale a carico di ignoti’». «Una cosa curiosa – fa notare Parolin – è che nel verbale del ritrovamento i militari scrivono che il corpo è stato trovato ‘occultato’… Un lapsus?».
Ma la famiglia non ci sta: «me l’hanno ammazzata», ha continuato a ripetere papà Chiarello dal 10 gennaio ‘79 alla morte e non è d’accordo neanche l’allora parroco di Nogarole, don Luigi Setti, ora in pensione nel Bassanese. «È una delle tante ombre di questo caso», spiega Parolin. «La perpetua ha più volte affermato che il parroco subì un’aggressione per il suo respingere pubblicamente la tesi dell’investimento. Ma rifiutò di recarsi all’ospedale e da allora ha sempre negato che sia accaduto».
Inoltre, i familiari della vittima, dopo il riconoscimento, affermarono che gli abiti della ragazza (che purtroppo non sono stati conservati) puzzavano di quell’odore forte e acre delle vasche da concia. Dichiarazioni che furono ignorate dagli inquirenti, che non ritennero mai nemmeno di dover entrare nella conceria Nigro.
«Altra circostanza strana sono i 70 milioni del Fondo per le vittime di omicidio stradale che vengono offerti alla famiglia direttamente dai carabinieri, senza che questa avesse avviato alcuna richiesta e procedura», aggiunge Parolin. «Alle mie fonti non risulta sia mai stato possibile un simile iter: di che soldi si parlò, quindi?
Lorenzo Chiarello, ovviamente, li rifiutò con sdegno. Voleva la verità, come la vogliamo ancora oggi».
Poi ci sono le lettere anonime ricevute qualche anno dopo dalla famiglia, sempre per intimare loro il silenzio, ora passate nelle mani dei Ris, per cercare riscontri che, con le tecnologie del ‘79, non furono trovati.
La famiglia ha chiesto anche l’aiuto del criminologo Edoardo Genovese, ma «solo il corpo di Nadia può raccontarci, grazie alla scienza odierna, qualcosa in più su cosa le accadde in quel maledetto 10 gennaio. Per questo stiamo (ancora) aspettando le decisioni della procura di Vicenza, che ha riaperto il caso nel 2021» spiega l’avvocata.
Alla luce di quanto emerso negli anni, e vista l’estrema superficialità delle indagini, è lecito ipotizzare che Nadia Chiarello non sia stata investita e che le sia successo qualcosa di terribile all’interno del suo posto di lavoro. Quello che è più difficile delineare, però, è il movente: «Nadia aveva scoperto qualcosa? Era troppo presto per i traffici della Mala del Brenta nella zona, che coinvolgeranno i conciari solo più avanti. Era troppo presto soprattutto per eventuali reati ambientali, che non esistevano. Beghe di evasione?».
«Anche questo mi sembra improbabile – analizza Parolin -. Forse un’avance sessuale finita tragicamente ma, allora, perché far trovare il corpo proprio lì?».
I protagonisti della vicenda sono tutti morti, tranne don Luigi Setti. Che, però, non parla.