I servizi e Banca Nuova (Palermo) ex BPVi, Nicola Borzi si sente in pericolo: pubblichiamo tutto, è la sua “polizza sulla vita!”

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Nicola Borzi a rischio, ha scritto di servizi e Banca Nuova (BPVi)
Nicola Borzi a rischio, ha scritto di servizi e Banca Nuova (BPVi)

«Salva il materiale contenuto nell’email, mettilo su device non collegati alla rete, mi raccomando è la mia polizza di assicurazione sulla vita» ci scrive il 9 febbraio alle 17.30 Nicola Borzi, il collega all’epoca a Il Sole 24 Ore, ora collaboratore de Il Fatto Quotidiano, che ha scoperto di essere da più di un anno sotto inchiesta, e da quello che scrive sotto minaccia, insieme a Francesco Bonazzi de La Verità a quasi 15 mesi dagli articoli sui conti dei servizi segreti in Banca Nuova (Palermo) del gruppo Banca Popolare di Vicenza, ora in Lca, pubblicati il 15 novembre 2017 sulla Verità e il 16 e 17 novembre seguenti sul Sole 24 Ore, dopo le perquisizioni e i sequestri dei propri archivi digitali.

«Ho deciso di rendere pubblico tutto quello che ho scoperto sulle vicende relative alla BANCA DEL POPOLO DI TRAPANI – BANCA NUOVA» premette al materiale che affida a noi e a altre decine di colleghi, gli rispondiamo «materiale, bravo, io ci sono. È da tanto che ti dico che insieme è meglio…» e, alla sua domanda a se stesso in premessa al memoriale («non so perché fonti che ritengo assolutamente attendibili hanno voluto riferire queste informazioni A ME») rispondiamo: «Lo avranno detto anche ad altri ma tu hai pubblicato».

E lui: «Facebook non mi lascia pubblicare il post con il memoriale perché “non rispecchia gli standard della community”, salvalo tu mi raccomando, se vuoi puoi pubblicarlo, per me è meglio. Sappiano comunque tutti quelli che sono in ascolto che il materiale è stato preventivamente distribuito a decine di colleghi di diverse testate».

Pubblicare il materiale ora per noi non è un’opzione, ma un dovere deontologico e personale.

Pubblichiamo e leggiamolo insieme (prima pubblicazione il 9 febbraio stesso, poi ripetuta più volte come oggi, ndr) sperando che siano eccessivi (non lo pensiamo, però) i timori del collega Nicola Borzi ma sicuri che se tutto sarà noto neanche il peggio sarà attuabile.

Giovanni Coviello

M E M O R I A L E   B A N C A   N U O V A

di Nicola Borzi

Troppe vicende siciliane mi hanno insegnato che chi tiene per sé i propri segreti corre gravi rischi.

E’ per questo (oltre che perché credo che solo il lavoro di squadra paghi nel giornalismo investigativo come nell’investigazione tout court) che ho deciso di rendere pubblico tutto quello che ho scoperto sulle vicende relative alla BANCA DEL POPOLO DI TRAPANI – BANCA NUOVA.

IPOTESI INVESTIGATIVA

Secondo fonti che ritengo assolutamente attendibili (ma che non so perché hanno voluto riferire queste informazioni A ME) Banca Nuova è stata usata da pezzi degli apparati dello Stato (deviati?) e a sua volta ha usato pezzi degli apparati dello Stato (deviati?) per fornire servizi logistici, servizi di telefonia mobile, autoveicoli, uffici, coperture a funzionari dei servizi implicati in due vicende temporalmente distinte ma sostanzialmente connotate da una reciproca continuità:

1 – INFILTRAZIONE DELLE “TALPE” ALLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI PALERMO;

2 – INFILTRAZIONE DI “TALPE” NELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PALERMO DURANTE LE INDAGINI SULLA COSIDDETTA “TRATTATIVA STATO – MAFIA”.

In realtà Banca Nuova pare proseguire organicamente un proprio rapporto con pezzi degli apparati dello Stato (deviati?) in funzione di un preciso disegno iniziato decenni addietro, ai tempi della Banca del Popolo di Trapani, che l’istituto palermitano del gruppo Banca Popolare di Vicenza incorpora nei primi anni 2000 e di cui incorpora (non casualmente ma anzi causalmente) tutti i rapporti e i segreti.

Rapporti che in un ventennio hanno a che fare con almeno cinque omicidi (quelli dell’avvocato Gaetano Longo, legato alla corrente di Salvo Lima e Giulio Andreotti, direttore dello sportello palermitano dell’istituto e legato a numerose società palermitane di import export vinicolo, avvenuto nel 1978; del giudice istruttore Giangiacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Valderice il 25 gennaio 1983; di Mauro Rostagno, avvenuto a Valderice il 26 settembre 1988; del mafioso Antonino Minore, andato a processo come uno dei mandanti dell’omicidio Ciaccio Montalto; del maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, assassinato da ignoti mentre era in missione in Somalia a Balad il 12 novembre 1993) e con il suicidio del commercialista Giampietro Procopi, consigliere di amministrazione di Banca Nuova, avvenuto a Bassano del Grappa (Vicenza) il 22 luglio 2016.

Ma i legami con la mafia e i poteri politici (e molto spesso, curiosamente, con vicende legate alla produzione vitivinicola) della Banca del Popolo di Trapani appaiono già negli anni Sessanta del secolo scorso e sono indicati nella relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1976 redatta dal parlamentare dell’MSI – DN Giuseppe Niccolai, definita da Leonardo Sciascia “una cosa seria”, legati a vicende di traffici petroliferi; nell’istruttoria Falcone – Turone del 1982 sul riciclaggio dei capitali derivanti dal traffico internazionale di stupefacenti; nelle vicende legate ai misteri di Vito Garrasi; nel sequestro di un patrimonio da 2mila miliardi di lire (compresi “1.200 ettari di vigne e frutteti”) del 1996 all’uomo d’affari palermitano Vincenzo Piazza, vicino alla mafia e azionista con l’8% della Banca del Popolo; nella confisca del 1989 per decine di miliardi all’imprenditore Giovanni Bonomo, condannato al 416 bis e titolare di attività vitivinicole; nelle indagini per riciclaggio di proventi da traffico di droga e di armi condotte da Ciaccio Montalto; nelle azioni della banca detenute dai vertici della famiglia mafiosa Minore; nei conti correnti della comunità Saman di Rostagno, amministrati dal “dominus” Cardella, collegato a traffici con la Somalia; sulle indagini relative a Saman effettuate dal maresciallo Li Causi del Centro Skorpio del SISMI a Trapani, indagini che erano l’“unica attività” condotta stranamente dal centro Skorpio secondo quanto lo stesso Li Causi dichiarò ai magistrati prima di venire ucciso in Somalia.

Si vedano gli appunti successivi e i relativi link a documenti disponibili in rete.

1 – Pag. 1090 Relazione Commissione parlamentare antimafia del deputato Giuseppe NICCOLAI (MSI – DN) (dal 28 luglio 1972 al 23 gennaio 1973 e dal 22 febbraio 1973 al 4 luglio 1976), relazione definita da Leonardo Sciascia «una cosa seria»:

«Valga a sostegno di queste affermazioni la vicenda davvero sconcertante, sia per le vaste proporzioni assunte in breve arco di tempo sia per le persone e gli enti in essa implicati, ‘del cosiddetto «caso Miallo» documentato dagli atti in possesso della Commissione. Il fallimento del Miallo, titolare dell’omonima ditta esercente, a Marsala, il commercio all’ingrosso ed al minuto di materiale per l’edilizia, nonché quello della società Petrolifera Lilybetana, azienda di commercio di carburanti, e dei soci Pipitone Giuseppe, Asaro Antonino e Licari Mariano, hanno coinvolto tre aziende e undici persone tutte di Marsala. «II giudice fallimentare e la curatela» — si legge nel doc. 402 — «al termine di lunghi e laboriosi accertamenti, hanno potuto determinare lo stato passivo di Miallo Gaetano all’incirca in un miliardo di lire e quello di Pipatone Giuseppe, quale responsabile del dissesto della società Petrolifera Lilybetana, in 760 milioni circa». «La gran parte delle passività di Miallo Gaetano, circa 700 milioni, grava su nove istituti di credito, con sedi in Trapani e Marsala, tra i quali appare maggiormente esposta la Banca del popolo di Trapani con crediti per 3-25 milioni di lire. «Seguono nell’ordine, per somme varianti da un massimo di 150 milioni ad un minimo di 10 milioni: Banco di Sicilia di Marsala — Banca del Sud di Trapani (o di Marsala) — Banco di Roma dì Trapani (o di Marsala) — Banca Agricola di Marsala — Banca del lavoro di Marsala — Banca agraria di Marsala — Banca commerciale italiana di Trapani e Banca sicula di Trapani. «Se si tiene conto altresì della somma di oltre 400 milioni rappresentata da un giro fittizio di assegni, (prosegue il documento citato), che Miallo ha instaurato, al momento del crollo finanziario, tra Banca del Popolo di Trapani e Bianca del Lavoro di Trapani e che i due istituti si rivendicano ora reciprocamente, in moneta, l’ammontare dello stato passivo di Miallo sale da un miliardo ad un miliardo e mezzo circa, di cui oltre un miliardo sempre a danno di banche». Infatti Miallo, si legge ancora nel doc. n. 402, «agendo in perfetta intesa con Pipitone Giuseppe, potè disporre, grazie a dirette relazioni con i dirigenti di istituti di credito, di ingenti somme di denaro, attingendo a due fonti di liquidità bancaria: la prima costituita da “giri” fittizi di assegni di c/c “triangolari” dall’una all’altra delle tre banche indicate; la seconda dallo sconto bancario di fattizie cambiali-tratte emesse nei confronti di amici compiacenti. «Gli importi degli assegni di ” giro ” scoperti di depositi e della carta cambiaria scontata andarono gradatamente aumentando sino a raggiungere cifre di decine e decine ‘di milioni di lire». Da sottolineare che il caso di cui si parla accade nel 1964; come di consueto la Commissione lascia a metà la propria opera. Raccolte le notizie non va più oltre. Perché? E’ convinzione del relatore che dietro il caso Miallo abbiano operato personaggi della politica nazionale e la riprova di quanto affermiamo è che la Commissione si è ben guardata di approfondire il particolare per cui i due istituti bancari cercarono di contenerle lo scandalo riversandolo con il beneplacito di costoro, sui direttori. Laute liquidazioni dunque dietro le manovrate dimissioni. In conclusione non è possibile che l’enorme giro finanziario avviato dal Miallo e compagni presso le tre banche sia potuto «passare» senza il beneplacito degli organi direttivi centrali degli istituti di credito. Il Miallo e compagni erano protetti. Ma da chi?»

http://archiviopiolatorre.camera.it/img-repo/DOCUMENTAZIONE/Antimafia/04_rel_03.pdf

2 – «Una delle inchieste più significative (quella condotta dal giudice istruttore Giovanni Falcone contro Rosario Spatola e altri mafiosi) è stata possibile principalmente attraverso gli accertamenti relativi ai passaggi dei narcodollari nelle banche, non solo siciliane e non solo minori (18). Le tracce lasciate dai movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose sono state considerate come il vero “tallone d’Achille” delle organizzazioni mafiose (Falcone – Turone, 1982: 42)… Gli accertamenti effettuati nel corso dell’inchiesta giudiziaria riguardano i seguenti istituti di credito: Sicilcassa (Palermo), Cassa rurale artigiana di Monreale (agenzie di Monreale e Palermo), Banca popolare di Carini, Banca del popolo di Cinisi, Banco di Sicilia (agenzia di Palermo e Riesi), Banca popolare siciliana (agenzia di Bagheria), Banca nazionale del lavoro (agenzia di Palermo), Banca del Sud (Bagheria), Banca popolare di Belmonte Mezzagno, Cassa rurale e artigiana di Altofonte. Sul territorio nazionale: Banco di Napoli, Banca nazionale dal lavoro, Banco di Roma, Cassa di risparmio di Calabria e Lucania, Banca popolare di Luino e Varese, Monte dei Paschi di Siena, Credito romagnolo (Falcone, 1981)».

https://www.centroimpastato.com/progetti-di-ricerca-2/

3 – STORIA E VITA DI DON VITO GUARRASI, L’UOMO “PIU’ SEGRETO DI FATIMA”, IL BOSS DEI DUE MONDI (MAI CONDANNATO) AL COSPETTO DEL QUALE SI INCHINAVANO TUTTI, DAI PIU’ SANGUINARI CAPIMAFIA AI GRANDI CAPITALISTI ITALIANI – UN RAPPORTO DEL 1944 DEL DIPARTIMENTO DI STATO USA LO INDICA TRA I COMPONENTI DI SPICCO DI COSA NOSTRA – AMICO DI EMANUELE MACALUSO E LONTANO PARENTE DI ENRICO CUCCIA, MASSONE DI RAZZA, GUARRASI ERA PER TUTTI “MISTER X”….

«Se però se si va in piazza a Paceco e si chiede un parere sulle dichiarazioni fatte dal senatore in televisione la risposta delle memorie storiche è unanime: «Sùlu Francesco Messina Denaro a Castelvetrano? Ma quànnu mai? Pùru ccà i gabelloti  dei D’Alì eranu capimafia: basta pinsàri a Cicciu D’Angelo, chiamatu “Cicciarèddru”, nnò feudu “Tamburellara”; a Vito Sucameli, ntìsu “Nasca”, nnò feudu “Bellingeri” e ai loro gregàri». Solo dipendenti? «E pùru influenti!» precisa un omino che si regge sul bastone. In che senso? «Unu di chissi fici “pùnciri” puru a sò figghiu: parìa chi cuntava menu, ma so frati si mpustàu a Banca Sicula, e u postu passàu in eredità a un figghiu. Ci finìu mègghiu di Salvatore Messina Denaro, figghiu di Cicciu e frati di Matteo: l’arrestaru pi mafia e fu scuppàtu fòra».

 

Come prima, più di prima – Ma non c’è solo questo. «Un niputi di “Cicciareddru” e fràti di mafiusu – dice un altro – trasìu à Banca del Popolo e fu puru sindacu di Paceca. E quando le autorità lo hanno interpellato sulla reputazione di Girolamo Marino, detto “Mommu ù nànu”, iènnaru di “Nasca” e capomafia dopu a iddru, c’arrispunnìu: ”E’ una persona rispettabilissima”. Ecco qua, l’hanno scritto anche in una rivista nazionale». E mostra la fotocopia dell’articolo di “Panorama” del 22.6.1981. Il nome del sindaco? Giuseppe D’Angelo.

Nelle stesse pagine ci sono nomi del Gotha mafioso trapanese del momento, tra i quali campeggiano quelli dei Minore (uno dei quali, Antonino, secondo quanto scrive Caruso, fu impiegato dai D’Alì nella tenuta di Contrada Bianca) e dei Marino, ma anche notizie sui finanziamenti della Regione e della Cee a certe aziende del settore vinicolo,  lo stesso nel quale sono oggi in corso inchieste e processi per truffe a carico di rampolli della “Marino dinasty” – due dei quali incriminati anche per triplice omicidio commesso a Brescia – e dei loro finora “presunti” complici. Secondo qualcuno, i finanziamenti arrivavano attraverso “parlatine” di politici. E, guarda caso, il presidente di una delle società sequestrate è fratello di un ex candidato sindaco del centro destra».

http://www.comunismo.eu/comunismo_index/Materiali/Voci/2013/1/11_Mafia%2C_capi__Guarrasi%2C_Caruana-Contrera%2C….html

4 – L’UNITA’ 18 gennaio 1978

Ventiquattro ore di sangue per una serie di delitti

Assassinato un banchiere dc – Altri tre omicidi in Sicilia

L’avvocato Longo fulminato in auto sotto gli occhi del figlio – Era legato all’on. Salvo Lima – Macellaio ucciso davanti casa – Rapinatore muore a Catania

Dalla nostra redazione PALERMO — Ventiquattrore di sangue in Sicilia per una serie di delitti, di varie matrici e caratteristiche. Due di essi recano l’impronta inconfondibile dell’esecuzione mafiosa: altri due il contrassegno della i nuova » criminalità giovanile. La vittima più nota della tragica serie di episodi che si sono succeduti nelle ultime ore è caduta in un agguato consumato con la spietata tecnica degli omicidi su commissione; si tratta dell’ex sindaco democristiano di Capaci, una località a 10 chilometri da Palermo sulla costa occidentale della Sicilia, capogruppo al comune, segretario della locale sezione scudocrociata, l’avv. Gaetano Longo di 49 anni. L’hanno ucciso, ieri mattina, sotto gli occhi del figlioletto Giustino, di 11 anni, che stava accompagnando a scuola. due killer che l’attendevano ad un incrocio. Tre colpi di P 38, tutti andati a segno. Quando la «Mercedes» di Longo si è fermata allo stop, uno dei due sicari, disceso da una A 112 (poi risultata rubata, nella vicina Carini) ha infranto il finestrino dal lato del guidatore e ha sparato un colpo che ha raggiunto Longo ad un fianco. Poi si è fatto avanti l’altro ed ha esploso altre due rivoltellate. l’ultima un vero e proprio colpo di grazia, ha raggiunto la vittima alla tempia sinistra trapassandogli il cranio. Giustino, sfuggito miracolosamente al fuoco. ha aperto lo sportello, ed è fuggito in strada, gridando aiuto. All’arrivo dei primi soccorritori Gaetano Longo respirava ancora. Ha cessato di vivere mezz’ora più tardi al pronto soccorso dell’ospedale di Villa Sofia a Palermo, dove è morto prima che i medici potessero intervenire. Lascia, oltre la moglie. Giovanna Mancuso. altri due bambini. Mariangela di 8 anni e Dario di 4 anni. Giustino, unico testimone del delitto. ha visto in faccia gli assassini di suo padre che hanno agito a volto scoperto. Ma l’identikit più interessante — dice un investigatore — è quello della vittima: direttore della sede di Palermo della chiacchieratissima “Banca del popolo” di Trapani. fors’anche azionista dell’istituto di credito tra i cui soci figura il sanguinario capomafia Mariano Licari. Per 14 anni pressoché ininterrotti a capo dell’amministrazione della cittadina, proprio negli anni del più sfrenato saccheggio della costa, interessato attraverso la rappresentanza di ben 12 società import-export del commercio dei vini, ricco e potente membro di qualche peso del comitato provinciale democristiano per la corrente andreottiana capeggiata dall’on. Salvo Lima, nominato l’anno scorso per la direzione regionale. Gaetano Longo aveva un ruolo centrale in una « industria del potere » di chiara impronta, ramificata nella costa occidentale fino a Palermo. v. va.

https://archivio.unita.news/assets/derived/1978/01/18/issue_full.pdf

5 – Nel 1996, fu esposto che uno degli azionisti della banca (8% del capitale sociale), Vincenzo Piazza, era legato alla mafia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Banca_Nuova

6 – La Repubblica 21 giugno 1996

ECCO IL PADRONE DI PALERMO

PALERMO – Un costruttore siciliano che è rinchiuso all’Ucciardone per mafia riceve ogni mese qualche miliardo di lire dal ministero di Grazia e Giustizia, dal Comune di Palermo, dalla Provincia, dalle Usl, dall’ Inps, dall’ Enel e anche dalla Telecom. Tutti soldi di affitti, gli affitti dei suoi 64 palazzi sparsi per la città. E’ un detenuto molto fortunato Vincenzo Piazza, 65 anni, imprenditore edile della borgata dell’Uditore, ex garzone in un’officina meccanica e amico di grandi boss di Cosa Nostra. Fortunato, almeno fino a ieri, fino all’ udienza preliminare sulla confisca dei suoi beni già sequestrati. La Finanza ha stimato il suo “tesoro” in 1100 miliardi, i consulenti della Procura dicono però che quello è un calcolo per difetto e, precisano, che il suo patrimonio si aggira sui 2000 miliardi. E’ la storia di uno degli uomini più ricchi di Palermo che nel 1992 ha dichiarato al fisco di guadagnare 17 milioni e 899 mila lire. E’ la storia di un impero che fa odore di mafia e che è nascosto sotto decine di prestanome: figli, cugini, zie, ex dipendenti, pensionati nullatenenti e ragazzini. Sfiorato 15 anni fa dalle prime indagini di Giovanni Falcone, indicato dai pentiti Nino Calderone e Francesco Marino Mannoia come “un imprenditore a disposizione degli amici”, rinviato a giudizio per associazione mafiosa nell’ autunno scorso, il costruttore Vincenzo Piazza è entrato nel mirino degli accertamenti del “Gico”, il gruppo speciale della Finanza che si occupa dei beni di Cosa Nostra. Un pool di dieci investigatori ha “seguito” le tracce di soldi e pacchetti azionari, ha rovistato nelle banche, ha riempito tre stanze di una caserma solo con i documenti sequestrati al costruttore. E ha consegnato un dossier ai sostituti procuratori Domenico Gozzo e Biagio Insacco, dossier che è finito – proprio ieri mattina – davanti ai giudici del Tribunale che dovranno decidere sulla confisca. E’ un patrimonio costruito sul mattone, sui palazzi che Vincenzo Piazza ha alzato in ogni strada di Palermo. Risulta proprietario di 2500 vani e di 13 ville. I suoi 64 palazzi ospitano quasi tutti uffici pubblici. A cominciare dai locali della Procura presso la Pretura. Ma l’elenco degli affitti che Stato e Enti locali pagano mensilmente al costruttore amico dei boss, è lunghissimo. Miliardi e miliardi che escono dalle casse del Ministero della Sanità e della Pubblica istruzione, dall’ assessorato regionale ai Beni culturali e da quello della Cooperazione. Nei palazzi di Vincenzo Piazza ci sono scuole elementari e licei scientifici, istituti tecnici e professionali. Ci sono gli uffici dell’Annona del Comune di Palermo, ci sono tre unità sanitarie locali, c’è anche la caserma dei Vigili Urbani. L’impero dell’imprenditore nasce con il cemento ma cresce nella terra. Vincenzo Piazza ha intestato a qualche insospettabile prestanome 1200 ettari di vigne e frutteti nella provincia ragusana, tra Vittoria e Acate. E qualche altro “nullatenente” risulta proprietario di un’azienda agricola in provincia di Siena, una tenuta che si estende per quasi 15 chilometri. Le aziende e le società che fanno capo al costruttore – quelle individuate fino ad ora – sono 20. Una dozzina quelle legate all’ edilizia, quattro o cinque quelle agricole, un’altra mezza dozzina quelle industrali. Il “tesoro” sequestrato comprende anche 131 appartamenti (questi non affittati), 122 magazzini e locali che ospitano grandi supermercati, 8 capannoni industriali nella zona di Carini, un cinema a Palermo, 30 tra cantine e garage e 20 automobili. Alla Procura di Palermo da qualche settimana è nato un pool di magistrati che lavora a tempo pieno sul riciclaggio e sui patrimoni mafiosi. Sono cinque sostituti, uno di loro è Domenico Gozzo. Dice: “E’ questa la nuova strada per colpire Cosa Nostra, stiamo cominciando proprio dagli imprenditori edili vicini alle cosche”. Dopo i primi sequestri e le prime confische di beni contro Gianni Ienna (il proprietario di un grande albergo sulla via del mare e soprattutto molto amico dei fratelli Graviano di Brancaccio), Salvatore Sbeglia (un costruttore coinvolto nella strage di Capaci) e Salvatore Corso (un prestanome dei boss Ganci della Noce), gli esperti del “Gico” e il pool della Procura di Palermo si sono concentrati su Vincenzo Piazza. L’indagine è cominciata intorno a 54 mila metri quadrati di terreni edificabili alle porte di Palermo. Poi l’ inchiesta si è inoltrata nelle società, in quel groviglio di nomi senza storia che risultavano proprietari di case e palazzi. Così si è arrivati a Vincenzo Piazza e al suo “tesoro”. Ed è solo l’inizio di una prima indagine. I finanzieri sono entrati negli istituti di credito, hanno subito scoperto che il costruttore è anche banchiere. Ha intestato ad alcuni pensionati 215 mila quote azionarie della “Banca del Popolo” di Trapani, per un valore complessivo di circa 9 miliardi e 400 milioni di lire, l’8% del capitale sociale della banca.

a b

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/06/21/ecco-il-padrone-di-palermo.html

7 – LIVESICILIA 22 Luglio 2016

A BASSANO DEL GRAPPA

Commercialista si suicida – Era nel cda di Banca Nuova

Gianpietro Procopi aveva 75 anni. Si è ucciso nel suo studio con un colpo di pistola. Una lettera potrebbe rivelare i motivi del gesto.

di Accursio Sabella

PALERMO – Si è ucciso all’interno del suo studio, al centro della ricca Bassano del Grappa, con un colpo di pistola. Gianpietro Procopi aveva 75 anni e da anni era un consigliere d’amministrazione di Banca Nuova, l’Istituto di credito di proprietà della Popolare di Vicenza, da mesi al centro di inchieste sulla presunta cessione a investitori e correntisti di azioni “fasulle”.

Non è ancora chiaro se il gesto dell’uomo sia legato proprio alle vicende che riguardano la banca, che in questi giorni verrà sommersa da decine di richieste di risarcimenti da parte di imprenditori e risparmiatori ai quali è stato proposto l’acquisto di azioni rivelatesi in poco tempo poco più che carta straccia. Le motivazioni alla base del suicidio potrebbero essere però chiarite da una lettera che – stando a indiscrezioni – l’uomo avrebbe lasciato proprio nel suo studio. Gli inquirenti stanno indagando in ogni direzione e hanno posto sotto sequestro l’ufficio dell’amministratore.

Il gesto di Procopi sta scuotendo la comunità veneta. L’uomo, assai noto in zona, era stato, tra i tanti incarichi ricevuti, anche il presidente dell’ordine dei commercialisti di Bassano del Grappa. Era arrivato a Banca Nuova, invece, fin dal primo giorno. Fin dal 2000, quindi, anno in cui la Popolare di Vicenza guidata da Giovanni Zonin, noto imprenditore del vino, decide di creare nell’Isola un nuovo Istituto che poi si sarebbe anche fuso con la Banca del Popolo di Trapani, e completamente partecipato dalla Popolare vicentina.

Un cordone che non era mai stato reciso. E così, ecco che i “guai” che al momento investono la banca veneta, rischiano di avere pesanti ricadute anche sull’istituto siciliano. A Livesicilia, ad esempio, un imprenditore siciliano, a capo di una azienda conosciuta in tutta Italia, ha denunciato il meccanismo che lo avrebbe danneggiato: la banca avrebbe concesso un “fido” all’azienda solo a patto che l’imprenditore acquistasse decine di azioni della Popolare di Vicenza. Azioni che sarebbero passate presto dalla valutazione di circa 62 euro ad appena 10 centesimi. Stesse storie sono state raccontate all’Adusbef, associazione che tutela i clienti delle banche, da tantissimi risparmiatori che stanno avanzando richieste di risarcimento.

Quanto e se queste vicende siano legate al suicidio di Gianpietro Procopi, al momento, non è possibile saperlo con certezza. Chi l’ha conosciuto però lo ricorda con un amministratore impeccabile e capace. Amante del mare, usciva spesso con la sua barca. Ogni anno, raccontano alcuni dirigenti di Banca Nuova, attendeva la stagione degli asparagi per organizzare una grande cena nella sua Bassano. Nella sua vita, un enorme dispiacere: la morte della prima moglie a causa di un male incurabile. Lascia due figli, dopo il gesto compiuto nel centro di Bassano. Lo ha trovato la sua seconda moglie, Mariolina, poco prima delle otto di sera. Se ne verrà confermata l’esistenza, una lettera di addio chiarirà le motivazioni alla base del gesto.

https://livesicilia.it/2016/07/22/banca-nuova-cda-procopi-suicidio-popolare-di-vicenza-banca_770862/

8 – Giornale di Sicilia, 30 settembre 1999

Sospetti di mafia, scatta la confisca del patrimonio di due imprenditori

Giovanni Bonomo, condannato di recente a undici anni di reclusione per il 416 bis, sarebbe volato in Sudafrica per trascorrere la sua latitanza. In stretti rapporti con il boss Nenè Geraci e con una lunga sfilza di potenti capimafia di Partinico, avrebbe messo i locali della sua cantina a disposizione dei “pezzi da novanta” per summit e riunioni operative. A lui sono stati confiscati lo stabilimento enologico “Vinicola Magna” di Borgetto; venti appartamenti che si trovano a Partinico (corso dei Mille e via Roma), Palermo (via Marcellini) e Trappeto (via Manna); quindici appezzamenti di terreno a Partinico, Trappeto, Monreale, Borgetto, Valguamera e Campobello di Mazara; l’intero capitale sociale della “Vinicola Magna” e della “Mediterranea Vini”; quote di partecipazione nella “Parthenos Immobiliare”; 232 azioni della Banca del Popolo di Trapani. Nei suoi confronti i giudici hanno anche disposto la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, un provvedimento che Bonomo non rispetterà visto che si è dato alla latitanza. In tutto sono stati confiscati beni per 100 miliardi, una fetta del vastissimo patrimonio mafioso

www.messinaantiusura.it/filedown.asp?s=23388&l=2

9 – La Repubblica, 23 novembre 2005

‘Soldi e assunzioni su richiesta dei clan’

Anche Zonin tra le vittime del racket

Di pressioni mafiose non ne aveva mai parlato, certo però il problema lo conosceva, eccome. «Ho ricevuto solo richieste di interessamento per far lavorare qualcuno. Ma è un aspetto che non mi ha mai infastidito. Vuol dire che da queste parti la necessità è grande. Offrire opportunità è pure un dovere di un imprenditore». Passeggiando sulla nuda terra del feudo di Butera, dov’è cominciata la sua avventura siciliana, Gianni Zonin rispondeva così alle domande impertinenti di chi voleva sapere se Cosa nostra si fosse già fatta avanti. Era il febbraio di due anni fa. Negò, con maggiore vigore, le pressioni dei boss lo scorso gennaio quando partecipò alla trasmissione “Punto e a capo”, su Raidue, dedicata a chi produce in Sicilia. Un programma riparatore organizzato in tutta fretta dopo che, dieci giorni prima, “Report” su Raitre aveva denunciato le infiltrazioni della mafia nelle imprese dell’Isola. L’ inchiesta della terza rete affermò che il 70 per cento degli imprenditori siciliani paga il pizzo. Ma dieci giorni dopo, sulla seconda rete, Zonin replicò di non averlo mai pagato. Quella trasmissione riparatrice e quelle dichiarazioni, oggi saranno portate in commissione di Vigilanza della Rai dal diessino Giuseppe Giulietti. E ora che dalle carte dell’inchiesta sulla mafia nissena è emerso che anche la società vinicola siciliana di Zonin pagava il pizzo e che tra i suoi dipendenti compare il nome di Francesco Cammarata, reggente del mandamento di Riesi e assunto – secondo gli inquirenti – per non lavorare, ma in ossequio alle pressioni delle cosche, l’imprenditore veneto replica con lo stesso concetto di sempre: «Con riferimento alle notizie sull’operazione antimafia denominata “Odessa” in corso nella provincia di Caltanissetta – si legge in una nota – l’azienda Feudo Principi di Butera (gruppo Zonin), specializzata nella valorizzazione dei vini del territorio, si avvale di lavoratori soprattutto avventizi e stagionali della zona, assunti con regolare contratto, in tal modo contribuendo ad assicurare posti di lavoro in una zona ad alto tasso di disoccupazione». L’impresa vinicola di Riesi nacque nel ’97 con la benedizione di Salvatore Cuffaro, allora assessore all’Agricoltura, che incoraggiò l’ imprenditore vitivinicolo a investire nell’Isola. Un’ attestazione di stima ricambiata da Zonin nel giugno del 2001: la campagna elettorale era nel vivo e l’imprenditore veneto sottoscrisse un documento di sostegno per “Cuffaro presidente”. La Sicilia del vino ha attratto Zonin al pari della Sicilia del credito. E Banca nuova, creata nel 2000, è stata la sua scommessa. Quest’anno l’istituto ha assorbito 30 sportelli dell’Antonveneta. Oggi Banca Nuova detiene una rete di 100 agenzie con oltre 800 dipendenti. Col tempo ha fagocitato 20 sportelli di Banca Intesa, ha acquisito il controllo di Banca del Popolo di Trapani (36 sportelli), fino alla fusione con Banca del Popolo di Trapani. «Io qui sono venuto per mettere radici – ha dichiarato più volte Zonin – Chi investe nella terra lo fa con l’intento di rimanerci. Così come non è un caso che Banca Nuova abbia la sua sede e l’amministrazione proprio a Palermo». Ma chi investe «in questa terra», prima o poi, deve fare i conti con Cosa nostra. E l’ennesima conferma è arrivata dall’inchiesta Odessa.

MASSIMO LORELLO

www.fermatelagiustizia.it/news/download/84/65/18

10 – Mario Almerighi “Il testimone – Memorie di un magistrato in prima linea”, le Onde, La Nave di Teseo, Milano, 2017.

“Qualche tempo dopo; Marisa La Torre (vedova del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Valderice il 25 gennaio 1983 ndr) motiverà pubblicamente la sua decisione (di ritirare la propria costituzione di parte civile nel processo per l’omicidio del giudice Giacomo Ciaccio Montalto, ndr): … “L’uccisione di mio marito e di Rostagno hanno consentito la conservazione ad alto livello di quel circuito d’interessi mafiosi e paramafiosi sui quali poggiano equilibri economici e sociali che si tramandano di padre in figlio, e non sarà un processo a dei killer a scuotere o minacciare un assetto strutturale. […] Non si può chiedere a una parte civile di avallare, comunque, risultanze processuali così macroscopicamente riduttive della complessa realtà mafiosa trapanese e siciliana da cui è scaturita l’uccisione di mio marito”. Solo anni dopo la donna ammetterà, di fronte ai giornalisti, di essere stata costretta persino ad abbandonare Trapani con le figlie e a trasferirsi in un’altra città, per aver ricevuto serie minacce anche dopo la morte del marito.

Il 4 marzo 1989, dopo circa sei anni di indagini e centocinquanta udienze, la Corte d’Assise di Caltanissetta presieduta da Salvatore Cantaro condanna all’ergastolo Antonino Minore, latitante, quale mandante dell’omicidio (del giudice Giacomo Ciaccio Montalto, ndr) e Ambrogio Farina e Natale Evola quali sicari. Per Calogero Di Maria è ormai troppo tardi. Altre condanne, per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, arrivano a Salvatore Farina (il figlio di Ambrogio) e Calogero Minore, rispettivamente a quattordici e dieci anni di reclusione. Altri cinque imputati minori riportano condanne sempre per fatti di droga, da sei a dodici anni.

Nella sua requisitoria, il pubblico ministero Teresa Principato identifica il movente dell’omicidio con l’obiettivo di por fine alle indagini che Ciaccio Montalto stava conducendo sui traffici di droga e di armi, nonché sui movimenti bancari che provavano il riciclaggio degli ingenti proventi di tali traffici

Il 30 novembre 1992, dopo sessanta ore di camera di consiglio, la corte d’assise d’appello di Caltanissetta cancella gli ergastoli e le altre condanne inflitte in primo grado. Assolti i presunti mandanti, i presunti killer e gli altri imputati. Il 23 febbraio 1994 la sentenza verrà confermata dalla Cassazione.Tutte le teorie, le prove, le indagini e le conclusioni dell’accusa sono rifiutate per un motivo o per l’altro; persino la perizia di Scotland Yard sull’arma, perché non eseguita di fronte ai rappresentanti della difesa. A quanto pare, qualcuno ha preso un grosso abbaglio. Ma chi?

Intervistata da La Repubblica, Marisa La Torre dichiara: “[La sentenza] non mi ha sorpresa né sconvolta. Tutto è andato come doveva andare, tutto come previsto, fin dall’inizio del processo. Ci sono stati condizionamenti dall’alto. Non mi chieda nulla, non posso essere più precisa. Voglio continuare a vivere tranquilla, non voglio svegliare il can che dorme. Il problema non è quello dei nomi, ma del contesto, delle implicazioni, dei rapporti che stanno dietro il delitto. […] Il disegno che ha ucciso Giangiacomo ritengo sia venuto da lontano, dall’estero, dagli Stati Uniti. Penso a certi intrecci, ai servizi segreti americani. Mafia trapanese? C’era in gioco ben altro: flussi finanziari internazionali, miliardi, riciclaggio””

11 – Corte d’Assise di Caltanissetta, sentenza del 3 marzo 1989 Pag 564

“… veniva sottolineato che Minore Antonio Salvatore e Minore Calogero erano soci della Banca del Popolo (con la quale intrattenevano rapporti molti dei personaggi legati ai Minore)”

https://www.csm.it/documents/21768/2106573/Corte+assise+Caltanissetta+4+marzo+1989+-+2+parte.pdf/b6c82c97-e133-079e-ab5d-52d43fb4659f

12 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 1584-1585

“In ogni caso, sebbene dai redazionali di ROSTAGNO trapelino spunti di accesa polemica per le (asserite) condizioni di ristrettezze economiche in cui SAMAN era costretta ad operare anche a causa della mancata erogazione dei contributi regionali – che invece venivano generosamente elargite ad altre associazioni – già all’epoca della sua morte la Comunità, di cui la sua compagna era formalmente amministratore unico, ma che di fatto vedeva come dominus il CARDELLA, fruiva dei cospicui finanziamenti di vari enti pubblici di cui s’è detto e di una consistente liquidità, comprovata dai numerosi conti correnti bancari (due presso la banca Cesare Ponti di P.zza Duomo a Milano; e due a Trapani, rispettivamente presso la Banca del Popolo di Trapani e la Cassa Rurale e Artigiana di Xitta)”.

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13 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 1587-1588

“Il primo degli episodi di peculato per i quali CARDELLA nel processo a suo carico riportò condanna con la richiamata sentenza del tribunale di Trapani dell’11.05.2005, risale al marzo 1989 e non appare di particolare gravità (335). E’ anche vero però che esso costituisce il primo collaudo di un artificio cui anche in seguito CARDELLA fece ricorso per incrementare a spese di SAMAN il suo patrimonio personale e in particolare quello immobiliare. Inoltre, è ragionevole presumere che l’affare dovette essere ideato e congegnato già alcuni mesi prima”.

335 Fu stipulato un preliminare di vendita di un fabbricato di proprietà dell’avv. Pietro MICELI, poi intestato, nella stipula del definito, a SAMAN s.r.l., cioè la società di cui CARDELLA era dominus, essendo titolare del 99,80% delle relative quote. Ma il prezzo complessivo venne pagato in tre tranche con assegni tratti sul conto corrente intestato a SAMAN presso la Banca del Popolo di Trapani.

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14 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 31

“Veniva, poi, disposta, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., l’acquisizione del verbale – in forma non omissata, salvo la persistenza di esigenze investigative – delle dichiarazioni rese al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani dal maresciallo Li Causi Vincenzo in data 28.6.1993, nonché eventuali altri verbali di dichiarazioni rese dal Li Causi nell’ambito del procedimento istruito dalla Procura della Repubblica di Trapani sul caso dell’omicidio Rostagno e sul caso Gladio in relazione all’attività del Centro Scorpione. A quest’ultimo riguardo veniva pure disposta l’acquisizione al fascicolo del decreto di archiviazione emesso dal G.I.P. del Tribunale di Trapani in data 1.6.2000 nell’ambito del procedimento sul centro Scorpione”.

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15 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 38

“7. se via sia agli archivi dell’Agenzia traccia dell’informativa redatta dal Capocentro CAS Scorpione sulla Comunità Saman, come risulta dalle dichiarazioni rese da Li Causi Giuseppe ai P.M. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani in data 28.6.1993, nonché dalle dichiarazioni rese dal Colonnello Fomaro Paolo compendiate nel decreto di archiviazione emesso dal G.I.P. del Tribunale di Trapani in data 1.6.2000 nell’ambito del procedimento penale n. 133/1998 R.G.G.I.P. Ignoti – n. 436/1997 R.G.N.R. e in caso positivo di trasmettere copia della stessa informativa;”

19 Alla successiva udienza del 13.3.2013 il Presidente preliminarmente dava atto dell’avvenuto deposito di parte del materiale documentale richiesto dalla Corte con l’ordinanza istruttoria del 14.12.2012.

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16 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 41

19 Nello specifico: verbali non omissati delle dichiarazioni rese dal Mar.llo Li Causi Vincenzo al P.M. del Tribunale di Trapani in data 28.6.1993 ed in data 12.12.1991 richiesti a pag. 18 dell’ordinanza; nota integrativa richiesta alla Squadra Mobile di Trapani relativa agli accertamenti balistici espletate nell’ambito delle indagini sull’omicidio Giacomelli, di cui a pag. 9 dell’ordinanza

17 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 879 – 880

in un articolo su “Il fatto quotidiano” del 15 marzo 2012, a firma di Andrea PALLADINO viene riportato uno stralcio di un documento proveniente dagli archivi del S.I.S.M.I. e acquisito agli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso ALPI — nonché desecretato nel 2006 – che a sua volta contiene un passaggio della risposta trasmessa (nel 2000) dall’Ammiraglio BATTELLI, Direttore del SISMI, alla richiesta di informazioni pervenutagli dalla Procura di Torre Annunziata. Dal tenore della risposta 177 si evince che, secondo le informazioni in possesso dei Servizi, almeno una delle due “GARAVENTA” era stata effettivamente utilizzata per trasportare in Somalia, tra febbraio e marzo del ’94, un carico di cibo e medicinali (circostanza smentita da Francesco CARDELLA nella corrispondenza che ebbe con il giornalista Andrea PALLADINO: v. infra).

Ad incrociare le fonti testimoniali su questi temi concorrono poi quattro compendi dibattimentali, e segnatamente la documentazione prodotta dai giornalisti SCALETTARI e PALLADINO – che sono stati altresì escussi nel presente dibattimento – in parte sottoposta all’attenzione, per quanto poteva essere di loro rispettiva competenza, alle Agenzia di sicurezza (A.I.S.E. e A.I.S.I); la documentazione trasmessa dalle medesime Agenzie in allegato alle informazioni richieste da questa Corte; la documentazione facente parte delle rogatorie internazionali intraprese dalla procura di Trapani — quando era ancora indagato di concorso nell’omicidio Francesco CARDELLA) e proseguite poi dalla D.D.A. della Procura di Palermo nell’ambito delle indagini sull’omicidio ROSTAGNO. A corredo delle fonti fin qui sommariamente richiamate, vanno ancora segnalate, nell’ambito degli approfondimenti disposti da questa Corte, le testimonianze del sedicente ex gladiatore, Antonino ARCONTE e del senatore Massimo BRUTTI (all’esito della cui deposizione sono stati acquisiti il primo rapporto informativo sulla sicurezza del COPASIR e una relazione sulla vicenda di GLADIO in Sicilia, entrambi a sua firma); e l’ulteriore documentazione proveniente dall’incartamento processuale relativo al procedimento istruito dalla procura di Trapani sull’organizzazione paramilitare GLADIO, comprensiva non solo del relativo decreto di archiviazione, ma anche dei verbali delle dichiarazioni, in esso richiamate, del M.llo Vincenzo LI CAUSI, che fu a capo del C.A.S. Scorpione dal novembre 1987 sino alla sua chiusura, alla fine di novembre del 1990 a seguito dello scioglimento (con decreto ministeriale) dell’intera organizzazione GLADIO e che fu ucciso, in circostanza mai del tutto chiarite da una o più pallottole vaganti nei pressi di Balad, in Somalia, il 12 novembre 1993 dove si trovava in servizio (di intelligence) per il SISMI; nonché delle dichiarazioni dell’A.. Fulvio MARTINI – anche lui deceduto – alla Procura presso il Tribunale Militare di Padova e di quelle rese alla Procura di Roma e alla Procura di Trapani dal Ten. Col Paolo FORNARO180, che sovrintese alla costituzione del Centro Scorpione, in esecuzione delle direttive impartite dal Comandante della VII Divisione del SISMI, Col. Luciano PIACENTINI; ed ancora, delle dichiarazioni rese dallo stesso PIACENTINI alla Procura Militare del Tribunale Militare di Padova181; e delle dichiarazioni rese alla Procura della Repubblica di Roma dal Generale Benito Mario ROSA, già Capo di Stato Maggiore del SISMI.

177 «Emerge che CARDELLA (…) risulta proprietario della motonave GARAVENTA che nel febbraio 1994, giunta a Malta da Marsala per effettuare riparazioni in modo riservato, avrebbe raggiunto la Somalia con un carico di cibo e medicinali»: cfr. documentazione già allegata al verbale di assunzione di informazioni di Andrea PALLADINO del 3 maggio 2012, e prodotta dal pubblico ministero all’udienza del 18.01.2013.

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18 – Tribunale di Trapani, Corte d’assise di Trapani, prima sezione, Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sentenza di primo grado, 27 luglio 2015, pag. 886

In tale prospettiva s’inserì anche il filone di accertamenti che conduceva ad incrociare gli atti dell’inchiesta su GLADIO. In particolare, secondo quanto si evince dalle dichiarazioni del M.llo LI CAUSI, l’unica attività che questi svolse per la base trapanese di GLADIO, prima di essere ucciso in Somalia, consistette in una raccolta di informazioni sulla comunità di ex arancioni di Saman; attività che egli svolse in esecuzione di una precisa direttiva impartitagli dal suo superiore (il dott. PAMPILLONIA non ne ricorda il nome, ma si tratta del Ten Col. Paolo FORNARO: v. infra). E, se mal non ricorda, allo stesso LI CAUSI non sfuggiva la singolarità di quel fatto: « Se non ricordo male, da ciò che ho letto, però non ricordo… Li Causi dichiarò che gli sembrava molto strano che gli unici accertamenti che lui doveva svolgere, riguardavano esclusivamente l’organizzazione Saman. Diceva: “Mi sembra strano che, in una realtà come quella trapanese, la base Gladio” che si chiama Scorpio “all’interno di questa Provincia, si occupasse di un’attività informativa che riguardasse una comunità per tossicodipendenti”». (Cfr. ancora PAMPILLONIA, udienza del 30.03.2011).

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