Noi, boomers. La partenza per il mare

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Boomers al mare
Boomers al mare

(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 8, sul web per gli abbonati).

La ‘600 bianca, con le porte controvento, veniva caricata a tal punto fino a far quasi toccare i pneumatici con il passaruota, quella parte di carrozzeria che raccorda il parafango con il parasassi. Non avendo bagagliaio, ma solo un piccolo vano all’interno del cofano (la parte restante, considerato che l’altra ospitava il serbatoio dell’acqua) destinato solo alle pinzillacchere e quisquilie di poco volume, tutte le borse e le valigie venivano montate, una sull’altra, sul portapacchi. Avvolte da un telo di nylon (ma perché se non pioveva?) e tenute ferme da corde elastiche i cui ganci terminali, tirati all’inverosimile («tira Massimo ….. ostia …… te go dito de tirare …»), venivano ancorati alla struttura del portapacchi.
La 600, lunga circa tre metri e qualcosa, si proiettava in altezza oltre i due metri e cinquanta, in barba a qualsiasi regola di sicurezza. Avete presente i totem dei Pellerossa, ecco, aggiungetene la metà!
Il pomeriggio del giorno antecedente la partenza (come fosse l’ultimo viaggio della propria vita, alla stregua delle anime traghettate dal psicopompo Caronte da una riva all’altra dell’Acheronte) si doveva salutare l’intera Contrà SS. Apostoli partendo dai portici, a scendere verso la piazzetta: la titolare del bar della Guerrina, il lattaio (deliziosi i suoi coni di panna a 30 lire), le ragazze delle Corriere Capozzo, la proprietaria della Grotta Mode (negozio al di sotto del quale si trovava il Teatro romano Berga), il titolare del negozio strumenti musicali Jacolino, lo ‘scarpareto’, il salumiere Bortoli dove oggi insiste un negozio di tappeti (che amavo profondamente in quanto ogni volta che mia madre faceva la spesa mi allungava una fetta di salame ungherese o milano nonché per la di lui bella figlia, da noi tutti ammirata), il fruttivendolo Dal Lago, il barbiere Cracco (che per non farmi cadere lo shampoo sugli occhi, quando mi lavava i capelli, mi metteva in testa una ciambella di plastica, simile al copricapo dei cappellani) i gestori (moglie e marito) della macelleria Padovan et dulcis in fundo (ma proprio in fundo) gli impresari funebri Cera. Rendetevi conto del tempo ma soprattutto della pazienza che serviva ad un baby boomer qual ero per sopportare una processione simile, fatta di commiati beati voialtri ch’ndè al mare.
La partenza (il primo di luglio con ritorno il 31 dello stesso mese), la mattina seguente, era di buon’ora: 05.30 (… per raggiungere Sottomarina non Reggio Calabria). Tutto era stato caricato, veniva solamente fatto posto ad una piccola tanichetta di acqua per il radiatore ed a qualche panino e aranciata Staro. Si alzava la levetta dell’aria posta a terra tra i due sedili anteriori e tirando la seconda levetta dell’accensione accostata alla prima si partiva con andamento caracollante verso la meta. L’aria condizionata era costituita dall’abbassamento integrale e contestuale dei due finestrini anteriori, la cui azione era chiaramente a manovella, in modo tale da “fare corrente”, anche se l’aria che entrava rimaneva calda, ventilandoci come il Favonio (Fohn) in Svizzera e con mia madre ad urlarmi «metete el coton ‘ntee recie che te vien l’otite e non torno a casa par ti».
Il percorso, noto a tutti, comprendeva l’attraversamento di Padova dove puntualmente, ogni anno, ci si perdeva («… ma … sacramento … non semo xà passà de qua?»). Con me che malcelavo le risate tra gli sbuffi e le imprecazioni paterne. Anche perché il Master and Commander non seguiva mai il mio consiglio di servirsi dell’autostrada che lo avrebbe condotto oltre Padova ma preferiva fare la “strada normale”. Anzi, il Nostromo, tentava di gabbarmi dicendomi falsamente, mentre lo percorrevamo, che la vera autostrada era il rettilineo che da Ponte San Nicolò portava a Piove di Sacco. Quasi fossi un minus habens che non ne capiva la differenza.

boomers al mare
boomers al mare

Dopo avere superato con difficoltà Padova, essersi fermati un paio di volte perché l’acqua del radiatore aveva raggiunto gradazioni degne di Mercurio, ci si incanalava sulla strada principale che portava a Sottomarina impattando con la coda kilometrica da incubo che ci aspettava sogghignante come il peggiore dei pupazzi o clown horror di kinghiana memoria. Alla sua vista mio padre mollava, desolato, il volante della 600 ed apriva le braccia, come nei dipinti il Don Bosco dei ragazzi, esclamando qua non rivemo più !
Ecco allora, che lo spirito di Pigafetta, si impossessava del conducente (che nel frattempo per la calura si era fatto un copricapo artigianale con un fazzoletto annodato ai quattro angoli, affinché il sudore non cadesse dalla testa pelata sugli occhi), il quale, pensando fosse una genialata, svoltava verso la strada che correva lungo l’argine sinistro del Brenta,
esclamando un soddisfatto: tajemo de qua! Ma altresì aprendo una discussione con il sottoscritto che sommessamente gli diceva guarda che potremmo imbatterci egualmente in incolonnamenti.
Taxi ti bocia ….. cossa vuto savere…. xe quaranta anni che fasso sta strada …. la lapidaria risposta. Bene, percorsi due Kilometri, una nuova coda si mostrava a noi nella sua più eterea bellezza. Ma non mi arrischiavo mai a dire te l’avevo detto, perché mia madre voltandosi verso di me, senza parlare, con uno sguardo complice e grazioso mi ammutoliva. Dopo circa un’ ora, un’ora e mezza si riusciva ad intravedere la laguna del Lusenzo ed a annusare i suoi miasmi.
Finalmente si arrivava alle nove e mezza , dieci (in totale quattro ore e mezza di viaggio della passione) sul lungomare ove stanziavano decine di donne urlanti con l’accento chioggiotto e con la testa compressa tra le mani come nel dipinto di Munch (e non è un eufemismo considerato che lo facevano alle auto in transito):«Sior volo un appartamento? …. Siora voa na stansa?».
Appartamento che poi, nella maggioranza dei casi, si rivelava essere uno scantinato o addirittura un negozio dove, per poter dormire la notte era necessario, abbassare la saracinesca. Era quello che con ogni probabilità rimaneva sfitto, rimasto, considerato che le case migliori erano già state locate addirittura a partire dall’inverno precedente. Eravamo arrivati, il cielo era terso, il mare una tavola, le vacanze potevano iniziare.