Draghi e il rapporto sulla competitività: “UE deve cambiare radicalmente”

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Presentato ieri a Bruxelles il rapporto sul futuro della competitività europea da parte di Mario Draghi. Al suo fianco, Ursula von der Leyen appena riconfermata al vertice della Commissione UE.

In 327 pagine: debito comune, produttività ed eliminazione dei veti dei singoli Stati. Ma anche la chiusura del gap con Usa e Cina, con 800 miliardi in più l’anno su difesa, industria e transizione green. Questi i capisaldi del rapporto.

“Se vuole aumentare la propria produttività, e quindi, nel lungo periodo, preservare il proprio modello sociale, l’Ue deve cambiare radicalmente”, ha detto l’ex presidente della Bce e del Consiglio “Questo rapporto – ha aggiunto Draghi – arriva in un momento difficile per il nostro continente. Dobbiamo abbandonare l’illusione che solo rimandando si possa preservare il consenso. In realtà, la procrastinazione ha solo prodotto una crescita più lenta. E di certo non ha prodotto alcun consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza agire, dovremo sacrificare il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà”.

Filippo Santelli, su La Repubblica, sintetizza alcuni passaggi fondamentali: “Il primo – scrive -, purtroppo poco presente nel dibattito, è “chiudere il gap di innovazione” che si è aperto con gli Stati Uniti. Tra le raccomandazioni, Draghi pro10pone di rafforzare – raddoppiandone il budget – il Consiglio europeo dell’innovazione per renderlo simile all’Arpa, l’agenzia Usa che supporta le tecnologie strategiche; di creare di un regime legale semplificato per le startup valido in tutta la Ue; di rafforzare la rete di supercomputer per l’Intelligenza artificiale; di favorire il consolidamento nel settore delle telecomunicazioni, anche rivedendo le regole sulla concorrenza”.

Ambiente e industria rappresentano il secondo capisaldo, creando “un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività. Secondo Draghi è necessario abbassare i prezzi dell’energia, altissimi in Europa, per esempio attraverso acquisti comuni di gas liquefatto o slegando i prezzi delle rinnovabili da quelli del metano. Qualcosa si è provato a fare, senza risultati. Il rapporto dice che la decarbonizzazione va accelerata, per esempio con procedure di approvazione degli impianti più rapide, ma anche – tema caro alle imprese – che deve essere “tecnologicamente neutra”, citando il nucleare a fianco di rinnovabili, idrogeno e biocombustibili, e suggerendo di spingere sui reattori di nuova generazione.

Per quanto riguarda l’industria verde, alle prese con la concorrenza sussidiata della Cina, si raccomanda di sostenere i settori dove l’Europa può essere leader – come le batterie – e quelli strategici, anche con “quote obbligatorie di produzione locale”. Tra le proposte un piano specifico per l’automotive – esempio più evidente del corto circuito tra obiettivi climatici e assenza di politiche industriali in cui si è infilata Bruxelles – che favorisca la nascita di una filiera europea della mobilità elettrica”.

Infine, la sicurezza: un tema “molto atteso, nel terzo anno di guerra in Ucraina. Con aziende troppo piccole nel settore, e in assenza di una politica di difesa comune, Draghi suggerisce almeno di aggregare le commesse tra gruppi di Stati e di integrare la produzione dei mezzi di difesa in una logica transfrontaliera. Servono molti più investimenti, in particolare in ricerca e sviluppo, che potrebbero essere in parte supportati dalla Bei, modificandone lo statuto. Ma il documento declina la sicurezza anche come “riduzione delle dipendenze” economiche, raccomandando maggiore estrazione di materie prime critiche e accordi con i Paesi fornitori. Serve una “politica economica estera” comune”.

Tutto questo però – ha chiarito l’economista italiano – presuppone il reperimento e la messa a disposizioni di ingenti risorse economiche. “Gli 800 miliardi valgono 4,7 punti di Pil, l’equivalente di oltre due Piani Marshall, per arrivare a un livello che non si vede dagli anni ‘70″. Nella visione di Draghi serve coesistenza di investimenti privati e, soprattutto, pubblici.

Da qui il richiamo alla necessità di “eurobond prosegue l’analisi sul rapporto Draghi – già utilizzati per finanziare il Recovery, ponendo fine al “liberi tutti” degli aiuti di Stato che favorisce solo chi può spendere. Le resistenze dei Paesi frugali sono note, non a caso Von der Leyen, che domani presenterà la nuova Commissione, svicola dicendo che «prima vengono i progetti comuni, poi i fondi». Il rapporto suggerisce una via intermedia, comunque complessa: ritardare il rimborso del debito raccolto per il Pnrr e utilizzarlo per altre priorità strategiche”.

Alla base di tutto però, oltre agli euro, servono meno burocrazia, magari attraverso la nomina di un vice presidente alla semplificazione e decisioni più veloci.

“Perché la strategia delineata in questo rapporto abbia successo – aggiunge Draghi – dobbiamo iniziare una valutazione comune della nostra posizione, degli obiettivi a cui vogliamo dare priorità, dei rischi che vogliamo evitare e dei compromessi che siamo disposti a fare. Dobbiamo garantire che le nostre istituzioni, democraticamente elette, siano al centro di questi dibattiti. Le riforme possono essere veramente ambiziose e sostenibili solo se godono del sostegno democratico”, avverte infine.