(Articolo sulla guerra nel Medioevo da Vicenza Più Viva n. 10, sul web per gli abbonati tutti i numeri, da oggi anche in edicola il numero di novembre, ndr).
A chi, sia pure parzialmente abbia un po’ di confidenza culturale con il periodo medievale (che, per inciso, non è un periodo, ma è un capitolo con molti paragrafi), non può sfuggire il fatto che quell’epoca sia stata pervasa dall’elemento bellico. Tutte le fonti fanno continuamente riferimento alla presenza costante della guerra che, in qualche modo, costituisce l’elemento fondante di tutta la società medievale. Nel pensare comune si legge di una guerra profondamente diversa da quella contemporanea, uno scontro che metteva in campo un numero ridotto di uomini, ma perfettamente armati e addestrati per i compiti loro affidati e che si fronteggiavano in uno scontro che doveva decidere le sorti del conflitto: una guerra sostanzialmente meno cruenta di quella attuale e che si risolveva sostanzialmente nel fronteggiarsi di cavalieri e fanti.
Si trattava poi di una guerra con confini precisi sia temporali, difficilmente si combatteva in inverno, sia spaziali, considerate anche le maggiori difficoltà di spostamento degli eserciti medievali, anche se non possiamo passare sotto silenzio le numerose discese verso la penisola degli imperatori germanici.
Nonostante le molte riflessioni che sono state condotte dagli storici rimane tuttavia da approfondire quale sia stato effettivamente l’impatto della guerra sulla società nel suo complesso, come essa abbia trasformato le categorie mentali degli uomini del tempo. Al pari di oggi forse, affrontare lo studio di un tale argomento non è così diverso per il periodo medievale; allo stesso modo di oggi l’impatto sulla società e sugli stili e sui modi di vita era chiaramente importante, anche se differenti erano le modalità di svolgimento. Lo stretto rapporto esistente tra guerra e società lo si vede nella funzione della guerra stessa, che può andare oltre la creazione di una solidarietà temporanea: il risultato vittorioso di un’impresa militare poteva costituire la materia prima sulla quale fondare un mito duraturo, coinvolgendo la stessa identità della collettività e, allo stesso tempo, la sconfitta poteva avere analogo valore quando percepita come una temporanea pausa in un conflitto durevole e aperto poi ad una rivincita.
Come sottolineato all’inizio si debbono naturalmente tenere in conto le profonde differenze esistenti nei diversi momenti del mondo medievale e, soprattutto, si devono tenere in conto anche le discrepanze e i risvolti tra le diverse aree del continente: se per esempio nel caso della guerra dei 100 anni tra Inghilterra e Francia, lo scontro bellico fu utilizzato per la costruzione di una identità nazionale che vedeva nel sovrano un importante e imprescindibile punto di riferimento per arrivare ad un processo di centralizzazione, l’Italia ha mostrato caratteristiche del tutto opposte. Infatti, il concetto di patria ben presente in Francia e in Inghilterra, in Italia si era invece costruito attorno alla più importante presenza istituzionale che il mondo medievale abbia conosciuto ovvero il Comune; si badi bene, Comune e non città, poiché l’Italia ha per prima sviluppato un sistema di istituzione cittadina quasi del tutto sconosciuto al resto d’Europa.
Mentre dunque nei diversi paesi europei la guerra era voluta da sovrani e imperatori, in Italia la guerra dell’età comunale ebbe come riferimento l’affermazione di una città/Comune su un’altra e in queste situazioni i diversi elementi che componevano il senso di appartenenza alla comunità politica cittadina si arricchivano dello stretto intreccio tra ideali religiosi e ideali civili, cosa ancora una volta scarsamente comprensibile al di fuori della penisola.
Si pensi per esempio alle grandi difficoltà vissute dall’imperatore Federico I Barbarossa nello scontro con i comuni italiani, la quasi impossibilità di gestire un fenomeno istituzionale al quale anche l’impero non era assolutamente preparato. Si pensi al coalizzarsi dei comuni piemontesi e lombardi, padani in genere, in particolare contro Milano, che nel XII secolo stava acquisendo una potenza straordinaria; i Comuni avversi a questa situazione chiamarono espressamente l’imperatore che scese in Italia e distrusse sostanzialmente Milano con l’aiuto dei Comuni a lui vicini: ma quando la presenza imperiale divenne pressante al pari di ciò che era in precedenza quella milanese, i comuni padani si coalizzarono contro la figura imperiale sconfiggendola nella famosa battaglia di Legnano del 1176 e mantenendo in questo modo la propria autonomia.
La guerra medievale è difficilmente inquadrabile proprio per le profonde differenze di natura territoriale e sociale: se nei primi secoli del medioevo, quelli caratterizzati dalla permanenza delle popolazioni germaniche che scalzarono il secolare potere di Roma, la guerra era sostanzialmente guerra di conquista, ma scarsamente di distruzione, poiché le infrastrutture create da Roma si collocavano in una sfera di interesse per le popolazioni straniere che, non soltanto non le distrussero, ma cercarono di conservarle e di utilizzarle in mancanza di maestranze in grado di riproporle.
Diverso il caso della guerra che costituì una sorta di filo rosso lungo il quale si svolse la vita dell’impero carolingio; Carlo Magno, come già i suoi predecessori utilizzò la guerra come strumento di pacificazione, anche se i due termini sono in aperta contraddizione. L’impero di Carlo che arrivò a comprendere tutta l’Europa centro occidentale e buona parte dell’Italia, utilizzò lo strumento bellico per soggiogare le popolazioni e condurle sotto il comune ombrello di una cultura sempre più omogenea e di una religione che, per la prima volta, assumeva caratteri continentali.
Se abbiamo detto degli scontri tra i comuni italiani alla ricerca di un predominio gli uni sugli altri, dove sostanzialmente tutti i cittadini erano chiamati alle armi e che poco per volta videro la creazione di eserciti di professionisti, ben pagati, il progredire della tecnologia portò a cambiamenti importanti anche negli scontri bellici.
Quello che forse di più colpisce è che con il progredire del tempo le guerre ebbero sempre di più un profondo risvolto di natura sociale, intervenendo a modificare in maniera evidente i comportamenti degli uomini. Per tutti questi motivi credo che un parallelo con la guerra contemporanea non si possa fare, anzi come si possa sottolineare che l’impatto sociale della guerra contemporanea, quella che vediamo oggi in Palestina e in Ucraina, sia decisamente più importante e devastante.
E non si è qui accennato alle componenti religiose della guerra: si pensi alle crociate, ma si pensi anche e soprattutto al ruolo dei vescovi che, molto spesso si trovavano a svolgere il doppio ruolo di pastori del proprio gregge e di combattenti a tutti gli effetti. Non pochi vescovi morirono in battaglia e tra questi anche quello di Vicenza Pistore.