Io secondo me, anzi te. Riflessioni su guerra e pace. La cultura può essere in veicolo di pace?

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Riflessioni su guerra e pace
Riflessioni su guerra e pace. La cultura può essere un veicolo di pace?

(Articolo di riflessioni su guerra e pace da VicenzaPiù Viva n. 10sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr). La cultura può essere un veicolo di pace?

Che a scatenare le guerre (e deciderne gli esiti) siano politica ed economia, ben si sa. Che ci sia un bisogno disperato di una cultura di pace, anche. Quello che non è altrettanto noto e su cui poco si ragiona è invece quanto la cultura possa essere un veicolo di pace.
Eppure fin dai tempi più lontani e bui della storia, ce lo hanno insegnato a scuola, arte e letteratura erano le armi più temute dai regimi e praticarle era considerato cospirazione. Perché di fatto puoi mettere manette alle mani e bavaglio alla bocca, ma la mente (e il cuore) nonostante le censure trovano comunque il modo di esprimersi…
Qualcuno a me molto caro mi ha insegnato che intelligenza e cultura sono due cose ben distinte: se hai avuto la fortuna di farti una cultura ma non sei intelligente non saprai che fartene, se al contrario sei intelligente ma non ti è stato dato di studiare, una (vera) cultura te la saprai fare comunque, leggendo, ascoltando, osservando con curiosità, imparando dalla vita.
Allora mi chiedo, oggi che siamo apparentemente lontani da quelle immagini color seppia di artisti messi al bando, opere dai simbolismi quasi in codice e letterati raccolti in riunioni clandestine, che cosa lega cultura e pace? Tutto, molto semplicemente.
Farsi una cultura oltre i banchi di scuola e gli atenei, comunque sacrosanta e vera e propria linfa vitale per un cervello degno della sua funzione extra-anatomica, significa ampliare le proprie vedute, accorgersi che esiste non solo altro, ma anche l’altro rispetto a noi, conoscere punti di vista diversi, alimentare se non la condivisione almeno il rispetto, comprendere e quindi valutare col senno e non di istinto bruto. Retorica? Assolutamente no. Leggere a più non posso (non per forza trattati socio-politici o romanzi storici), regalarsi un concerto dal vivo (magari proprio del genere musicale che meno ci piace), ascoltare un dibattito (non per forza quelli smodati e inconcludenti che ci propina la televisione) e scoprire di aver qualcosa da dire, guardarsi un film di qualsiasi tipo, meglio ancora se in lingua originale con i sottotitoli (sapete che il mondo/ business del doppiaggio è praticamente esclusiva italiana e all’estero non usa?), seguire i telegiornali negli approfondimenti che seguono ai bollettini di disgrazie e scandali che ci riversano addosso ogni giorno, partecipare in vacanza agli incontri con l’autore anche e soprattutto se non conosciamo né il libro né chi lo ha scritto, ascoltare non solo con le orecchie non solo chi ci
parla, ma anche chi parla intorno a noi ecc. Questa è la ricetta, dagli ingredienti semplici e accessibili a tutti.

La cultura può essere un veicolo di pace?
La cultura può essere un veicolo di pace?

E poi andare a teatro, di qualsiasi genere, a partire proprio da quello “leggero”. Si perché non c’è solo il teatro che traduce in scena i grandi classici o quello indipendente o di protesta sociale: anche con la cara, vecchia commedia la pace è protagonista. Non solo perché regalarsi un paio d’ore di distrazione e astrazione può stemperare, senza troppi sensi di colpa, le tensioni che casa, famiglia e lavoro -ma anche la delicata congiuntura mondiale – ci provocano, ma perché questo genere brillante che vanta una lunga e veneranda tradizione soprattutto italiana – ultimamente dimenticata e “sfigurata” dall’appropriazione del termine commedia da parte del cinema in associazione ai cinepanettoni- è capace di smuovere gli animi e le menti, alla faccia della sua dichiarata leggerezza. Lavorando per 10 anni presso un teatro milanese che della rivalutazione della commedia ha fatto la sua ‘mission’, ho visto andare in scena vere e proprie lezioni di vita, che per un pubblico disarmato dalle risate avevano tutto tranne che il sapore respingente della ‘lectio magistralis’ dall’alto di una cattedra.
«Si vivono due ore di svago e spensieratezza, senza mai avere la sensazione di aver lasciato il cervello al guardaroba» disse un collega che aveva colto in pieno il segreto della faccenda. Anche chi era più reticente ad ‘ammorbarsi’ con pensieri seri e impegnativi a teatro, rasserenato all’idea di trascorrere una serata brillante, al calare del sipario se ne tornava a casa divertito ma comunque stimolato a non poche e non superficiali riflessioni. Senza pedanteria, con tanta ironia e autoironia, con toni scanzonati ma mai dissacranti sul palcoscenico sono stati affrontati temi importanti, dalla criminalità organizzata alla vita da clandestino, dall’impossibilità di procreare al tradimento, dalle famiglie allargate alla violenza domestica, dalla libertà di genere alla malasanità, dalla colpa al riscatto…
E ogni spettacolo, fingendo di spegnere i pensieri, ha invece brillantemente insinuato nuovi spunti di riflessione. A partire da quella basilare che intorno a noi non c’è un (singolo) mondo, ma tanti mondi diversi e, prima di sminuirli, condannarli e dichiarargli guerra, occorre conoscerli. Da qui a ‘diverso è bello’ il passo potrebbe essere breve. Cogito ergo sum… informato, consapevole e libero.