Cold case: il delitto perfetto di Enego

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Delitto di Enego
Delitto di Enego

(Articolo sul delitto di Enego da VicenzaPiù Viva n. 10sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Nell’autunno di quasi 20 anni fa, il paesaggio da cartolina del comune dell’Altopiano è stata la scenografia di uno dei delitti più efferati avvenuti nella nostra provincia.

La sera del 17 novembre 2005, in una decorosa casetta fuori Enego, è andato in scena il delitto perfetto: nessun indizio, nessun movente, nessun colpevole. Due vittime: Domenico Miola e sua moglie Angela Valle. Lei, 79 anni, era stata la maestra del paese. Lui, 83enne, ne era stato il sindaco. Tre domeniche prima avevano festeggiato i cinquant’anni di matrimonio circondati dai cinque figli e da una piccola folla di amici e nipotini. Stavano trascorrendo i loro ultimi anni di vita nella serenità che regala la vita semplice nei boschi dell’Altopiano.
A scoprire i due poveri corpi in un lago di sangue era stato il vicino di casa, Claudio Guzzo, con il cugino Giacomo, allertato alle 21 e 30 da una telefonata della figlia delle vittime, Sira, che non riusciva a contattare i genitori da circa tre ore. Un’altra sorella aveva parlato con la mamma alle 17 e 30, poi, dalle 18 e 20 il telefono stava squillando a vuoto. una circostanza molto insolita. E preoccupante.
«Siamo entrati insieme – aveva raccontato Giacomo alla stampa – ma, mentre Claudio è salito al piano di sopra, io sono sceso attraverso la scala esterna che conduce alla lavanderia e a un terrazzino. È lì che li ho visti, riversi a terra in una pozza di sangue».
Le teste erano state martoriate di colpi (almeno una ventina, quelli rilevati dall’autopsia) inferti con un tubo di metallo, di quelli che si usano per delimitare i cantieri; venne ritrovato alcuni giorni dopo, gettato tra i cespugli che circondavano la casa. A quasi 20 anni dal duplice omicidio, l’arma del delitto, che non presentava alcuna impronta utile, è l’unica certezza; il resto della storia sono dubbi, sospetti, piste investigative durate il tempo di una stagione, che non aiutò gli investigatori: la neve impiegò poche ore a distruggere le impronte dell’assassino (ma non si può escludere che fossero due), probabilmente fuggito attraverso il bosco. Un dettaglio importante: significa che conosceva i sentieri e, molto probabilmente, anche le sue vittime.

Delitto di Enego
Delitto di Enego

Sin dalle prime ore, la pista di una rapina finita tragicamente fu quella ipotizzata dagli investigatori: uccisa la povera maestra in pensione, l’omicida potrebbe aver atteso l’83enne per colpirlo e poi entrare in casa per rubare poche decine di euro dal portafogli dell’uomo. Un’altra ricostruzione, dice che Domenico probabilmente conosceva l’assassino; potrebbe aver avuto una discussione con lui, forse l’omicida gli ha chiesto soldi e l’anziano si sarebbe rifiutato in modo brusco, i toni si sarebbero accesi al punto che Angela, dal piano di sopra, sarebbe scesa a vedere quel che stava accadendo, senza nemmeno togliersi gli occhiali che usava solo per leggere.
Ma quando si sarebbe affacciata alla porta che dà sul patio non avrebbe fatto nemmeno in tempo a vedere il corpo di suo marito, ormai senza vita, dopo esser stato colpito da una sbarra di ferro alla nuca. Anche la ex maestra sarebbe caduta senza un gemito, stroncata da una serie di colpi violenti alla testa. L’assassino sarebbe poi salito in casa, in fretta e furia, avrebbe cercato quello che voleva, un po’ di soldi, sicuramente ha svuotato il portafogli di Domenico, buttandolo poi sul tavolo, e se ne è andato dall’ingresso principale lasciando tutto aperto: sia la porta, sia gli interruttori delle luci.
Ma chi potrebbe aver massacrato due anziani per le poche decine di euro che tenevano in casa? Forse l’assassino cercava altro? Domande a cui le indagini non hanno fornito alcuna risposta. Già 10 anni fa uno dei figli, Flavio Miola, aveva dichiarato: «Non credo si possa ancora risolvere il caso e arrivare al responsabile. Noi non ci siamo mai accaniti per arrivare a delle risposte ma, certo, siamo delusi dal fatto di non averle ottenute».
Un crimine così efferato per il paese è stato uno choc, tuttora non superato, che coinvolse anche i cronisti nazionali. I carabinieri del nucleo investigativo di Vicenza misero in atto una caccia all’uomo senza precedenti. Le provarono tutte per dare un volto e un nome al responsabile, arrivando a raccogliere il Dna e le impronte digitali di tutti i residenti maschi: in Italia non era mai stato tentato nulla del genere. Ma neppure la mappatura genetica della gente di montagna potè arrivare alla verità.
E poi ci sono state le false piste: il primo sospettato fu un ragazzo con problemi psichici che, vista la sua passione per le lunghe camminate, venne soprannominato “il Forrest Gump dell’Altopiano”.
Il giorno successivo al delitto, un poliziotto se lo ritrovò davanti con gli abiti imbrattati di sangue. Venne interrogato per ore, diede delle risposte un po’ sconclusionate ma alla fine si scoprì che aveva un alibi di ferro e quelle ferite se le era procurate radendosi.
Poi fu la volta di Alberto Dalla Costa, un muratore quarantenne che abitava a cento metri dalla villetta dei Miola. Per diciotto mesi i carabinieri gli stettero con il fiato sul collo, nella convinzione che l’assassino fosse lui. Si sbagliavano. «Ho pagato quei sospetti con due infarti – ha raccontato qualche tempo fa Dalla Costa alla stampa – è stato un periodo durissimo, ne pagherò le conseguenze per sempre. È una cosa che non auguro davvero a nessuno. Sto cercando un libro, di quelli con tutte le cartine del mondo: mi piace vedere posti lontani». Infine, nel mirino finì un imbianchino della zona che aveva svolto dei lavori nell’abitazione del massacro. La sua impronta fu trovata sul cassetto di un mobile.
Ma anche questo sospetto si rivelò errato. C’è stata anche una ‘pista rumena’: i carabinieri avevano invitato due uomini, in quei giorni a Enego, a presentarsi in caserma, ma non si fecero più trovare.
C’è ancora la possibilità di consegnare alla giustizia questa belva feroce senza volto? Anche se l’inchiesta è stata archiviata, qualcuno che sa e ha taciuto fino ad oggi potrebbe decidere di togliersi questo macigno dalla coscienza. O potrebbe farlo il colpevole. O potrebbe essere la scienza, grazie ai continui progressi, a risolvere il caso. O, come già accaduto, la fortuna potrebbe guardare dalla parte della giustizia.