Un altro operaio è morto mentre lavorava. E’ successo a Mussolente (Vicenza). Si trova qualche notizia qua e là. Qualche dichiarazione di solidarietà, tristezza. Si dichiara che bisogna pur fare qualcosa. Che manca la cultura della sicurezza. Poi tutto viene archiviato nel “faldone” delle “tragiche fatalità”, in quel buco nero nel quale vengono nascoste le reali cause del perché tutto questo succede.
Di come sia possibile che da inizio anno 140 persone (sì, signori miei, persone e non ingranaggi) siano morte nei luoghi di lavoro. E si tace o non si vuole sapere di chi sia la responsabilità di questi veri e propri omicidi.
Sembra che chi occupa le poltrone del governo e gli scranni parlamentari abbia altro a cui pensare. A come salvarsi da un probabile processo, per esempio. O a come impedire l’approdo nel nostro paese a qualche decina di migranti.
I diritti tolti e negati a chi lavora, i ritmi di lavoro massacranti, la fatica e l’alienazione, l’essere precario a vita sono ormai condizioni normali imposte a tutti. La latitanza di chi dovrebbe lottare per ripristinare la civiltà del lavoro è preoccupante e inammissibile. Ma ormai questo è.
Si pensa ad altro. E così, in nome della competitività e del profitto, diventa normale e accettabile ammalarsi e morire.