Silvio Berlusconi ha avuto amicizie discutibili all’estero. In Montenegro aveva Milo Djukanovic. Il padre-padrone del piccolo Paese balcanico sta rischiando la poltrona come mai gli era accaduto in 13 anni al potere. La vicenda che rischia di affondarlo potrebbe riscrivere anche un pezzo della recente storia italiana. Da oltre un mese nella capitale Podgorica migliaia di manifestanti scendono in piazza contro “Ladro Milo”. A innescare la protesta è stato un imprenditore, Dusko Knezevic, un tempo in cordiali rapporti con il presidente. Poi a dicembre 2018 la Banca centrale del Paese e la Procura generale hanno messo sotto inchiesta il suo gruppo finanziario, Atlas, con l’accusa di riciclaggio e hanno congelato i suoi asset. Knezevic ha iniziato a far pubblicare sul quotidiano Vijesti e sul Centro di giornalismo investigativo del Montenegro documenti che raccontano il modo in cui la famiglia Djukanovic dieci anni fa si sia intascata soldi pubblici, anche grazie alla compiacenza di vecchi amici. Come Berlusconi.
A2a in Montenegro, un affare controverso
L’anno chiave delle relazioni Italia-Montenegro è il 2009, il primo del governo Berlusconi IV. Gli incontri tra l’allora premier e Djukanovic sono stati frequenti. Berlusconi a Podgorica, dove era considerato di casa, aveva promesso che l’Italia sarebbe diventata il primo partner energetico del Paese e a marzo aveva spedito nella capitale una delegazione di 60 imprenditori, al seguito di Michela Vittoria Brambilla, ministra del Turismo; Adolfo Urso, sottosegretario al Commercio e Valentino Valentini, fedele consigliere diplomatico. Il tour diede i suoi frutti: a fine aprile A2a, la multiutility controllata dai Comuni di Brescia e Milano, si è aggiudicata il 15% delle azioni di Epcg, la compagnia elettrica nazionale montenegrina. A settembre la quota è diventata del 43,7%, con una gara contestata dagli altri competitor. In Italia, l’affare fin dall’inizio ha destato sospetti: l’investimento di 436 milioni ha avuto come effetto immediato quello di ridare ossigeno alla Prva Banka, istituto in crisi di liquidità da cui il Montenegro ha fatto passare parte dell’investimento. Proprietario è il fratello di Milo Djukanovic, Aco, azionista di minoranza della miniera di carbone che alimenta uno degli impianti di Epcg. Di vantaggi per A2a non se ne vedevano. “Sapevamo che la fase di aggiudicazione aveva avuto delle ombre”, spiega Pippo Ranci, presidente del Consiglio di sorveglianza tra il 2012 e il 2014. A queste “ombre” non è mai stata data una vera spiegazione. I sospetti di corruzione sono stati alimentati dalla stampa in Italia e in Montenegro. “Quando sono arrivato – prosegue – il Montenegro era una delle questioni da risolvere”. L’investimento infatti continuava a pesare sul bilancio di A2a. L’azienda incassava pochissimi dividendi. Tanto che il nuovo management ha deciso di lasciare il Paese. La “put option” è stata strappata dopo una lungo negoziato ad aprile 2018. Prevede che entro luglio 2019 Epcg e il governo montenegrino si ricomprino le quote di A2a per 230 milioni. La società spiega che a oggi sono rientrati 120 milioni e si attende che Podgorica rispetti gli impegni. A bilancio ha ancora parcheggiato in Montenegro 109 milioni di euro di azioni, il 18,65% di Epcg.
Gli uomini di Djukanovic dietro alla trattativa
L’esperienza montenegrina di A2a volge al termine. I dubbi sull’inizio, però, restano. Chi ha guadagnato da quell’accordo? I sospetti portano alla famiglia Djukanovic e al suo alleato italiano, Berlusconi, che nega tutto. Qualche conferma in questo senso la fornisce Dusko Knezevic. L’imprenditore in guerra con Djukanovic era uno dei quattro proprietari dei fondi a cui il governo del Montenegro aveva svenduto il 15% di Epcg. Quote poi vendute ad A2a per entrare in Montenegro. Secondo Knezevic, la manovra è stata architettata con un complesso sistema di scatole cinesi per fare in modo che a guadagnarci fosse anche la famiglia Djukanovic. Questo schema sarebbe stato deciso da Berlusconi e Djukanovic, stando a quanto ha riferito l’imprenditore montenegrino. Knezevic l’avrebbe appreso da uno dei ministri più fedeli al presidente. “Non so i dettagli dell’accordo, so solo che Berlusconi e Djukanovic l’avevano costruito e che Duska Jeknic e una ragazza del Montenegro, vicina a Berlusconi, avevano partecipato alla trattativa”, spiega via mail a Irpi. Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi, definisce “fantasiosa e priva di logica” la ricostruzione di un vertice del genere ed esclude che l’ex premier abbia favorito in alcun modo Djukanovic. Duska Jeknic è considerata una sorta di prestanome del presidente Djukanovic. Vedova dell’ex ministro degli Esteri, è stata indagata dalle procure di Bari e Napoli per associazione mafiosa e contrabbando, insieme allo stesso presidente. Era il 2003. A maggio 2009, mentre A2a entrava in Montenegro, Djukanovic in Italia ha ottenuto “l’immunità diplomatica”. L’archiviazione ha messo fine alle indagini sulla “Montenegro connection”, la mai dimostrata alleanza dei montenegrini con pezzi di Sacra Corona Unita e camorra. Secondo Knezevic, nell’operazione insieme a Duska Jeknic era coinvolto il cugino Damir Dado Asovic. La “ragazza del Montenegro”, invece, sarebbe Katarina Knezevic, ex Miss Montenegro, che diventerà poi la fidanzata dell’ex Cavaliere. Il primo incontro con Berlusconi, stando a quanto disse a Repubblica, sarebbe avvenuto a Podgorica proprio nel marzo di quel 2009.
Lo strano giro delle quote di Epcg ad A2a
Le azioni di Epcg non sono state vendute direttamente ad A2a, rivela Knezevic. Il sistema architettato da Djukanovic prevedeva che in mezzo ci fosse l’intermediazione di una società di broker con sede a Londra, la River Financial Trading Ltd. Questa società ha incassato a fine aprile 2009 6,8 milioni di euro per aver trovato un acquirente delle azioni di Epcg. Quello che non si può sapere, però, sono i beneficiari ultimi della misteriosa società inglese: la controllano delle offshore. Dusko Knezevic non sa se gli uomini dietro le società offshore fossero di Djukanovic, ma afferma che il sistema sia stato messo in piede da Duska Jeknic, che usava il cugino Damir Asovic “per raccogliere le provvigioni di River Financial”. Questa prima cessione, sostiene, avrebbe poi di fatto reso inutile il successivo bando fatto dal governo del Montenegro per vendere altre quote di Epcg. Già era stabilito che A2a avrebbe preso tutto. “La compravendita delle azioni Epcg tra privati era pienamente libera e perfettamente legale”, replica oggi A2a, respingendo le accuse.
La truppa di italiani in Montenegro
Dopo l’operazione di A2a, c’è stato un grande fermento di imprenditori e banchieri italiani in Montenegro. Tutti in qualche modo legati alla vicenda Epcg. A marzo 2010, River Financial è stata acquistata da uno studio di commercialisti svizzero, Luga Audit & Consulting Sa, gestito dall’italiano Oscar Ronzoni. Un mese prima dell’acquisto di Ronzoni, River Financial aveva aperto in Montenegro Bridgemont doo (oggi in liquidazione), società con sede dentro Hipotekarna Banka, istituto con azioni del fondo Atlas di Dusko Knezevic. L’azionariato della banca è italiano: la maggioranza è di Banca Generali, la minoranza delle famiglie Gorgoni e Montinari. Lorenzo Gorgoni è il nome più noto: partito dalla Banca del Salento, poi diventata Banca 121, è stato coinvolto nella vendita dell’istituto al Monte dei Paschi (di cui ne ha appesantito i bilanci). Gorgoni è legato da una lontana parentela a Raffaele Fitto, che nel 2009 era ministro per le Regioni nel governo Berlusconi. Nel cda c’è Alessandro Picchi, all’epoca socio di Morri & Associati, studio che ha negoziato l’ingresso in Montenegro di A2a. Ma il vero artefice dell’impresa è stato il presidente Pietro Giovannini – docente alla Sapienza, morto nel 2010 – col suo studio Giovannini&Partners.
Quando Verdini pensava al Montenegro
Giovannini durante la sua carriera ha lavorato in aziende vicine a Denis Verdini, negli anni in cui era stretto collaboratore di Berlusconi. Quando ha aperto Bridgemont era consigliere indipendente in alcune società del gruppo Bartolomei-Fusi. Riccardo Fusi è l’imprenditore che all’epoca era a capo della Btp, condannato a due anni per concorso in corruzione aggravata nel 2016. Il suo sponsor politico era Verdini, anch’egli condannato nell’ambito dello stesso procedimento. I due sono stati intercettati nell’inchiesta Grandi appalti mentre parlavano del Montenegro. “Domani Valentini va a Podgorica con un gruppo di imprenditori, vuoi andare anche tu?”, diceva Verdini al costruttore. Verdini consigliava di andare perché in Montenegro si potevano fare un sacco di soldi. Fusi alla fine non andrà, per impegni presi in precedenza. Oggi nessuno sembra guardare al Paese balcanico con interesse.
di Lorenzo Bagnoli (Irpi – Investigative reporting project Italy) da Il Fatto Quotidiano