Aleppo, simbolo della guerra civile siriana, diventa il nuovo epicentro di una crisi geopolitica: la seconda città della Siria città cade nelle mani dei ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un “agglomerato” di 30 gruppi sostenuto dalla Turchia e da tempo avvicinatosi all’occidente, mettendo in crisi il regime di Bashar al-Assad, in soccorso del quale non possono correre ora né Hamas né tanto meno Hezbollah, e le strategie regionali di Russia e Iran.
Un’insolita convergenza di interessi tra Turchia e Israele spinge l’offensiva ribelle: Ankara sostiene i gruppi islamisti al nord in funzione anti curda, la missione principale di Erdogan anche in funzione del mantenimento del potere, mentre Tel Aviv colpisce gli alleati sciiti del regime al sud, interrompendo i rifornimenti iraniani e destabilizzando l’influenza nella regione della Russia, che, infatti, interviene bombardando i “ribelli” e distogliendo risorse dai fronti ucraini.
Con il Mediterraneo sempre più sotto il controllo di NATO e alleati, di cui fa parte la Turchia, sia pure spesso con atteggiamenti ondivaghi e dettati da una visone sostanzialmente nazionalista, Mosca e Teheran vedono affievolirsi i loro sogni di supremazia nella regione mediorientale. Intanto, l’Europa si prepara a una nuova emergenza migratoria, con migliaia di siriani in fuga dalla guerra, che, in questo caso, però, terrorizzano in primis il confinante e semi distrutto Libano.
Parliamo di Aleppo, che non è più solo un simbolo ma la scacchiera su cui si ridisegna il futuro del Medio Oriente, e della Siria tra vecchie rivalità e nuove alleanze, con Giuseppe Arnò, già avvocato, quindi direttore della italo-brasiliana GazzettaOnline e presidente dell’Associazione Stampa Italiana in Brasile (ASIB), di cui ci onoriamo di far parte.
Lui ci può, infatti, aiutare a inquadrare la situazione dal suo Paese “adottivo”, fondatore all’alba del 2000 dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e, dal 2010, Sud Africa), alleanza economico-politica che, estesa dal 2024 a Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Iran, raccoglie ormai più di un terzo della popolazione mondiale (e delle relative risorse) e si candida fortemente, fin dalla sua nascita, a dominare collettivamente l’economia globale entro il 2050. Il Brasile è lontano? Proprio no in questo mondo in cui i sussulti si trasferiscono da una parte all’altra con la velocità con cui si sviluppa le tecnologia.
Arnò, negli ultimi giorni, la Siria ha visto una “vibrante” (per non dire devastante) evoluzione della sua ormai decennale guerra civile, con milizie islamiste che avanzano, un esercito che si ritira in “maniera strategica” e un presidente che, se non fosse per l’occasionale comunicato telefonico, potrebbe benissimo essere un personaggio immaginario….
Il grande colpo di scena – ci dice Arnò che lo riporta su LaGazzattaonline – è stata la caduta dell’aeroporto di Aleppo, ormai nelle mani dei ribelli. Un aeroporto civile, si badi bene, perché anche in guerra ci piace mantenere un’apparenza di normalità. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani lo ha confermato, come se avessimo bisogno di un ulteriore timbro su un biglietto per l’inferno. Certo, il governo siriano definisce tutto ciò “temporaneo”. Ma come direbbe un ottimista patologico: “Il Titanic non è affondato, si è temporaneamente immerso”.
E Assad, re di fede alauita (un gruppo religioso musulmano sciita e di ispirazione neoplatonica relativamente diffuso tra Libano e Siria costiera con buoni rapporti con i cristiani) dov’è?
Il nostro amico Bashar al-Assad, invece, giura e spergiura che tutto va benissimo. Dalla sua fortezza di ovunque, non si sa, si trovi in questo momento, dichiara con tono rassicurante che la Siria sconfiggerà i terroristi. Forse, ci tiene a ricordarci, con l’aiuto dei suoi “amici”. Leggi Russia e Iran, che per ora sembrano più impegnati a cercare di capire chi comanda davvero nel teatro di questa guerra infinita.
… E sono, la prima, impegnata sui fronti ucraini e interni, oltre che spinta da Putin, in Georgia, Moldavia e altrove, a sognare la “rinascita” dell’impero fu sovietico, e l’Iran, occupato dall’urlare contro Israele, salvo, poi, abbassare la voce e le armi per non subire conseguenze destabilizzanti per il regime di Khomeini. Ma avvicinandoci a casa nostra, di permanenza o di legame affettivo, l’Italia che ruolo può avere, tanto più che i media accennano anche a passate “vicinanze” ai nostri servizi dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham?
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, si è affrettato a tranquillizzare tutti: “Gli italiani in Siria non corrono pericoli”. Sì, perché i ribelli, con la loro impeccabile professionalità, hanno promesso di non toccare cristiani, italiani o civili. Certo, nulla dice sulla “affidabilità” di una promessa fatta da una fazione armata che ha appena preso d’assalto un aeroporto.
Il processo di Astana: il club della diplomazia inutile?
Russia, Iran e Turchia ci ricordano ancora una volta proprio del famoso processo di Astana. Un esercizio diplomatico che, a giudicare dai risultati sul campo, potrebbe tranquillamente essere un torneo di briscola. Tra dichiarazioni sulla sovranità della Siria e condanne agli attacchi ai consolati, è chiaro che il vero obiettivo è mantenere l’apparenza di fare qualcosa, qualunque cosa.
E il “cessate il fuoco” in Libano?
E sì. Mentre tutto questo succede in Siria, il Libano è improvvisamente diventato un’oasi di pace grazie a un cessate (?) il fuoco. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché le guerre non rispettano mai i confini nazionali? Perché sarebbe troppo semplice, no?
In conclusione, la Siria rimane il solito disastro multistrato: un cocktail letale di geopolitica, fanatismo e tragica incompetenza. E mentre i giocatori regionali continuano a ridisegnare le mappe, forse dovremmo prepararci all’ennesima ridefinizione della “normalità” in questa parte del mondo.
Quale? Ai posteri l’ardua sentenza. Di primo grado solo, però…