Almirante e Berlinguer sullo stesso piano per Rucco: un’equiparazione repellente

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Almirante come Berlinguer?
Almirante come Berlinguer?

C’è qualcosa di sconcertante in quello che sta succedendo nel nostro paese, un rigurgito di fascismo (si sarebbe detto qualche decennio fa) che deve preoccupare. Lo si vede anche in “piccole” cose, in episodi che passano sotto silenzio o vengono definiti “folklore”. Non è così.

Si passa dall’urlare “ebreo” o “negro” o “zingaro”per insultare qualcuno, a fare saluti romani qui e là, all’utilizzare le immagini di Anna Frank contro tifoserie avverse, a commemorare la nascita del fascismo, al dichiarare (come ha fatto Tajani) che Mussolini ha fatto anche del bene … e si arriva a intitolare qualche via di qualche città ad Almirante. O, almeno, si tenta di farlo.

Tutto normale, si pensa, perché, ci dicono gli stessi abituati a celebrare il ventennio fascista, è passato molto, troppo tempo ed è ora di dimenticare, di riappacificarsi. In definitiva, sostengono, ognuno è libero di professare le proprie idee. Certamente, grazie alla Resistenza e alla Costituzione che da essa è nata, ognuno è libero di dire come la pensa. Ma è questo un punto da chiarire. La nostra Costituzione impedisce in qualsiasi forma la ricostituzione del partito fascista e lo fa perché il fascismo non è un’idea qualunque ma è un crimine.

Si aggiunge poi, da più parti, che è ora della riappacificazione. E, questo, è un altro punto da chiarire. Finita la guerra, di fronte ai disastri materiali e culturali prodotti dal fascismo, di fronte ai suoi crimini, non è stata fatta totale giustizia. Non sono stati giustamente e doverosamente condannati almeno gli esponenti di quel regime. Si fosse fatta giustizia, probabilmente personaggi come Giorgio Almirante sarebbero stati condannati a pene giuste e severe.

Perché? Ma perché Almirante è stato uno dei convinti fautori del manifesto della razza, segretario di redazione della rivista “La difesa della razza”(1), perché ha firmato i bandi che mandavano a morte i resistenti antifascisti, perché fu parte integrante del regime fascista. E perché non si è mai pentito di tutto questo.

Ecco, è per tutto questo che risulta inconcepibile come a Vicenza, medaglia d’oro per la Resistenza, si chieda di intitolare una via al fascista Almirante ma, soprattutto, perché il sindaco di Vicenza Francesco Rucco ritenga possibile la realizzazione di questa proposta. Lo fa pronunciando il nome di Almirante assieme a quello di Enrico Berlinguer. Dicendo che sarebbe giusto intitolare strade ad entrambi. È, questa affermazione, un’equiparazione che risulta repellente.

Sarebbe da chiedere a Rucco se veramente conosce la storia personale e politica di Almirante e di Berlinguer? E come fa, allora, a equiparare le due persone, anche solo i due nomi (pur se il primo andò al funerale del secondo, ndr)? E, così, si ricade nelle considerazioni fatte in precedenza. Sta passando “l’ideale dell’imboscato”. Di colui che non prende posizione o prende tutte le posizioni, giustificando a destra e a manca. Né di qua né di là, si sente spesso affermare. Né di destra, né di sinistra. Né contro Almirante né contro Berlinguer, anzi, con entrambi.

Tali affermazioni sono proprie di chi, come veniva definito da Gramsci, è indifferente. Qualcuno che è giusto disprezzare (Gramsci usava un verbo più forte, “odiare”) perché è “il peso morto della storia”, perché credono di essere sempre “eterni innocenti”, perché bisogna chiedergli conto di “ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto”.

Ecco, non prendere posizione, ritenere (nel caso di Rucco) che sia giusto intitolare strade ad Almirante e anche a Berlinguer, a un fascista dichiarato e mai pentito ma anche a chi ha contribuito e lottato per la democrazia e la Costituzione, perché pari sono non significa essere “buoni”. Significa essere indifferenti, stare da tutte le parti possibili, non prendere posizione …, essere, di fatto, “il peso morto della storia”.

(1)«Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue»  (Giorgio Almirante 5 maggio 1942)

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.