Giacomo Matteotti nel 100° anniversario del suo assassinio, Emilio Franzina: ricordato a Padova, un po’ meno a Vicenza

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Emilio Franzina
Emilio Franzina

(Articolo su anniversario di Giacomo Matteotti dello storico Emilio Franzina da VicenzaPiù Viva n. 12sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Il paradosso delle celebrazioni del socialista polesano mentre sono al potere gli eredi di coloro che di quella uccisione furono autori e primi responsabili a cominciare da Benito Mussolini.

Per uno scherzo paradossale del destino le commemorazioni di Giacomo Matteotti a cent’anni dalla sua morte violenta si sono svolte e si stanno concludendo durante una fase della lotta politica che ha visto il ritorno al potere, in Italia, degli eredi di coloro che di quella uccisione furono autori e primi responsabili a cominciare da Benito Mussolini.
Al di là di ciò che ne abbiano scritto “in parallelo” non pochi storici, come ad esempio Mimmo Franzinelli, ricordare la figura e l’opera del deputato polesano implica dunque una inevitabile riflessione sui principali tratti distintivi che caratterizzano, da un lato, i regimi democratici e, da un altro, i regimi autoritari. Compresi quelli che oggi vengono definiti democrature come se fosse lecito rassegnarsi a considerare plausibili forme di gestione della cosa pubblica che pur “generate”, per così dire, da “libere elezioni” calpestano sistematicamente i principi di fondo della democrazia scambiando di proposito le funzioni di governo, sottratte al rispetto delle leggi costituzionali, con un presunto “diritto a comandare”.
Se mai la storia possa servire a qualcosa, del che, secondo Adriano Prosperi, sarebbe lecito dubitare, non sarà del tutto inutile soffermarsi, allora, sulle analogie che certi periodi del passato sottopongono attualmente alla nostra attenzione come senz’altro insegna il caso di quel breve volgere d’anni che portò, fra il 1919 e il 1924, alla instaurazione nel nostro paese, e sottolineo paese, di una dittatura foriera, alla lunga, di tremende sciagure. Giacomo Matteotti, socialista e per nulla sospettabile di estremismo ideologico o, se si preferisce, di cedevolezza all’ideologia comunista del tipo ai suoi tempi nascente, fu il tragico campione di una esperienza concreta di contrasto al fascismo e agì di conseguenza, in Parlamento e nella propria regione, il Veneto, opponendosi alle sue soperchierie
e finendo per pagare con la vita un simile sforzo.

Giacomo Matteotti anniversario
Giacomo Matteotti anniversario

Dell’impegno da lui profuso prolungando quello già espresso con il ripudio del militarismo e della guerra, che gli era costato – come al suo primo capogruppo socialista alla Camera nel 1919, il vicentino Domenico Piccoli – una coscrizione triennale “di confino” in Sicilia, si sono occupati, nei mesi scorsi, parecchi studiosi e naturalmente, fra loro, quanti non avevano certo atteso l’anniversario secolare della sua tragica scomparsa per scriverne e per parlarne in libri fondamentali.
Inevitabilmente alcuni dei più illustri e stimati specialisti, spesso di fede a propria volta socialista come Caretti o Degl’Innocenti, si sono adoperati per mettere a fuoco l’ “anomalia” delle iniziative concrete prese contro la violenza e l’illegalità fascista dal deputato polesano anche in un paio di pubbliche conferenze tenutesi a Vicenza, dove da ultimo hanno provveduto storici d’altra generazione, come Ricciardi e Camurri, a enfatizzare invece i nessi fra Partito Socialista e Partito d’Azione nel solco così di Matteotti come, soprattutto, di Toni Giuriolo, ossia di un protagonista indiscusso della Resistenza veneta e italiana al cui nome nella città berica s’intitola non a caso, da qualche tempo, un benemerito circolo culturale.
Esso, a dir la verità, potrebbe anche vantare, oltre agli echi meneghelliani più scontati, alcuni precedenti remoti e alquanto significativi essendo sorto a enorme distanza di tempo dopo quello omonimo e forse sconosciuto ai più fondato nel 1961 presso la Casa di Cultura della Società Generale di Mutuo Soccorso (con sede in corso Andrea Palladio, 176, ndr) per trattare di “Antifascismo ieri e oggi” da Licisco Magagnato.
Presieduto sino al 1963 da Lorenzo Renzi e poi da Silvio Lanaro esso coinvolse nella propria attività studenti universitari e altri giovani di allora fra cui Orio Caldiron, Emilio Renzi, Galdino Sartori, Dolores Zaccaria, Franco Barilà, Mario Isnenghi e Fernando Bandini.
Sicché, scorgendo a Padova, fra il pubblico venuto ad assistere giovedì 31 ottobre scorso ai lavori di un convegno dedicato a Matteotti e i socialisti veneti dalla Guerra di Libia al Fascismo (1911-1924), prima Mario Isnenghi e poi Lorenzo Renzi non mi sono stupito, ma casomai commosso. Data, infatti, per scontata la presenza a questo genere d’incontri di persone d’una certa età – e quasi mai, comunque, al di sotto dei cinquant’anni – la circostanza poteva essermi di conforto dando prova d’una continuità ideale che dura evidentemente ostinata dalle parti nostre ovvero in una regione a torto ritenuta soltanto,
quantunque a lungo, prima conservatrice e clericale e quindi, con poche sfumature o eccezioni, reazionaria e leghista.
Il convegno in questione, promosso dal Centro Studi Ettore Luccini associato all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, si stava svolgendo nell’arco di una giornata a Palazzo Moroni e cioè nella sede del Comune di Padova impegnando dodici storiche e storici di tutta la regione in un percorso che fra mattina e pomeriggio si sarebbe snodato attraverso l’analisi dei casi provinciali di Feltre e Belluno (A. Lotto) , di Padova e Treviso (D. Verdicchio e L. Vanzetto), di Venezia e Verona (G. Sbordone e F. Melotto), di Rovigo e Vicenza (L. Contegiacomo e E. Franzina).
A me toccava, nell’occasione, anche il compito di aprire e di chiudere i lavori intervistando nel “prologo” Valentino Zaghi, noto esperto di cose matteottiane (ultima sua impresa pubblicistica la curatela di un numero monografico di “Venetica” sul caso Matteotti nella stampa italiana e straniera), e coordinando in conclusione una tavola rotonda fra Matteo Millan, Gianpaolo Romanato e Oscar Gaspari. A trattare, invece, il versante di genere sarebbero state al mattino Maria Teresa Sega (con una relazione su Pace, lavoro, diritti. Le socialiste venete) e nel pomeriggio Liliana Contin (con il profilo di una scrittrice socialista vicentina o meglio marosticense come Arpalice Cuman Pertile).
Viste e visti in azione nei loro “territori” di appartenenza e di prolungato impegno politico e sociale, le militanti e i militanti del PSI del tempo di Matteotti, sovente in diretta relazione personale con lui tra il 1919 e il 1924, sono apparsi sotto una luce nuova che ha contribuito a metterne in risalto le parabole non sempre o non del tutto scontate specie in rapporto all’ascesa e alla “affermazione” del fascismo.
Una affermazione che avvenne sì per effetto della violenza e delle intimidazioni, ma talora anche in virtù dei cedimenti e dei compromessi a cui una parte dei suoi oppositori dovettero piegarsi scomparendo quasi nel nulla (e nel “silenzio” come ha spiegato Sbordone per molti operai veneziani) o addirittura passando tra le file (secondarie) del nuovo regime, come accadde, stando alla ricostruzione di Dario Verdicchio, ad
alcuni leader sindacali del Padovano quali Furian e Panebianco.
E ciò mentre a livello nazionale lo stesso PSU di Matteotti e Turati, radicato a Vicenza, Verona e Trento, pagò il prezzo delle contraddizioni di molti suoi aderenti di punta ancora alla testa dei sindacati di classe (la CGIL blandita da Mussolini dei vari Rigola, Caldara e D’Aragona).

Anniversario Matteotti
Anniversario Matteotti

Non dissimile, sebbene più sfumata, fu del resto la “transizione” coatta verso la “non belligeranza” pubblica, sino al 1943, di vari esponenti di spicco del socialismo vicentino e bellunese sul tipo, ai piedi dei Berici da lui tanto amati, di Adolfo Giuriato, il (troppo) mite poeta recordman di preferenze socialiste nelle elezioni comunali del 1920 e del manovriero sindaco di Belluno Vincenzo Lante o anche di tanti compagni di altre province
spesso, però, sostanzialmente a causa d’una loro diversa origine ed estrazione sociale ben tratteggiata per il Trevigiano da Livio Vanzetto.
Naturalmente ci fu anche modo e modo di prestare, per dir così, una “resistenza passiva” al fascismo, trionfante dopo il 1924 non solo grazie alla repressione militare e poliziesca del dissenso ovvero mercé l’umiliazione dell’olio di ricino o la paura del carcere e del confino.
Il che spiega come una minoranza di socialisti e di antifascisti riparati nel privato riuscisse in un modo o nell’altro (ora, cioè, con l’esempio ed ora attraverso l’educazione familiare) a somministrare lo stesso principi fondamentali di riflessione antifascista ai propri congiunti.
Come senz’altro capitò ad Arzignano dove Pietro Giuriolo, il padre di Toni, debitamente “oliato” a suo tempo dagli squadristi locali, concorse certo alle scelte radicali del figlio e, in diversa maniera, a Vicenza all’ex sindaco del 1920 Luigi Faccio, stimatissimo dai propri  concittadini, o allo scultore Ugo Pozza, le cui traversie, prima e dopo il 1937, facilitarono al figlio Neri, il futuro editore che ne parlò in tanti suoi libri di memorie, le scelte che ne  determinarono a tempo debito la partecipazione alla Resistenza.
A parte il fatto, tenuto in poco conto da troppi storici, che una serpeggiante e sotterranea ostilità al regime continuasse a sussistere nelle “congreghe” private degli ex socialisti urbani, descritte per Vicenza fascista proprio da Neri Pozza, ovvero in mezzo agli strati più poveri della popolazione di città operaie come Schio e di molte periferie rurali sia nella seconda metà degli anni ‘20 che in quelli del maggiore successo arriso a Mussolini fino alla guerra d’Etiopia, ciò non di rado accadde proprio nel nome e nel ricordo di Matteotti.
Lo sanno bene i lettori del Prete bello di Parise e molti cultori del canto popolare, a cui il rodigino Enzo Bellettato ha offerto una vasta mole di esempi nel suo libro del 2020, da poco ristampato, su Matteotti nella memoria cantata tra storia e cantastorie.
A voler essere pignoli e andando in cerca di spunti anche cronologicamente successivi, già messi in evidenza peraltro da vecchi libri come quello, a cui non fui estraneo nemmeno io, curato nel 1993 da Mario Quaranta (Giacomo Matteotti: la vita per la democrazia), ci sarebbero tuttora da meditare episodi postbellici come la requisizione, ordinata dalla Questura di Rovigo, di tutte le immagini di Matteotti presenti nelle sedi camerali (CGIL) della provincia, dove socialisti (e comunisti) stavano capeggiando fra l’aprile e il maggio del 1957 uno sciopero di grandissime proporzioni.
Ma, senza spingersi tanto in là e limitandoci a quanto di nuovo e d’interessante il convegno patavino ha saputo mettere in luce, credo sia giusto segnalare il “recupero” di figure dimenticate come quella del già citato Luigi Faccio, che, meglio del bellunese Lante, anche lui ridiventato sindaco finita la guerra, tornò ad essere primo cittadino di Vicenza dal 1946 al 1948. Faccio fu più fortunato, certo, di Turati, costretto nel 1926 a riparare da esule in Francia, con cui aveva condiviso sino a un anno prima l’avventura del PSU, sciolto d‘imperio dal regime, e del suo giornale “Unità Socialista” al fianco di Matteotti fin che visse, ma senz’altro nemmeno immemore del proprio compagno e “maestro”, l’onorevole Domenico  Piccoli.
Questo fu un personaggio a suo modo straordinario del socialismo vicentino, morto in circostanze misteriose nel marzo del 1921 cadendo, ma più probabilmente venendo scaraventato fuori, da un treno in corsa in Calabria.
Di lui, personalmente, ho fatto parola in breve a Padova ma molto più a lungo in un intervento del 2021 finito poi su Youtube (QR), il che un po’ mi esime da parlarne qui.
Ma devo quanto meno accennare in chiusura agli esiti della tavola rotonda nella quale Matteo Millan ha ridiscusso i termini della violenza diffusa che spianò a Mussolini la conquista del potere mentre Romanato ribadiva, come prefigurato in un suo libro (Giacomo Matteotti un italiano diverso), la personalità scientifica e la competenza giuridica del martire di Fratta Polesine assieme alla natura del tentativo da lui compiuto per smascherare in modo sistematico oltre ai brogli elettorali del ‘24, tutte le dinamiche criminali del fascismo, non escluse la corruzione e le pratiche affaristiche di alcuni suoi esponenti.
Tra le ragioni della soppressione di Matteotti, tuttavia, molto più della ventilata scoperta di un intrigo “petrolifero”, come quello della Sinclar Oil amplificato prima dalla stampa inglese e americana del tempo e poi rilanciato da storici come Caretti e Canali, potrebbe esserci stata semmai, secondo Giulio Scarrone, ma anche a giudizio oggi di Oscar Gaspari, la denuncia imminente da parte sua di un falso nel bilancio dello Stato dato in pareggio dal governo, ma in realtà deficitario per oltre due miliardi. Troppo per un analista attento ed esperto formatosi, come Matteotti, alla scuola dei piccoli comuni del Polesine ossia in un tirocinio amministrativo fatto nel profondo Veneto ancora per poco liberale (e libero) tra età giolittiana e primo dopoguerra.