Banche venete, Margrethe Vestager, misselling singolo o massivo: il parere del prof. Dolmetta

233
Vittime del misselling
Vittime del misselling

Non senza enfasi, le notizie di stampa in questi giorni riportano una dichiarazione (sull’efficacia del misselling, ndr) della commissaria UE alla concorrenza, Margrethe Vestager, relativa all’indennizzo previsto dalla legge per i risparmiatori traditi dalle banche, che sono poi «saltate» (commi 493 ss. legge 145/2018 di bilancio 2019). «Se vuoi rimborsare per misselling (cioè per aver venduto prodotti finanziari a chi non capisce cosa compra)» – rileva la commissaria – «devi accertare che c’è stato misselling; se sei un investitore istruito, sai quale rischio corri ed è una cosa del tutto diversa» (così nel Corriere della Sera, 5 marzo 2019, p. 5).

L’idea di base è dunque quella di distinguere, a livello di fattispecie concreta, tra cliente e cliente: questa è una «vendita fraudolenta»; quest’altra, invece no.

Una simile logica al fondo suppone – di là da ogni riferimento al concetto di «investitore istruito» (non sempre e necessariamente ipocrita, certo) – la neutralità in quanto tale del prodotto che viene fatto oggetto di vendita (fraudolenta o meno che sia); suppone, quindi, la neutralità della decisione dell’impresa di produrre e immettere nel mercato quel dato prodotto. Una compiuta intangibilità di questa decisione di impresa, se si preferisce quest’espressione.

Per rendere subito accessibile al pensiero il back della prospettiva assunta dalla commissaria l’affermazione riflette e ripropone la vecchia, immobile opinione per cui non è per nulla importante che nel mercato vengano vendute le uova marce; al più, può rilevare che il compratore sappia che quelle uova sono marce o che possa saperlo, secondo la propria istruzione o secondo invece un dato metro di diligenza o che comunque – via via a crescere nel livello di falsificazione – ne accetti il rischio.

Per la materia che è qui specificamente in esame alla commissaria non interessa, dunque, che venga (cioè, sia stato) bruciato il risparmio. Al più, può interessare la posizione dei meno «istruito» in proposito. Per quanto, a ben vedere, chiunque sa – o può facilmente immaginare – che gli investimenti finanziari ben possono, per loro natura, andare pure a finir male.

Non sembra corretto, peraltro, confondere il piano della «istruzione» (che, a prescindere, è comunque cosa assai diversa dalla tematica della solidarietà e lontanissima da questa) con quello della tutela e incoraggiamento costituzionale del risparmio (art. 47 Cost.).

Nel caso delle banche venete (e, presumibilmente, pure nei casi delle altre banche prese in considerazione dalla legge di bilancio 2019), la violazione degli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza posta in essere da parte delle imprese è seriale ovvero, come oggi pure si dice, di tratto «massivo».

La violazione risale, cioè, alla stessa decisione delle banche in questione di mettere in cantiere determinati prodotti (come, per fare un esempio concreto, quello del c.d. «prestito baciato») e di offrirli, conseguentemente, al mercato. Si tratta, in altri termini, di prodotti che – in ragione appunto della loro specifica conformazione – portano regole e implicano comportamenti (da parte dei funzionari delle relative imprese) che sono di violazione delle vigenti normative legali e regolamentari dei servizi finanziari. Come, se non altro, risulta dalla relazione finale della Commissione Casini (che già sembra cosa del tutto dimenticata al mondo dei più).

Il prodotto nasce «bacato», quindi, per consumare il misselling è sufficiente l’immissione del medesimo nel mercato (il fatto in sé della «vendita»). Per risultare completato, il misselling non ha bisogno di comportamenti più o meno «istruiti» o «consapevoli» da parte dei singoli investitori.

Assunta la decisione a livello di impresa, la correlata violazione di legge si configura, propriamente, nei termini della violazione d’impresa: non è davvero un caso che le norme contenute nell’art. 21 TUF – nell’enunciare le regole contrattuali di svolgimento dei servizi di investimento – si indirizzino direttamente alle imprese abilitate e alla loro attività in quanto tale. In effetti, il livello dei singoli contratti posti in essere con i singoli clienti si limita a riflettere, nella sua ripetitività, l’operatività che è stata programmata e conformata nelle decisioni assunte dai vertici delle relative imprese.

Ne segue, come è peraltro evidente, che l’intervento della commissaria UE per la concorrenza si pone, in realtà, agli esatti antipodi di quanto importerebbe la relativa funzione istituzionale. Lungi dal promuovere effettivamente la concorrenza, la dichiarazione si colloca – nel momento in cui esclude rilievo alle decisioni all’epoca assunte dai vertici delle banche venete – nel segno di un marcato protezionismo delle imprese esistenti nel mercato.

Almeno nei casi delle crisi bancarie a cui si riferisce il fondo d’indennizzo appare insoddisfacente e non congrua, del resto, la giustificazione, comunemente svolta, secondo cui la concorrenza sarebbe qui tutelata dalla sanzione dell’«espulsione dal mercato» dell’impresa che ha posto in essere il misselling. Basta rilevare, al riguardo, che – se la banca-soggetto è in liquidazione – la banca-impresa (i beni, strumentali e non strumentali, i depositi, gli attivi, l’avviamento, gran parte del personale, etc.) fa adesso capo ad altri soggetti bancari. Tanto più che è pure da constatare – con rilievo di tratto generale e per sé astratto – che, in realtà, una cosa non esclude l’altra.

Su un piano totalmente diverso si pongono, poi, le questioni di deterrenza nei confronti del c.d. moral hazard dei vertici bancari, che ovviamente attengono al piano della responsabilità (civile, penale, amministrativa) di natura individuale.

Tutto ciò non comporta – è bene ancora sottolineare a margine – che non si debba procedere, in proposito, a nessuna sorta di distinzione. Pure al di là dell’ovvia e necessaria verifica dell’effettiva appartenenza dei diversi soggetti, che chiedono di accedere al fondo, al novero di quelli che il fondo intende tutelare.

Peraltro, la constatazione che si tratta di una violazione di impresa – la cui conformazione si è consumata sui tavoli unilaterali del consiglio di amministrazione – implica che coerente con la stessa sia l’individuazione di una macro-categoria basata non già sull’«istruzione» dell’investitore (o sulla più o meno presunta sua consapevolezza, o avvertenza, del rischio di perdita in concreto presente), quanto piuttosto sul grado di «prossimità» del medesimo ai vertici della impresa coinvolta. Così come ad esempio fa il comma 505 della legge di bilancio 2019 (che esclude dagli indennizzi gli amministratori, i sindaci, i dirigenti e i loro parenti, ndr).

Prof. Aldo Angelo Dolmetta (Il caso.it)