Uomini e violenza, una studentessa del Lioy: “quando la sofferenza interiore si trasforma in violenza, comprendere per fermare il crimine”

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Uomini e violenza sulle donne: il simbolo delle scarpe rosse
Uomini e violenza sulle donne: il simbolo delle scarpe rosse

Ogni 3 giorni una donna perde la vita perché uccisa dal marito, compagno, fratello o familiare. Le domande che più spesso ci poniamo, quando leggiamo questi casi di cronaca o vediamo le statistiche, sono: “Perché lo fanno? Cosa porta questi uomini ad agire in questo modo? Nessuno ha insegnato loro il valore della vita e che questa non si può togliere?”

Ebbene San Paolo aveva provato a spiegarcelo molto tempo fa, dicendoci che nonostante il nostro forte volere, una parte irrazionale ci spinge ad agire attraverso il male, recando danno, spesso emotivo, a noi e alle persone a cui teniamo.

"Schegge, per favore non chiamateli uomini”, di Rosella Menegato
“Schegge, per favore non chiamateli uomini”, di Rosella Menegato

Il progetto “Schegge, per favore non chiamateli uomini” affronta le risposte alle domande precedenti in modo toccante. Uomini con passati violenti, segnati da traumi e che non conoscono l’autogestione dei propri sentimenti perché non è stato insegnato loro come agire attraverso il bene. L’educazione all’amore viene insegnata troppo poco; ancora meno persone la conoscono, soprattutto tra le nuove generazioni.

“Schegge, per favore non chiamateli uomini” educa all’amore.

Riporta prove di come l’uomo in principio non sappia come comportarsi e che spesso le persone maturano fisicamente ma non emotivamente. Sono dell’idea che la maggior parte degli errori vengano commessi perché compiuti in un momento di totale coinvolgimento emotivo. Dante ce l’ha detto che l’amore per “funzionare” necessita anche della ragione, che è questa parte razionale che porta le due persone alla consapevolezza di se stessi e del rapporto che le unisce. L’amore è un insieme di azioni, scelte e decisioni prese con la consapevolezza che un rapporto è formato da due persone. Una relazione, che sia di amore o di amicizia, deve essere costruttiva ed insegnare, altrimenti non ha senso di esistere.

Siamo persone comuni che tutti i giorni vengono sottoposte a pressioni che ci stressano, mettono a disagio, angosciano e impauriscono. Una relazione non deve essere lo specchio dei mali che affrontiamo quotidianamente.

Un’altra riflessione riguardante il progetto è che siamo responsabili delle nostre azioni. Possono esserci forniti tutti i mezzi per aiutarci a migliorare, ma siamo noi a scegliere se usarli o no. Una persona può amarci a tal punto da insegnarci come si ama, ma sta a noi applicarci e capire. La forma di amore che mancava in principio in tutte le storie riportate durante lo spettacolo era l’amore per sé stessi.

“Donne che amano troppo” è il titolo di un libro che vidi leggere da mamma qualche tempo fa. La descrive molto bene questa frase, ma io credo che sia stato quello che lei definisce “egoismo” a salvarla dalla situazione nella quale molte donne perdono la vita.

La storia “Occhi da cerbiatta” è quella che ho sentito più vicina. Credo che lo spettacolo abbia un impatto diverso se lo spettatore ha vissuto quei momenti. Dagli occhi di una bambina, che ha visto la propria madre dover scegliere tra la vita della figlia e l’amore di un uomo violento, tutte quelle storie innescano un forte desiderio di poter dire a qualsiasi donna che si trova in situazioni del genere che serve molto coraggio. Più volte mamma mi chiede se sento l’assenza di un padre e le rimprovero sempre anche il solo pensiero che lei si possa pentire di aver scelto di vivere. La vita mi ha insegnato con largo anticipo che cos’è l’amore, ma il progetto mi ha ricordato quanto ancora sia necessario parlarne, mostrare e rendere noto che la posizione in cui ci troviamo ora non è definitiva e che non possiamo permettere che una relazione ci intrappoli.

Mirela Mardare, Liceo Scientifico Statale P. Lioy – 3AS

Parteciapa al percorso formativo denominato SCHEGGE dell’associazione culturale l’IdeAzione APS