(Adnkronos) – L'ombra di Donald Trump si allunga sul Forum di Davos. La coincidenza temporale fra l'insediamento del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti e il principale evento annuale dell'economia globale propone un confronto serrato, e potenzialmente impari, tra diverse concentrazioni di potere politico e ricchezza. In gioco c'è un equilibrio mondiale che il nuovo mandato del tycoon alla Casa Bianca promette di cambiare radicalmente. I cento decreti esecutivi, già solo nei titoli, identificano un cambio di passo che può modificare, fino a sovvertirlo, il paradigma entro il quale si è mossa finora l'élite finanziaria globale. Proprio quello che resta della globalizzazione, e degli schemi che si sono stati consolidati nel tempo, è l'oggetto di un dibattito che ruota intorno agli interessi dei grandi poteri finanziari. Isolando le principali frasi pronunciate da Trump nel discorso di insediamento, molto più vicino a un comizio che a un intervento istituzionale, si possono elencare una serie di incognite che gravano sui prossimi mesi e sui prossimi anni. L'obiettivo dichiarato di voler cambiare il mondo si declina a partire dal ruolo che si vogliono ritagliare gli Stati Uniti: un Paese che Trump vede "forte, ricco, sicuro, in crescita e in espansione territoriale, e che nessuno potrà fermare". Ci si vuole arrivare attraverso passi che oggi non sono più solo slogan elettorali: dallo stato di emergenza al confine sud col Messico, per espellere più rapidamente i migranti senza documenti, alle nuove trivellazioni di petrolio e gas naturale, all'eliminazione degli incentivi per le auto elettriche e al ritiro dagli accordi di Parigi sul clima. Se cambiare il nome del Golfo del Messico, ribattezzato 'Golfo d'America', sembra più folklore geografico che altro, il mantra dell'America first può avere un profondo senso economico. "Metterò sempre l’America prima, in ogni secondo della mia Amministrazione. La nostra sovranità, la nostra sicurezza saranno ristabilite". La prima, immediata, trasposizione del concetto porta prima al rapporto con la Cina, e a tutte le conseguenze che ne possono derivare, e subito dopo ai dazi che riguarderanno inevitabilmente l'Europa: “li imporremo sui Paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini". Basta pensare al ruolo delle grandi banche e delle grandi corporation in un contesto che potrebbe velocemente degenerare in una cruenta guerra commerciale su scala mondiale per far alzare il livello dell'attenzione in un parterre come quello di Davos. La fotografia dei miliardari schierati all'Inauguration day racconta una concentrazione di denaro e potere mai vista prima in queste proporzioni e con questa adesione identitaria (vale più per Musk che per gli altri) a sostegno di un presidente degli Stati Uniti. C'è però da considerare un altro aspetto. Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e gli altri non sono solo un patrimonio americano ma sono anche i principali attori dell'economia globale. E possono seguire Trump fino a un punto preciso, che coincide con la tutela dei propri interessi. Fino a quando ne trarranno vantaggio elargiranno fondi e consenso, oltre quella soglia esigeranno il pagamento delle 'cambiali' che il presidente degli Stati Uniti sta firmando. Lo sa bene anche lo stesso Trump che con l'élite finanziaria globale deve comunque fare i conti. Non a caso, giovedì sarà in video-collegamento con la Svizzera, proprio con il Forum di Davos, per aprire un canale di comunicazione che andrà riempito di contenuti. E qui la domanda principale diventa un'altra: prevarrà un rapporto fondato sullo scambio fra re e cortigiani, con le concessioni a gratificare il consenso, o il buon senso e una strategia pragmatica suggeriranno di intavolare una collaborazione che possa portare vantaggio a tutte e due le parti? Il titolo del World Economic Forum è ambizioso e va proprio in questa direzione: 'Collaboration for the Intelligent Age'. L'obiettivo sembra però difficile da raggiungere, almeno alle condizioni di Trump. (Di Fabio Insenga) —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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