Nell’appena trascorso 2024 in Italia non si è verificata alcuna fusione tra Comuni: secondo i dati della Fondazione Think Tank Nord Est, a conferma della tendenza al rallentamento delle iniziative di fusione avvenuto negli ultimi anni, nell’ultimo anno nessun referendum per l’aggregazione tra Municipi è stato approvato. A parte il 2021, quando la pandemia aveva comportato il rinvio di alcune consultazioni, l’ultimo anno senza fusioni era stato il 2012. Gli anni più proficui per numero di aggregazioni erano invece stati quelli dal 2013 al 2018. Sicuramente i percorsi di fusione sono stati stimolati dall’introduzione e poi dal rafforzamento degli incentivi statali, ma dal 2019 in avanti sono state approvate solo 9 fusioni, nonostante la situazione sia ancora molto favorevole ai Municipi che decidono di unire le forze, ai quali spetta l’erogazione, per un periodo di quindici anni, di un contributo pari al 60% dei trasferimenti statali 2010, fino ad un massimo di 2 milioni di euro. A queste risorse si aggiungono ulteriori incentivi regionali, come l’erogazione di trasferimenti straordinari, di contributi per gli studi di fattibilità, oppure l’assegnazione di priorità per l’accesso ai bandi.
Sono stati 274 i referendum indetti per la fusione tra Comuni nel nostro paese dal 1990 ad oggi, dei quali 150 approvati, pari al 55% del totale. La regione con più consultazioni è la Lombardia, dove ne sono avvenute 64, quella con la più alta percentuale di esiti positivi il Piemonte, dove sono state approvate l’85% delle fusioni. Il Veneto viaggia a metà strada sia come consultazioni sia come approvazioni: 33 fusioni proposte, 17 approvate (l’ultima tra Gambugliano e Sovizzo, nel 2023).
Come detto però, i percorsi di aggregazione in corso sono ancora pochi, considerando la frammentazione amministrativa del nostro Paese, dove su 7.896 comuni il 70% ha meno di 5.000 abitanti. Di questi, sono ben 2.018 i Comuni con meno di 1.000 abitanti (il 25,6%), nei quali risiede poco più di un milione di persone, meno del 2% della popolazione italiana. Per quel che riguarda il Nordest, in Veneto il 51% dei Comuni, 286 su 560, ha meno di 5.000 abitanti: in questi territori vivono circa 715.000 persone, meno del 15% della popolazione totale. In Friuli Venezia Giulia i Municipi con meno di 5.000 residenti sono il 71% e ospitano solo il 22,5% degli abitanti. Chiaramente la fusione tra i comuni più piccoli porterebbe diversi vantaggi. Al di là degli incentivi statali, comunque significativi, vi sarebbe un migliore utilizzo delle risorse e una maggiore efficienza amministrativa.
Il presidente della Fondazione Think Tank Nord Est Antonio Ferrarelli spiega che però si registra ancora molta resistenza alle fusioni, un po’ per paura del cambiamento, molto per il timore di perdere la propria identità. Come superare questa situazione? “Si tratta – spiega Ferrarelli – di creare un consenso diffuso, da parte degli amministratori locali e dei cittadini, alla fusione tra Comuni: questo percorso dovrebbe partire dalla definizione dello statuto del nuovo Ente, che per legge deve assicurare alle popolazioni dei Comuni soppressi adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi.”
Insomma, nessuno deve sentirsi escluso, cittadino di serie B o abitante della metà o della frazione meno importante del nuovo Comune: “La fusione si costruisce rafforzando proposte come l’istituzione di Municipi presso le ex sedi comunali, l’introduzione dei prosindaci o delle consulte municipali per rappresentare i Comuni soppressi, l’apertura di sedi decentrate per l’erogazione dei servizi. In questo modo – conclude Ferrarelli – si possono rassicurare i cittadini e tutelare le comunità attraverso specifici strumenti di rappresentanza.” Quindi fusione non significa perdita di valore, al contrario, nelle esperienze di fusione già realizzate si osserva che, superati i timori identitari, si possono ottenere numerosi benefici, non solo di natura economica.