La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’obbligo di confiscare automaticamente i beni usati per commettere reati societari, giudicandolo contrario al principio di proporzionalità. La pronuncia arriva in risposta a un’eccezione sollevata nell’ambito del processo ai vertici della Banca Popolare di Vicenza, tra cui l’ex presidente Gianni Zonin, e segna un punto di svolta nella disciplina delle sanzioni patrimoniali.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 7 del 4 febbraio 2025 (qui la sentenza , ndr), ha dichiarato, quindi, parzialmente incostituzionale l’articolo 2641, primo e secondo comma, del codice civile, che imponeva la confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commettere reati societari, anche nella forma della confisca per equivalente. La Consulta ha ritenuto che tale obbligo potesse condurre a sanzioni manifestamente sproporzionate, in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione.
La questione è emersa nel contesto del processo relativo alla crisi della Banca Popolare di Vicenza. In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto la confisca di 963 milioni di euro a carico di quattro imputati, tra cui l’ex presidente, somma ritenuta equivalente ai finanziamenti concessi dalla banca a terzi per l’acquisto di proprie azioni, operazioni, denominate comunemente come “baciate” e non dichiarate secondo le modalità previste dalla legge.
In appello, la Corte di Venezia aveva confermato parzialmente la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il Procuratore Generale aveva quindi ricorso in Cassazione, sostenendo l’erronea disapplicazione dell’articolo 2641 del codice civile.
La Corte di Cassazione, condividendo i dubbi sulla possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 2641.
La Corte Costituzionale ha osservato che la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato costituisce una vera e propria pena di carattere patrimoniale, che deve rispettare il principio di proporzionalità. Questo principio vieta che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato e alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto. Una legge che impone in ogni caso di confiscare l’intero importo corrispondente ai beni utilizzati per commettere un reato, anche quando i beni appartenevano a una società, è suscettibile di produrre risultati sanzionatori sproporzionati, poiché non consente al giudice di adeguare l’importo alle reali capacità economiche delle singole persone fisiche colpite dalla confisca.
La norma è stata quindi dichiarata parzialmente incostituzionale. Spetterà ora al legislatore valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità, come previsto in altri sistemi giuridici e nella legislazione dell’Unione Europea.
Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ricavati dal reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di qualunque persona che risulti effettivamente aver conseguito le utilità derivanti dal reato. Rimane inoltre la facoltà per il giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato, prevista in via generale dall’articolo 240 del codice penale, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Questa decisione segna un importante passo nella tutela dei diritti fondamentali, garantendo che le sanzioni patrimoniali siano commisurate alle effettive capacità economiche degli individui e rispettino il principio di proporzionalità, cardine del nostro ordinamento giuridico.