Pfas, nuovo Studio UniPd e Ospedale di Vicenza: modificano i livelli di calcio nel corpo

155
pfas, zanella (avs) situazione grave anche in europa

Un nuovo studio sui Pfas condotto da ricercatori dell’Università di Padova e dall’Ospedale di Vicenza, grazie ad un finanziamento regionale dal Consorzio per la Ricerca Sanitaria (CORIS) della Regione Veneto, ha messo in luce come l’esposizione prolungata possa alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio. Pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Chemosphere, lo studio ha coinvolto 1.174 adulti provenienti da un’area da decenni interessata da contaminazione delle acque potabili.

I PFAS, utilizzati in numerosi prodotti industriali e di consumo, sono al centro di crescente preoccupazione per la salute pubblica. “Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una maggior fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento ma che si può già manifestare in giovane età laddove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze”, spiega il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio. 

Precedenti studi dell’equipe del professor Foresta avevano infatti dimostrato, tra i primi a livello internazionale, una riduzione della densità ossea già clinicamente rilevata in diciottenni dell’area rossa del Veneto. “Successivamente abbiamo spiegato questo effetto dimostrando un’attività negativa dei PFAS sul recettore della vitamina D, ormone che favorisce la calcificazione dell’osso e l’assorbimento intestinale del calcio dalla dieta, nonché un deposito di queste sostanze nell’idrossiapatite, la principale componente inorganica dello scheletro dove lega il calcio stesso favorendo la solidità ossea”, prosegue Foresta. 

In questo studio, i ricercatori hanno quindi misurato i livelli di PFAS, calcio, vitamina D e paratormone nel sangue di 655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni dell’area rossa del Veneto e hanno scoperto che soggetti con concentrazioni più elevate di PFAS presentavano anche livelli di calcio aumentati. Lo studio ha coinvolto ricercatori tra Padova, Vicenza e Napoli ed è il risultato di quattro anni di lavoro.

“Un aumento del calcio circolante può essere dovuto a un aumentato assorbimento intestinale mediato dalla vitamina D, a un aumento del paratormone, oppure a un maggior rilascio di calcio dai siti di deposito. E il più grande deposito di calcio del corpo umano è proprio lo scheletro”, spiega il professor Andrea Di Nisio, primo autore dello studio.

“Poiché nel nostro studio vitamina D e paratormone non sono modificati, i nostri risultati dimostrano che l’aumento di calcio, anche se ancora entro il range di normalità, può essere segno di un’interferenza dei PFAS a livello dell’osso, dove, ricordiamo, i PFAS si accumulano in abbondanza. Un recente studio ha infatti dimostrato che i PFAS inducono un aumento dell’attività degli osteoclasti, le cellule dello scheletro deputate al riassorbimento di tessuto osseo, con conseguente liberazione di calcio e riduzione della densità dell’osso”.

Questo studio si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso l’impatto ambientale dei PFAS, anche alla luce delle recenti evidenze della presenza di questi inquinanti su tutto il territorio nazionale. La contaminazione delle acque nel Veneto, iniziata diversi decenni fa, ha reso evidente come un problema localizzato possa trasformarsi in una questione di salute pubblica, sollecitando ulteriori ricerche e interventi preventivi. 

“I nostri risultati ci spingono a riflettere su come un’esposizione prolungata a PFAS, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine”, conclude il professor Foresta. “Abbiamo dimostrato che la ben nota associazione tra PFAS e osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta dei PFAS sull’osso con conseguente liberazione di calcio”.